Ecco il cambiamento che la base si attende dal nuovo papa Francesco:
da una chiesa cristo-centrica a una chiesa regno-centrica.
In poche parole, da una chiesa centrata su concetti che il Magistero attribuisce a Gesù (liturgia, adorazione, dogmi, movimenti mariani, sacralizzazioni e benedizioni a pagamento, peccato e scomuniche, ecc...), a una chiesa impegnata a costruire il regno di Dio qui, su questa terra, nello stile che Gesù di Nazareth ci ha trasmesso (giustizia sociale, parola di Dio, fratellanza, misericordia, perdono, condivisione, ecc...).
Sotto un prezioso contributo di José Comblin, teologo della liberazione.
[...]In America latina la religione si trova sempre presente nei movimenti popolari, i quali non fanno distinzione tra i loro oppressori civili, militari o religiosi. Il popolo è una realtà sempre religiosa. Esso stesso si interpreta come popolo di Dio, convinto che la fede in Dio, nel Dio di Gesù, è la fonte della sua lotta per la vita e delle energie che permettono di sopravvivere. Non ha nulla in comune con le classi sociali del marxismo.
Se avessero voluto davvero capire il concetto di popolo latinoamericano, i membri della curia romana avrebbero potuto paragonare il popolo latinoamericano al popolo delle rivoluzioni europee del 1848. Ma essi non cercarono di apprendere perché pensavano già di sapere tutto.
Perché fecero questo? Nasce un sospetto: dopo che Giovanni Paolo II aveva scelto i suoi collaboratori, fu chiaro che l'insieme della curia era costituito da persone che non accettavano il Concilio Vaticano II e avevano deciso di svuotarlo. Chiaramente non potevano sconfessarlo. Dovevano lottare contro il Concilio richiamandosi ad esso, svuotare il contenuto dei documenti conciliari citandoli. Bastava scegliere le citazioni giuste.
L'America latina non era al primo posto fra le preoccupazioni romane. Al primo posto c'era il cambiamento del contenuto del Vaticano II. L'america latina interessava nella misura in cui poteva fornire argomenti per cambiare il contenuto del Vaticano II.
Non occorreva essere uno spirito geniale per scoprire che la chiave dell'ecclesiologia conciliare era il concetto di popolo di Dio. Con questo concetto si offriva una base per le iniziative dei laici, la diversità delle opzioni pastorali, l'impegno temporale differenziato a seconda dei paesi e dei contenuti. In una parola, il concetto di popolo di Dio era la più seria minaccia alla centralizzazione romana. Era come una giustificazione di un decentramento del potere della chiesa.
La vittima di tale evoluzione poteva essere solo la curia romana. Tutti gli altri ci avrebbero guadagnato, ma la curia ci avrebbe perso. Non si è mai visto un apparato burocratico che accetti passivamente la sua dissoluzione o anche la riduzione del suo potere. Al contrario qualsiasi amministrazione aspira sempre a più potere, più centralizzazione, più disciplina, il che viene identificato con la ricerca dell'unità. [...]
(tratto da Il popolo di Dio, José Comblin, Città Aperta Edizioni, pagg. 105-106)
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