di p. José María CASTILLO
Che cosa vuole
risolvere la chiesa in riferimento ai problemi che maggiormente preoccupano la famiglia
in questo momento?
Come è logico,
la prima cosa che attira l'attenzione – e che risulta difficile spiegare – è
che i problemi trattati al Sinodo non
sono quelli che maggiormente interessano e preoccupano la grande maggioranza
delle famiglie nel mondo.
L'angoscioso
problema della casa, il problema di una paga giornaliera o di uno stipendio con
cui arrivare degnamente alla fine del mese, il problema della salute e della
sicurezza sociale, quello dell'istruzione dei figli.
O, almeno,
questi argomenti così gravi e che angosciano la gente non sono stati – a quanto
ci risulta – problemi centrali all'ordine del giorno di nessuna delle
commissioni o sessioni del Sinodo.
Questo dà
motivo di pensare o magari sospettare – almeno in linea di principio – che
quelli che hanno preparato e organizzato i lavori del Sinodo sono persone che
possono dare l'impressione di essere più
preoccupati per i dogmi cattolici e per la morale predicata dal clero che per
le sofferenze e umiliazioni che stanno sopportando molte famiglie, anche
più di quante immaginiamo.
Non è
necessario essere né saggi né santi per rendersi conto di questo, per farsi
logicamente la domanda che ho appena posto. E che nessuno mi dica che gli
argomenti che ho appena indicato sono problemi che devono essere risolti dagli
economisti e dai politici.
Anche
nell'ipotesi che quello che ho detto è un argomento che riguarda direttamente
l'economia e la politica, ci devono pensare però solo gli economisti e i
politici? Ed allora? La sofferenza, la dignità, la sicurezza e i diritti della
gente, i diritti fondamentali delle famiglie, non ci devono interessare, né possiamo
o dobbiamo far nulla?
Questa è la
prima grande questione che, a mio modesto parere, dovrebbe interessare
soprattutto, e prima di qualsiasi altra cosa, la Chiesa, e soprattutto i suoi
capi. Lo dico per tempo, quando ancora
abbiamo un anno davanti a noi per giungere alle conclusioni del Sinodo.
Però, arrivando
ai problemi che il Sinodo ha trattato, la mia domanda è la seguente: alla
gerarchia della Chiesa, che cosa maggiormente le interessa o la preoccupa? Gente
che “si ama”? O gente che “si sottomette”?
Confesso che
queste domande mi sono venute in mente pensando e ricordando quello che io
stesso sto vivendo nel mondo ecclesiastico da più di 60 anni, vale a dire, da
quando sono coinvolto in ambienti clericali. Tanto in Spagna
che fuori dalla Spagna, quello che ho percepito negli ambienti di Chiesa è che
i problemi dell'economia e i temi sociali di solito non preoccupano troppo.
Perché normalmente tali problemi (nelle istituzioni ecclesiastiche) sono
risolti.
Mentre i temi legati
all'ortodossia dogmatica (sottomissione alla gerarchia) e al sesso (osservanza
della morale), non solo sono di solito molto preoccupanti, ma con frequenza
risultano quasi ossessivi o sfioranti l'ossessione.
La conseguenza,
che di solito deriva da questo stato di cose e che la gente nota molto, è
davanti agli occhi di tutti: i vescovi non sono soliti parlare (o si limitano
ad allusioni generiche) della corruzione politica e delle sue conseguenze,
mentre quegli stessi vescovi sono soliti levare alte grida al cielo se la
questione posta è il problema dei matrimoni tra persone omosessuali o, in
generale, problemi legati al sesso.
Ecco, per fare
un esempio, vediamo la differenza di
trattamento che ricevono, in tanti confessionali, i capitalisti e i banchieri
oppure i gay e le lesbiche.
Tutto questo ci
porta – a mio parere - ad una domanda molto più radicale: perché le religioni
affrontano in maniera tanto diversa i
problemi legati alla “proprietà dei beni” e i problemi che si riferiscono alle
“relazioni affettive tra le persone”?
