Riporto un tratto di un articolo di Riccardo Chiaberge apparso sul Sole24ore, intitolato "Il dispotismo morbido (secondo i neocon)". Riccardo l'ho conosciuto un mese fa, quando è venuto a Padova per incontrarmi. Sta preparando un libro dove ha intenzione di inserire anche la mia esperienza.
Sull’ultimo numero del «Weekly Standard», settimanale di destra americano, il filosofo neocon Harvey Mansfield mette in guardia dai rischi del «dispotismo morbido». Non si riferisce ovviamente ad Ahmadinejad e ai suoi sgherri, che di morbido hanno ben poco come purtroppo stiamo vedendo in questi giorni, ma a una «deriva» insidiosa, per quanto meno drammatica e nient’affatto cruenta, delle democrazie contemporanee. Il primo a parlare di «despotisme doux» è stato Alexis de Tocqueville: invece di far tremare la gente di paura, come le tirannie vere e proprie, questa forma di autoritarismo strisciante dispensa regalie ed elemosine ai cittadini-sudditi. In tal modo, spiega Tocqueville, «non spezza le volontà, ma le ammorbidisce, le piega e le dirige». Ti insegna perfino come migliorare la tua vita. Ma il prezzo delle elargizioni è di ostacolare e scoraggiare ogni attività politica e associativa, riducendo la democrazia a una massa di individui disgregati. Il dispotismo «dolce», sostiene Mansfield, è la minaccia più grave che oggi incombe sulle società libere: non gli stati canaglia o l’asse del Terrore, non qualche riedizione dei totalitarismi novecenteschi, ma un nemico subdolo, una sorta di Alien dall’apparenza benigna e accattivante, cresciuto nelle viscere stesse del sistema.
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