(articolo di Paolo Bracalini tratto da "Il Giornale" di venerdì 10 luglio 2009)
(nella foto moto-tassista di Limbè- Camerun)
Segnatevi questa cifra per la prossima predica rock del Live Aid: 300 miliardi di dollari, trecento miliardi, gli aiuti mandati in Africa (la maggior parte a fondo perduto) negli ultimi 40 anni. L’altro numero da tenere a memoria è quello della crescita del continente africano, nella stessa porzione di tempo: meno dello 0,2 per cento all’anno (in media). Se ne potrebbe desumere che gli aiuti al terzo mondo non aiutino affatto lo sviluppo economico, ma l’autrice di Dead Aid (titolo-sfottò del grande evento benefico del musicista-terzomondista Bob Geldof) va molto oltre: il paesi africani restano inchiodati alla loro povertà, dice lei, a causa degli aiuti umanitari.
Dambisa Moyo, l’autrice di questo libro che è tra i bestseller del New York Times (Dead Aid, ed. Farrar, Strauss and Giroux, pagg. 188, euro. 19) non è solo un’ex economista della Goldman Sachs e prima ancora consulente della Banca mondiale. È anche una giovane donna africana, nata e cresciuta in Zambia, il che «se non può essere l’unica ragione per darle retta - scrive nella prefazione il grande storico scozzese Niall Ferguson -, è sicuramente una ragione in più per sentire cosa ha da dirci». Quello che Dambisa Moyo ha da dirci equivale a un cazzotto in pancia al modello del solidarismo fondato sugli aiuti umanitari, un prova drammatica dell’insuccesso di un sistema che sembra aver sortito come unico effetto la paralisi economica del continente africano, la moltiplicazione di conflitti tra bande affamate dei dollari umanitari, la lievitazione incontrollata della corruzione. Tutto sembra dimostrare che la solidarietà non aiuta ma fa danni, «l’idea che gli aiuti possano alleviare la povertà strutturale dell’Africa, e che lo abbiano già fatto, è un mito». Eppure «viviamo nella cultura dell’aiuto».
È la cultura che permea la musica pop, è lo sfondo dei mega eventi rock, il solidarismo terzomondista «è diventato parte dell’industria dell’intrattenimento. Le star della tv e del cinema, le leggende del rock fanno propaganda per gli aiuti, e i governi gli vanno dietro per la paura di perdere popolarità. Bono degli U2 partecipa ai summit mondiale sulla fame e Bob Geldof, per usare le parole di Tony Blair, è “una delle persone che ammiro di più”», scrive la Moyo. Alla fine, «gli aiuti sono diventati una merce culturale», un accessorio elegante da sfoggiare nelle serate di gala.E così, con l’avallo dei leader del pianeta e l’accompagnamento ad alto decibel delle grandi icone pop, «gli aiuti continuano a essere un incontrollato disastro politico, economico e umanitario per la maggior parte del mondo sottosviluppato». Perché gli aiuti economici causerebbero questo disastro nel Terzo mondo? La Moyo descrive la deriva di un’economia «aid dependent», ancorata cioè ai fondi umanitari come unica ma costante e torrenziale forma di sostentamento economico. Il moto è quello di una giostra, merry-go-round, che torna sempre su se stessa senza muoversi di un passo. Il circolo è tra sovvenzione internazionale e corruzione endemica dei governi sovvenzionati dall’Occidente.
«Gli aiuti internazionali finanziano governi corrotti. I governi corrotti ostacolano lo sviluppo di libertà civili e impediscono la nascita di istituzioni trasparenti. Questo scoraggia gli investimenti nazionali e stranieri».
Primo risultato: l’economia ristagna, non si crea lavoro, la povertà cresce o non si riduce. Secondo risultato: «In risposta alla crescente povertà i benefattori occidentali daranno ancora più aiuti, alimentando la spirale stessa della povertà». I miliardi di aiuti internazionali fanno gola ai governi corrotti ma anche alle bande di guerriglieri, alle fazioni tribali, e sono ancora gli aiuti la principale cause - secondo la giovane economista africana - delle guerre civile che insanguinano il continente. L’esercito dei «donors», dei benefattori, costituito da funzionari della Banca mondiale (10mila persone), dalle agenzie dell’Onu (5mila persone), dalle 25mila Ong registrate, forma una massa di 500mila impiegati dell’«industria della bontà», che produce aiuti con un’automatica coazione a ripetere. La ricetta draconiana della Moyo per l’Africa è diversa ed è questa: imparate dall’Asia. «Solo 30 anni fa il Burkina Faso, il Malawi e il Burundi erano davanti alla Cina quanto a reddito pro capite». Ma sono stati gli investimenti esteri e le esportazioni a trasformare la Cina in potenza mondiale, non gli aiuti.
Nessun commento:
Posta un commento