lunedì 8 novembre 2010

Questioni di "integrazione"

Anche a Padova il multiculturalismo è fallito

Il multiculturalismo è fallito. Per la Merkel, per Zaia, per molti altri e anche per me. Diverse etnie non possono vivere l'una accanto all'altra come diversi prodotti di un supermercato. Nella prima corsia a destra: scuole speciali per i figli di immigrati o per bambini che presentano un ritardo mentale. A sinistra: quartiere cinese, ghetti abitati da africani e monolocali subaffittati. Nella seconda corsia in fondo un reparto transculturale suddiviso ulteriormente per categoria: quartiere gay e a luci rosse, piazza per universitari di sinistra e piazza per figli di papà.
L'integrazione secondo il modello multiculturale prevede la convivenza delle diversità, fianco e fianco, ma con una linea di separazione che difende e cristallizza ciascuna identità. Nei quartieri popolari gli operai, nelle zone residenziali avvocati e dottori. Nei condomini dell'Ater famiglie in difficoltà, nel centro storico appartamenti in affitto a studenti. Negli uffici i bianchi, nelle concerie i neri. Buon cuore per le Ruby bisognose, intransigenza per i Salem che hanno sbagliato soltanto una volta. Un quartiere, un ghetto, un pregiudizio, un problema. Un universo accanto all'altro. Uno di qua, uno di là. Senza alcuna possibilità di interazione, di fecondazione e di arricchimento reciproco. Proprio in questo sta il fallimento del multiculturalismo, del ghetto in via Anelli, della percezione di paura nei confronti dell'immigrato clandestino. Germania e Padania fanno quindi un passo indietro, sperando che l'integrazione secondo il modello assimilatorio potrà funzionare. Ma la Francia delle banlieu parigine ci ha insegnato che non è possibile. Forzare menti diverse a pensare allo stesso modo, fedi diverse a pregare allo stesso modo e tradizioni diverse a comportarsi allo stesso modo, crea confusione, violenta e patologica. "Nuovi italiani" li definisce l'ultimo rapporto della Caritas nazionale, riferendosi ai cinque milioni di immigrati regolari presenti nel nostro Paese. Ma i miei figli, nati a Padova, da madre nigeriana e padre italiano, saranno nello stesso tempo africani e italiani. Nulla di cui vergognarsi. Una fortuna in più, non un problema. Un bagaglio culturale più ricco, aperto, elastico, dinamico. Fuori dalla scuola elementare alcune bambine padovane toccano incuriosite le treccine di mia figlia, toccano qualcosa di nuovo e lo ammirano. E imparano. Ecco le culture che si incontrano, che crescono assieme nella scuola pubblica, veri centri di Intercultura.
L'unica alternativa rimane un'integrazione secondo uno stile interculturale, dove la contaminazione viene accolta come fattore positivo e necessario per l'evoluzione di una società.

(pubblicato su Il Mattino di Padova, il 6.11.10)

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