Caro Papa Francesco
siamo un gruppo di donne da tutte le parti d'Italia (e non solo) che ti scrive per rompere il muro di silenzio e indifferenza con cui ci scontriamo ogni giorno. Ognuna di noi sta vivendo, ha vissuto o vorrebbe vivere una relazione d'amore con un sacerdote, di cui è innamorata. Abbiamo deciso di unire le nostre voci dopo esserci rese conto che pur nella nostra diversità, i nostri vissuti non rappresentano casi isolati, ma che tantissime donne vivono nel silenzio, e per questo, pur essendo noi un piccolo campione, ci sentiamo di parlare a nome di tutte le donne coinvolte sentimentalmente con un sacerdote o religioso.
Come tu ben sai, sono state usate tantissime parole da chi si pone a favore del celibato opzionale, ma forse ben poco si conosce della devastante sofferenza a cui è soggetta una donna che vive con un prete la forte esperienza dell'innamoramento.
Vogliamo, con umiltà, porre ai tuoi piedi la nostra sofferenza affinchè qualcosa possa cambiare non solo per noi, ma per il bene di tutta la Chiesa.
Si, l'amore è proprio un'esperienza forte e rigenerante, che ti rimodula dentro, che ti fa crescere con l'altro, finchè ti ritrovi a desiderare con lui quel meraviglioso sogno di una vita insieme. Cosa che con un prete non è possibile, secondo le leggi attuali della chiesa cattolica romana.
Noi amiamo questi uomini, loro amano noi, e il più delle volte non si riesce pur con tutta la volontà possibile, a recidere un legame così solido e bello, che porta con se purtroppo tutto il dolore del "non pienamente vissuto". Una continua altalena di "tira e molla" che dilaniano l'anima.
Quando, straziati da tanto dolore, si decide per un allontanamento definitivo, le conseguenze non sono meno devastanti e spesso resta una cicatrice a vita per entrambi. Le alternative sono l'abbandono del sacerdozio o la persistenza a vita di una relazione segreta.
Nel primo caso la forte situazione con cui la coppia deve scontrarsi viene vissuta con grandissima sofferenza da parte di entrambi: anche noi donne desideriamo che la vocazione sacerdotale dei nostri compagni possa essere vissuta pienamente, che possano restare al servizio della comunità, a svolgere la missione che per tanti anni hanno svolto con passione e dedizione, rinvigoriti adesso ancor di più dalla forza vitale dell'amore che hanno scoperto insieme a noi, che vogliamo sostenerli e affiancarli nel loro mandato. Chi si sente chiamato al sacerdozio sceglie di vivere nel mondo, di partecipare alla vita sociale e di rendersi utile agli altri nella comunità in cui è inserito. La dolcezza e solarità di una donna può davvero essere sale e luce nel ministero di un sacerdote, per camminare insieme verso la Sua Luce e per maturare i frutti (che in due si moltiplicano esponenzialmente) da donare alla gente.
Nel secondo caso, ovvero nel mantenimento di una relazione segreta, si prospetta una vita nel continuo nascondimento, con la frustrazione di un amore non completo che non può sperare in un figlio, che non può esistere alla luce del sole. Può sembrare una situazione ipocrita, restare celibi avendo una donna accanto nel silenzio, ma purtroppo non di rado ci si vede costretti a questa dolorosa scelta per l'impossibilità di recidere un amore così forte che si è radicato comunque nel Signore.
L'amore è davvero la forza più potente che esista!
E allora ci chiediamo e ti chiediamo se è davvero giusto sacrificare l'Amore in virtù di un bene più alto e grande che è quello del servizio totale a Gesù e alla comunità, cosa che a nostro avviso sarebbe svolto con maggiore slancio da un sacerdote che non ha dovuto rinunciare alla sua vocazione all'amore coniugale,unitamente a quella sacerdotale, e che sarebbe anche supportato dalla moglie e dai figli. Probabilmente ne gioverebbe l'intera comunità, si respirerebbe aria di famiglia, di libertà e accoglienza. Questa nostra società ne ha bisogno!
Siamo tutti alla ricerca della propria identità, che possiamo solo trovare nel volto di Cristo; ma la chiesa ne riflette il suo volto? Noi speriamo che tu, con questa ventata di speranza che hai portato, possa davvero riuscire a ridare alla chiesa la sua dignità, liberandola dalla pretesa della Verità Assoluta, e affidandola semplicemente alla volontà di Dio.
Siamo fiduciose che il nostro grido, rimasto per troppo tempo inespresso, venga da te accolto e compreso, per discernere quale sia la giusta strada per una Chiesa migliore.
Se tu lo riterrai adeguato, siamo pronte e anzi ti chiediamo di essere da te convocate in un'udienza privata, per portare davanti a te umilmente le nostre storie e le nostre esperienze, sperando di poter attivamente aiutare la Chiesa, che tanto amiamo, verso una possibile strada da intraprendere con prudenza e giudizio.
Grazie Papa Francesco! Speriamo con tutto il cuore che tu benedica questi nostri Amori, donandoci la gioia più grande che un padre vuole per i suoi figli: VEDERCI FELICI!!!
Ti auguriamo ogni Bene.
