Si moltiplicano le feste multietniche.
Ho già pubblicato post simili, ma ci tengo a riproporre questa riflessione.
Un conto è parlare di incontro tra i popoli, un conto è viverlo, sperimentarlo sulla propria pelle.
Recentemente ho partecipato ad una festa di una importante associazione che promuove l'incontro tra i popoli. Oltre al fatto che mi è parso di vedere troppe teste bianche, mi ha colpito l'impronta troppo intellettuale della festa. Si è parlato di "come bisogna vivere", tutti i relatori (tranne uno) erano uomini, maschi, preti e mezzi preti. Lo schema, vincente di qualche anno fa, ora si presenta vecchio, superato, in attesa di qualcosa di nuovo.
Le feste multietniche, dove ogni popolo presenta ed espone i propri piatti titici, le musiche tradizionali e le stoffe colorate, sono importanti. Per rompere il ghiaccio in questo nordest impaurito dalla diversità e dalla novità.
Ma vanno da subito arricchite, superate con esperienze di incontro reale dove si affrontano i problemi di un territorio sotto vari punti di vista culturali.
Ho visto che questo è possibile. Mi è capitato in due occasioni, alla presentazione di un libro di un'amica ivoriana e ad un dibattito con un rappresentante della Lega, di ascoltare gli interventi di alcuni immigrati, italiani a tutti gli effetti, che conoscevano la costituzione italiana, le leggi e i programmi politici, più di me. Rivendicavano il loro diritto al voto, in un Paese dove pagano le tasse.
Invitavano a non generalizzare e considerare tutti gli stranieri dei delinquenti.
Ci ricordavano che l'Italia non ha ancora creato una politica sull'immigrazione che guardi al futuro, e non si preoccupi solo dell'immediato.
Insomma, qualcosa in più delle classiche feste multietniche si può!
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