Intervista a Macha Chmakoff, psicanalista e pittrice (leggi tutto)
Da dove deriva questa propensione a “stravolgere” la religione?
A partire dai lavori di Freud e dei suoi successori è diventato chiaro che la religione risponde naturalmente ad un buon numero di angosce inconsce. Offre un’immagine paterna insieme protettiva e in grado di dare un significato al senso di colpa. Propone dei riti suscettibili, come ogni rito, di proteggere il soggetto dal pericolo rappresentato dalle pulsioni. Dà un’identità forte grazie all’appartenenza ad un gruppo. Questo non ha niente di scioccante in sé: il credente è un essere umano e, per far fronte all’angoscia, tutti gli esseri umani ricorrono a questo tipo di funzionamento che si declina in modi più o meno simili negli ambienti laici. I problemi sorgono quando la religione non serve più solo ad evitare l’angoscia, ma ad evitare l’origine stessa dell’angoscia. L’origine dell’angoscia sta, da un lato nella nostra vita pulsionale inconscia e, dall’altro, al centro della nostra identità umana: la mancanza fondamentale che nasce in noi dal confronto tra i nostri limiti e il nostro desiderio di infinito, di assoluto.
Un giovane che entra molto presto in una comunità può evitare di prendere in considerazione la sua difficoltà a diventare autonomo. Una giovane donna che si sposa molto precocemente e che ha molti figli può evitare di affrontare il problema della propria identità reale. Il seminarista che ha delle difficoltà sessuali o semplicemente fa fatica a porsi in rapporto con le donne accantona tutti questi problemi. Il responsabile di comunità molto generoso può mettersi a distanza da una sofferenza psichica nata da conflitti intrapsichici profondi, donandosi agli altri.
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