La morte del teologo e sociologo africano, p. Jean-Marc Ela, avvenuta il 25 dicembre scorso, non ha avuto molta risonanza se non a livello locale, in Camerun, suo Paese natale, e su qualche sito internet continentale.
Dal 1995 Ela viveva in volontario esilio in Canada (insegnava sociologia all'Università di Laval, Montreal): se fosse rimasto a Yaundé, probabilmente sarebbe stato ucciso, come il suo collega gesuita p. Engelbert Mveng, assassinato qualche mese prima da una setta segreta legata ai poteri per "impossessarsi" magicamente delle sue capacità intellettive e, fattualmente, del suo cervello.
La sua feconda opera teologica – ricordiamo qui La mia fede di africano, Il grido africano, Ecco il tempo degli eredi e Ripensare la teologia africana (sintesi sistematica del suo pensiero, del 2003) – è stata tutta tesa all'inculturazione in Africa del messaggio cristiano e alla liberazione dell'uomo africano dalla dipendenza culturale ed economica dell'Occidente.
Rimproverava alla Chiesa del suo Paese di aver adottato un modello di fede che ignora le necessità dei popoli africani. Chiamò la sua ricerca la "teologia sotto l'albero" convinto com'era che non fosse da insegnare nel chiuso delle aule universitarie, ma ad un pubblico vasto e anche illetterato.
Scompare con lui un grande studioso e un grande profeta. Egli è stato conosciuto soprattutto fuori dal suo Paese. In Camerun i vescovi gli hanno sempre tagliato la strada impedendogli di insegnare all'Università Cattolica o nei vari seminari. Visse in Camerun immerso completamente nella vita dei più poveri.
I suoi libri sono sorsate di ossigeno evangelico, una finestra aperta sull'Africa. Se n'è andato il giorno di Natale del 2008 e fino alla fine ha lavorato e studiato per l'Africa. Aveva compiuto 72 anni. I suoi libri resteranno preziosi per lunghi anni. La chiesa cattolica ufficiale che esalta gli obbedienti non ha detto una parola per un profeta di questo spessore umano ed evangelico.
Nei prossimi giorni riporterò su questo blog alcuni suoi recenti interventi.
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