Ricevo e pubblico questa riflessione
...di una lettrice di questo blog che vorrei conoscere...
In vista della prossima festività dedicata a Maria, certa che la sua persona è stata dalla religione maschilista spesso snaturata ed adulterata per renderla adattabile al contesto che la religione nei secoli ha creduto più opportuno strutturare, ho cercato di riunire alcuni spunti tratti da un saggio di I. Magli ed altre antropologhe dedicato alla Madonna.
Il testo non è più stato ri pubblicato ed è consultabile in qualche vecchia biblioteca. Mi è piaciuta la ricostruzione che questa antropologa - e collaboratrici -fanno della donna e della madre, senza elevarla a caricatura o statua, ma difendendone i tratti di donna non dissimile dalle tante altre donne sue contemporanee.
Mai ideale, ma reale. Non idealizzata da uomo, ma realizzata come donna solo in parte. Perché nella sua cultura la donna era essenzialmente madre e moglie.
Gesu ha cercato di cambiare anche la condizione femminile. Ma anche in questa direzione il suo desiderio non è stato realizzato pienamente.
Ho suddiviso il contributo in più parti, forse una decina. Intanto ne invio 4-5.
Dedico questa scrittura a tutte le donne che sono madri o che coltivano progetti come fossero figli che hanno bisogno di essere cullati per un po per crescere e poi poter camminare le strade del mondo da soli, ricordando che ogni individuo è un progetto e c’è un progetto per ogni individuo.
Il grande architetto è la Vita e la sua inesauribile fantasia creativa.
1)Il padre e la nascita del figlio
Nell’arco della storia i bambini non sono stati mai considerati essenzialmente come individui e personalità, ma come forza lavoro.
L’interesse per il bambino inteso come individuo da proteggere ed individualità da comprendere si affaccia - credo - nel XIX secolo anche grazie alla nascita di nuove scienze umane come la psicologia, la pedagogia, la medicina pediatrica
Che cosa ha rappresentato nei secoli la nascita del figlio?
Il concepimento di un figlio, per un uomo, è sempre valso come conferma ufficiale della sua potenza virile e fertilità al punto che non avere figli – anche se per dichiarata scelta - era considerato- per quanto improbabile e controproducente - come un sospettoso segno di insanità.
La nascita di un figlio invece conferma al padre che questo mondo ultraterreno esiste e gli appartiene . E’ un evento di rilevante importanza sociale oltretutto, molto più se confrontato con la drammatica o prematura morte di quello stesso figlio.
2)Il sacrificio del figlio
I figli spesso venivano anche offerti in sacrificio: di tale sacrificio c’è traccia in numerose civiltà di ogni latitudine e tempo. Sacrificare un figlio, simbolo della propria potenza, era un modo per arrendersi a Dio testimoniando la propria disponibilità a disarmarsi, a restare indifesi, senza potere appunto, arresi davanti a lui
Nella cultura ebraica, come narrato testimoniato spesso nell’AT, i padri sacrificano i figli primogeniti.
Anche nel cristianesimo si applica questa logica retaggio di una cultura millenaria: il Padre rinuncia alla sua onnipotenza sacrificando un figlio per amore, ad elevazione a salvezza di tutti gli altri.
Nel Medioevo, periodo storico per alcuni oscuro e reo di aver allontanato troppo dal messaggio lasciato da Cristo, il figlio primogenito era destinato a reggere il feudo. I figli minori spesso diventano monaci o religiosi.
I figli bambini sono oblati (termine giuridico), sono ceduti al monastero, non hanno diritto all’eredità in quanto “morti” dal punto di vista del padre, che di fatto li consegnava piccolissimi ad un abate o ad un istruttore o altro feudatario che li istruiva al ruolo di cadetti cavalieri
L’oblazione dei figli cessa di essere praticata un paio di secoli fa, ma nella tradizione ecclesiastica, questa tendenza al sacrificio del figlio rimane.
3)La sacralità del ventre
Prima che si realizzasse che il concepimento avveniva come conseguenza del congiungimento tra uomo e donna sono dovuti trascorrere millenni poiché gli uomini primitivi non erano riusciti a mettere in relazione causa effetto l’unione carnale tra uomo e donna e la conseguente nascita.
Questo perché tra i due eventi intercorrevano 9 mesi circa e tra l’altro anche il conteggio del tempo non avveniva con precisione e correttezza cronologica tale da stabilire l’esatta corrispondenza ciclica dei fatti.
Fino ad allora la gravidanza e la nascita era stata ritenuta un evento miracoloso così come un miracolo la vita e il grembo che la rendeva possibile. Si riteneva che la donna fosse in grado di autofecondarsi e che l’uomo non svolgesse alcun ruolo correlato a tale evento.
La donna e la sua fertilità erano considerate la vera potenza, al punto che la donna, qualsiasi donna, per il solo fatto di essere potenzialmente gravida, era considerata intrinsecamente una divinità, una potenza sacrale generatrice di vita.
La visione della realtà cambia quanto l’uomo si accorge che è in lui il seme in grado di fecondare il ventre.
4)La donna: canale della vita
Per l’uomo, come scritto sopra, il bambino testimonia la presenza del trascendente ed è manifestazione dell’eterno o del divino.
Ma il vero canale che mette in comunicazione con quell’aldilà e ne rende possibile la materializzazione è il corpo femminile
Alcuni uomini di chiesa hanno attribuito non a caso a Maria titoli significativi come “corridoio” “porta” “collo” “acquedotto” “cosmo” “mare” “cielo”. In lei e attraverso lei hanno visto un canale, un ponte attraverso cui l’umanizzazione del divino si è resa manifesta.
Nell’arco della storia, soprattutto in alcune civiltà, si procedeva verso un processo di tabuizzazione del corpo della donna, soprattutto nei momenti della sua massima apertura: il suo ciclo mensile, il parto, i giorni immediatamente successivi al parto. Come per tutto ciò che ha in sé una potenza creatrice che ci pervade, ci tocca, ci riguarda ma temiamo di non controllare e che abbia conseguenze di notevole entità sulla nostra ed altrui vita, anche per il corpo femminile è stato avviato un progressivo processo di tabuizzazione.
Per molto tempo il maschio rifuggiva la donna “aperta” (le donne in tutti quei tipici periodi della loro vita erano escluse, tenute lontane, considerate impure, intoccabili) come fosse pericolosa, mentre lui preferiva celebrare la guerra e il sacrificio militare come fosse quasi indispensabile e vitale. Che paradosso!
5)La potenza della parola e della sessualità
In quasi tutte le epoche gli strumenti di potenza “creativa” per eccellenza sono la parola e la propria virilità. Ques’ultima permette una proiezione fuori di sé che feconda ed origina qualcosa che comunque, seppur altro, è somigliante a sé. La parola è anche lei una realtà che proviene da sé, si proietta all’esterno ed è generatrice di altre realtà.
Tutte le nostre parole-logos- anche se non sono spesso parole divine come quelle del verbo unico divino, sono generatrici di qualche conseguenza sul piano della realtà individuale o relazionale. Non a caso le parole feriscono o guariscono e la logoterapia si offre come strumento di indagine e cura.
In molte culture, soprattutto maschiliste, per tale motivo, alla donna è vietata la parola, è impedita la preghiera (dialogo con dio), è vietata la presenza e partecipazione alle cerimonie religiose, è bandito il sacerdozio.
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