Dal punto di
vista della sociologia, uno degli specialisti più riconosciuti in questa
materia, Anthony Giddens, ha scritto: “La famiglia tradizionale era soprattutto
un’unità economica. L’attività agricola normalmente coinvolgeva tutto il gruppo
familiare, mentre fra benestanti e l’aristocrazia la trasmissione della
proprietà era la base principale del matrimonio. Nell’Europa medievale, il matrimonio
non era contratto sulla base dell’attrazione amorosa, e nemmeno era considerato
il luogo dove tale attrazione dovesse sbocciare (Un mundo desbocado, pp. 67-68. [trad.
it., Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna
la nostra vita, Il Mulino, Bologna 2000]).
In realtà, “la
proprietà dei beni” (e non “l'affetto tra le persone”), come fattore
determinante della famiglia tradizionale, viene da più lontano e trae la sua
origine in un'altra fonte: il diritto.
Come si sa, la
famiglia era l'unità che interessava al primo diritto romano. Quel diritto non
si occupava di ciò che succedeva dentro la famiglia. Le relazioni tra i suoi
membri erano una questione privata, nella quale la comunità non interveniva.
La famiglia era
rappresentata dal suo capo, il paterfamilias, nel quale si
concentrava tutta la proprietà familiare. E tutti i suoi discendenti, in linea
paterna stavano sotto il suo controllo. Nessun figlio poteva sfuggire al suo
potere.
Più ancora, un
figlio non smetteva di restare sotto il potere del padre fino a che non fosse
diventato adulto e, fino a che non morisse il padre, non poteva neanche avere
proprie proprietà. Conseguentemente, tutta la proprietà familiare si manteneva
unita e le risorse della famiglia, come un tutto, si rafforzavano (Peter G.
Stein, El Derecho romano en la historia
de Europa, pp. 7-8 [trad. it., Il
diritto romano nella storia europea, Cortina Raffaello, Milano 2001]).
L’aspetto notevole è che la Chiesa ha fatto pienamente suo
questo diritto. In maniera tale che, per esempio, il concilio di Siviglia,
dell’anno 619, definisce il diritto romano come lex mundialis, cioè la legge per antonomasia alla quale dovrebbero
sottomettersi tutti i popoli (cf. E.
Cortese, Le Grandi Linee della Storia
Giuridica Medievale, Il Cigno GG Edizioni, Roma 2000, p. 48).
Ebbene, in
questo contesto di idee e di leggi risulta comprensibile e logico che la
Chiesa, man mano che si andava adattando alla cultura e al diritto ereditato
dall'Impero romano, ugualmente assumeva e integrava nella sua vita e nel suo
sistema organizzativo quello che era comune alle altre religioni.
Mi riferisco a
quello che, con ragione, ha detto uno dei più riconosciuti specialisti in
materia: “La religione è generalmente
accettata come un sistema di ranghi, che implica dipendenza, sottomissione e
subordinazione a superiori invisibili” (Walter Burkert, La creación
de lo sagrado, p. 146 [trad. it., La creazione del sacro. Orme biologiche nell'esperienza
religiosa, Adelphi, Milano 2003]).
Ecco perché le
teologie e i rituali delle religioni, se in qualcosa insistono e in qualcosa
sono simili le une alle altre, è proprio per quanto riguarda la “sottomissione”.
E risulta che, per quanto riguarda concretamente questa sottomissione, i
rituali che la creano, la fomentano e la mantengono, “non sono limitati da una
religione particolare, ma si trovano in tutto il pianeta, e si può dimostrare che
alcuni sono preumani” (op. cit., p.
156).
La sottomissione, a
partire dalle
società preumane, si esprime creando
l'impressione che uno produce inchinandosi, inginocchiandosi, stendendosi a terra,
strisciando, insomma tutto quello che “non ingrandisce”. Ed è dimostrato
che i rituali religiosi coincidono tutti in questo (K. Lorenz, On Aggression, Nueva York, 1963, pg. 259-264 [trad.
it., L’aggressività, Il Saggiatore,
Milano 2008]; I.