IL COMMENTO DEL TEOLOGO VITO MANCUSO (prete sposato)
IL
MATRIMONIO È UN DIRITTO ANCHE PER I PRETI
di
Vito Mancuso
Chissà
come risponderà il Papa alla lettera indirizzatagli da 26 donne che
(così si sono presentate) «stanno vivendo, hanno vissuto o
vorrebbero vivere una relazione d’amore con un prete di cui sono
innamorate».
Ignorarla
non è da lui, telefonare a ogni singola firmataria è troppo
macchinoso, penso non abbia altra strada che stendere a sua volta uno
scritto.
Avremo
così la prima epistula de
coelibato presbyterorum indirizzata
da un Papa a figure che fino a poco fa nella Chiesa venivano
chiamate, senza molti eufemismi, concubine.
Dai
frammenti della lettera riportati sulla stampa risulta che le autrici
hanno voluto presentare la «devastante sofferenza a cui è soggetta
una donna che vive con un prete la forte esperienza
dell’innamoramento».
Il
loro obiettivo, scrivono al Papa, è stato «porre con umiltà ai
tuoi piedi la nostra sofferenza affinché qualcosa possa cambiare non
solo per noi, ma per il bene di tutta la Chiesa».
Ecco
la posta in gioco, il bene della Chiesa.
L’attuale
legge ecclesiastica che lega obbligatoriamente il ministero al
celibato favorisce il bene della Chiesa?
Guardando
ai due millenni del cattolicesimo, ritroviamo che nel primo il
celibato dei preti non era obbligatorio («fino al 1100 c’era chi
lo sceglieva e chi no», così scriveva il cardinale Bergoglio).
Mentre
lo divenne nel secondo in base a due motivi:
1)
la progressiva valutazione negativa della sessualità, il cui
esercizio era ritenuto indegno per i ministri del sacro;
2)
la possibilità per le gerarchie di controllare meglio uomini privi
di famiglia e di conseguenti complicate questioni ereditarie.
Così
il prete cattolico del secondo millennio divenne sempre più simile
al monaco.
Si
tratta però di due identità del tutto diverse. Un conto è il
monaco il cui voto di castità è costitutivo del codice genetico
perché vuole vivere solo a solo con Dio (come dice già il termine
monaco, dal greco mónos,
solo, solitario); un conto è il ministro della Chiesa che determina
la sua vita nel servizio alla comunità.
Il
prete (diminutivo di presbitero,
cioè “più anziano”) esiste in funzione della comunità, di cui
è chiamato a essere “il più anziano”, cioè colui che la guida
in quanto dotato di maggiore saggezza ed esperienza di vita.
Ora
la questione è: la celibatizzazione forzata favorisce tale saggezza
e tale esperienza? Quando i preti celibi parlano della famiglia, del
sesso, dei figli e di tutti gli altri problemi della vita affettiva,
di quale esperienza dispongono?
Rispondo
in base alla mia esperienza: alcuni preti dispongono di moltissima
esperienza, perché il celibato consente loro la conoscenza di molte
famiglie, altri di pochissima o nulla, perché il celibato li fa
chiudere alle relazioni in una vita solitaria e fredda.
Ne
viene che il celibato ha valore positivo per alcuni, negativo per
altri, e quindi deve essere lasciato, come nel primo millennio, alla
libera scelta della coscienza.
Vi
è poi da sottolineare che la qualità della vita spirituale non per
tutti dipende dall’astinenza sessuale e meno che mai dall’essere
privo di famiglia, basti pensare che quasi tutti gli apostoli erano
sposati e che il Nuovo Testamento prevede esplicitamente il
matrimonio dei presbiteri (cf. Tito 1,6).
Se
poi guardiamo alla nostra epoca, vediamo che veri e propri giganti
della fede come Pavel Florenskij, Sergej Bulgakov, Karl Barth, Paul
Tillich erano sposati.
Se
i nazisti non l’avessero impiccato, anche Dietrich Bonhoeffer si
sarebbe sposato, ed Etty Hillesum, una delle più radiose figure
della mistica femminile contemporanea, ebbe una vita sessuale molto
intensa.
Anche
Raimon Panikkar, prete cattolico, tra i più grandi teologi del ‘900,
si sposò civilmente senza che mai la Chiesa gli abbia tolto la
funzione ministeriale.
“Non
è bene che l’uomo sia solo”, dichiara Genesi 2,18. Gesù però
parla di “eunuchi che si sono resi tali per il regno dei cieli”
(Matteo 19,12).
La
bimillenaria esperienza della Chiesa cattolica si è svolta tra
queste due affermazioni bibliche, privilegiando per i preti ora l’una
ora l’altra.
Penso
però che nessuno possa sostenere che il primo millennio cristiano
privo di celibato obbligatorio sia stato inferiore rispetto al
secondo.
Oggi,
a terzo millennio iniziato, penso sia giunto il momento di integrare
le esperienze dei due millenni precedenti e di far sì che quei preti
che vivono storie d’amore clandestine (che sono molto più di 26)
possano avere la possibilità di uscire alla luce del sole
continuando a servire le comunità ecclesiali a cui hanno legato la
vita. La loro “anzianità” non ne potrà che trarre beneficio.
Vi
sono poi le molte migliaia di preti che hanno lasciato il ministero
per amore di una donna (ma che rimangono preti per tutta la vita,
perché il sacramento è indelebile) e che potrebbero tornare a
dedicare la vita alla missione presbiterale, segnati da tanta,
sofferta, anzianità.
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Pubblicato
in “la Repubblica” del
19 maggio 2014
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