mercoledì 24 marzo 2010

A TRENT'ANNI DALL'UCCISIONE DI MONS ROMERO

WOJTYLA PRETESE O ESCLUSE?
Due testimonianze in contrasto tra di loro. A chi dobbiamo credere?
Ogni profeta, dopo la morte, diventa un martire "indimenticabile" sia agli occhi dell'istituzione che, in qualche modo, ha permesso quella morte sia agli occhi della povera gente per la quale ha donato la vita.
Se mons. Romero potesse parlare!


Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio e storico della Chiesa, scrive oggi su Il Corriere della Sera:

"Papa Wojtyla aveva intuito la profondità drammatica della vita di Romero. Nel 1983, in visita al Salvador dopo la contestazione del Nicaragua sandinista, pretese di andare sulla sua tomba cambiando programma. La cattedrale era chiusa. Aspettò caparbiamente che gliela aprissero e si inginocchiò stendendo le mani sulla tomba e dicendo: Romero è nostro".


Josè Maria Vigil, teologo spagnolo, scrisse invece:

[...]Romero conobbe
solo i primi diciassette mesi del pontificato
di Giovanni Paolo II, ma questo
breve tempo fu sufficiente per manifestare
il conflitto.

[...]Quando fu a Roma, la curia vaticana
gli creò delle difficoltà per concedergli
l’incontro con Giovanni Paolo II,
dovendosela procurare personalmente,
arrivando fisicamente a fianco del
Papa durante l’udienza generale per
reclamarla.

[...]Si può dire che il conflitto proseguì
dopo la sua morte: Giovanni Paolo II
escluse dal programma della sua
visita a San Salvador una visita alla
tomba di Romero, includendola poi
in modo imprevisto e fuori programma,
così che da un lato la “compì”
ma dall’altra non acconsentì a condividere
la sua devozione per Romero,
mettendo così in chiaro che non
la avallava.

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