Eibl-Eibesfeldt, Liebe und Hass: Zur Naturgeschichte elementarer
Verhaltensweisen, Munich,
1970, pp. 199 ss [trad. it., Amore e odio. Per
una storia naturale dei comportamenti elementari, Adelphi, Milano 1996]).
Ebbene, la cosa più sorprendente, in
tutta questa problematica, è paragonare questi supposti elementi
base
della famiglia e della religione con quanto raccontano i vangeli che diverse volte fanno riferimento tanto alla famiglia quanto
alla religione.
Sappiamo, infatti, che Gesù, sia per quanto si riferisce
alla famiglia sia per quanto riguarda la religione, ha assunto pubblicamente e senza ambiguità un atteggiamento
sommamente critico. Mi spiego.
Per quanto
riguarda la religione, i vangeli ci informano degli scontri e dei conflitti
costanti e crescenti avuti da Gesù con i dirigenti religiosi e i loro rituali.
A questo si riferiscono gli scontri con gli scribi e i farisei, con i sommi
sacerdoti e gli anziani, persino con lo stesso tempio di Gerusalemme.
Fino a giungere
all’arresto da parte delle autorità religiose, al processo, alla condanna e all'esecuzione
violenta nel tormento dei crocifissi, i lestái
(Mc 15,27: Mt 27,38), vale a dire, non semplici ladroni, ma i ribelli politici,
come spiega Flavio Giuseppe (H. W. Kuhn: TRE vol. 19,717).
Gesù è stato
l'uomo più profondamente religioso che possiamo immaginare. Ma la religione di
Gesù è stata spostata dal modello stabilito: la sua religione (come il Dio che
rappresentava) non è stata centrata nel “sacro”, ma nell' “umano”.
Questo è centrale per comprendere il vangelo e tuttavia non
è centrale per comprendere la teologia cristiana. E non è
neanche al centro della vita della Chiesa.
Per quello che
si riferisce alla famiglia, è certo che le relazioni di Gesù con la sua
famiglia furono tese e complicate: i
suoi parenti lo presero per pazzo (Mc 3,21) e non credevano in lui, lo disprezzavano
perfino (Mc 6, 1-6; cf Gv 7,5).
D'altra parte,
la prima cosa che Gesù chiedeva a coloro che volevano seguirlo, era di
abbandonare la propria famiglia (Mt 8,18-22; Lc 9, 57-62). E quando un giorno gli
dissero che lo cercavano sua madre e i suoi fratelli, la risposta di Gesù fu di
dire che sua madre e i suoi fratelli sono quelli che ascoltano e mettono in
pratica ciò che vuole Dio (Mc 3,31-35; Mt 12, 46-50; Lc 8, 19-21).
Ma Gesù, per
quanto si riferisce alle relazioni con la famiglia, andò oltre. Perché osò dire
che non era venuto a portare la pace, ma la spada, divisione e conflitto, in
particolare tra i membri della propria famiglia (Mt 10, 34-42; Lc 12, 51-53;
14, 26-27).
Anzi, Gesù
arrivò a toccare l'intoccabile di quel modello di famiglia: “Non chiamate
'padre' nessuno sulla terra” (Mt 23,9). Una proibizione così forte, in quella
cultura, che arrivò a smontare l'asse stesso di quel modello di relazioni
familiari. I grandi, gli importanti, non sono i “padri” ed i “gerarchi”, ma i
“bambini”, i “piccoli”: il regno di Dio è di quelli che si fanno come loro (Mt 19,14).
Cosa vuol dire
tutto questo? Dove sta il cuore del problema?
Le relazioni di
parentela non sono libere, dato che sono date e imposte ad ogni essere umano
che viene al mondo.
Al contrario,
le relazioni comunitarie ed amicali, dato che nascono da convinzioni libere e
da sentimenti che chiunque accetta liberamente, sono sempre relazioni che si
basano sulla libertà umana e si mantengono con la forza della decisione libera.
La cosa più
bella, più gratificante e più motivante della relazione di fede e fiducia nell'altro
e in Dio, è che è sempre possibile perché è una relazione libera.
Quindi, l’aspetto
determinante in questo modello di famiglia e di gruppo non è la sottomissione,
né al “potere repressivo”, né al “potere che seduce” (Byung-chul Han), ma
quello decisivo è la fede e fiducia nell'incontro (con l'Altro, con gli altri,
con qualcuno in concreto) mediante la “relazione pura” (A. Giddens), che si
basa sulla comunicazione emotiva. Cioè una forma di comunicazione nella quale
le ricompense ricavate dalla stessa sono la base primordiale affinché tale comunicazione
possa mantenersi e perdurare.
Per questo proprio
l'esperienza ci dice che dove c'è
affetto vero, c'è libertà, mentre dove c'è religione (centrata sui riti e sul
sacro) c'è sottomissione.
Ebbene, tenuto
conto di quello che ho detto in questa (già troppo lunga) riflessione, ritorna
la domanda iniziale: che cosa vuole la
Chiesa con tutto quello che ha rimosso a proposito della famiglia?
Ovviamente,
papa Francesco, convocando e programmando il sinodo sulla famiglia, ha voluto rispondere
a problemi urgenti che riguardano migliaia di famiglie nel mondo. Bisogna
supporre che papa Francesco, convocando questo sinodo, esigendo libertà di parola
sui problemi e trasparenza nell'informare di ciò che si è detto nelle sessioni
sinodali, quello che ha fatto è stato di mettere in moto, senza possibilità di
marcia indietro, un processo di apertura della Chiesa ai problemi reali e concreti
che, in questo momento storico, si pongono a tutti noi.
Ma quello che è
accaduto è che, non solo si è messo in moto questo processo, ma, oltre a
questo, il mondo si è accorto che nella Chiesa persiste molto vivo un settore
importante di clero (a tutti i livelli) e di laici che identificano le credenze
cristiane con posizioni immobiliste e intolleranti che, per di più, dal punto di vista della più documentata,
sana e ortodossa teologia, sono posizioni indimostrabili.
E, pertanto,
posizioni che nascondono pretese inconfessabili di potere e autorità che si
orientano di più a mantenere intatta la “sottomissione” dei fedeli che a fomentare
la “libertà” che nasce dall'affetto tra gli esseri umani.
La situazione è delicata.
Bisogna evitare, a tutti i costi, un nuovo scisma nella Chiesa.
Però non
possiamo stare in modo incondizionato con coloro che identificano il
cristianesimo con una religione centrata sull'osservanza di riti sacri, che
produce ossessivamente sottomissione a gerarchie ancorate ad un passato e ad
una cultura che non sono più né il nostro tempo, né la cultura in cui viviamo.
Un
cristianesimo così, produce persone molto religiose e un clero fedele a
gerarchie ecclesiastiche che si identificano di più con i privilegi che offre
loro il potere politico che con la libertà indispensabile per ottenere una
società più giusta nella quale tutti noi cittadini possiamo vivere in giustizia
e uguaglianza di diritti.
Se il nostro
progetto di vita vuole essere fedele a Gesù e al suo vangelo non abbiamo altro cammino
da fare se non l'apertura al futuro che insieme dobbiamo costruire.
Anzi, se amiamo
veramente la Chiesa e vogliamo essere
fedeli alla “memoria pericolosa” di Gesù, noi cristiani, nel cammino che ci
sta aprendo e tracciando papa Francesco, abbiamo l'itinerario certo che ci
porta alla meta a cui aneliamo.
Pubblicato
sul sito Religión Digital il
21.10.2014 e tradotto da Lorenzo Tommaselli
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