(tratto da un intervento di Massimo Cacciari, in occasione del 65° anniversario dell'eccidio di Marzabotto)
Perdonare: è possibile in politica? È possibile nelle relazioni sociali, politiche,
laiche nel senso letterale del termine, cioè che riguardano il nostro mondo
quotidiano, profano, è possibile perdonare? Io direi no, se per perdonare
intendiamo davvero quello che c'è scritto ad esempio nel Vangelo. In politica
quel tipo di perdono non credo sia possibile. Quel tipo di perdono che rispetto
al nemico giunge fino a quel supremo atto che Gesù ci indica come esempio,
cioè la parola più alta, davvero sovrumana, del Vangelo, davvero divina, direi,
del Vangelo: ama il nemico. Che significa: porgi l'altra guancia quando ti
colpisce. Ecco, questa misura così divina di perdono io credo che non sia
possibile in politica. È una idea che bisogna tener viva, che bisogna sentire -
facendo politica, nei nostri affari quotidiani, nel nostro impegno civile di ogni
giorno - dobbiamo sentire questa nostra incapacità di porgere l'altra guancia e
di perdonare in questo modo come una mancanza profonda. Dobbiamo sentire
dolore di non poterlo fare. Non dire: non lo possiamo fare. No. Dobbiamo
sentire dolore di non poterlo fare. Ma non lo possiamo fare, se siamo onesti con
noi stessi. Quella misura non è possibile.
Ma guai ad ascoltare l'invito del perdono, come spesso avviene, come fosse un
invito a dimenticare. Perché questo è il trucco, fra virgolette: bisogna riuscire a
perdonare come significasse "dimentichiamo". No. Gesù non dimentica. Tant'è
vero che dice: ama il nemico. Quindi sa che è un nemico. Ha di fronte un
nemico. Lo sa. Non dice: mi sono dimenticato che è un nemico. Quindi il
perdono non significa comunque affatto dimenticare. Non può significare
affatto dimenticare. Anzi, per perdonare è necessario ricordare con ancora più
intensità, passione e dolore, che se si volesse semplicemente un'opera di
vendetta. Questo è il punto fondamentale da capire. Ebbene sì, forse non
siamo capaci di perdonare come ci dice Gesù, ma siamo capaci di ricordare. E
ricordare è in qualche modo la forma nostra di perdono, perché nel ricordare
che cos'è che ricordiamo? Che cos'è che ricordiamo oggi qui a Marzabotto?
Ricordiamo l'incommensurabilità tra la colpa che qui è stata commessa e ogni
ordine di pena. Nessuna pena è sufficiente per quello che è stato commesso.
Non c'è pena per crimini contro l'umanità. E quindi non chiediamo vendetta.
Non saremo capaci forse politicamente di perdonare, ma se ricordiamo non
chiederemo vendetta, perché se ricordiamo, ricordiamo che quello che qui è
stato commesso non può essere risarcito in nessun modo, che nessuna pena
basterebbe.
Questo è un perdono laico. Questo è un perdono politico. Il ricordare è il nostro
perdono. E il ricordare nei termini che qui abbiamo detto, non il ricordare
soltanto ciò che è stato, ma il ricordare le cause di ciò che è stato, essere
attenti e responsabili nei loro confronti, perché quelle sì si ripetono
continuamente e possono portare fino a quell'estremo. E essere responsabili
significa, e essere responsabili qui a Marzabotto significa che noi, davvero, non
potremo ritenere questa Terra, questo mondo, e ormai siamo un mondo, e
Marzabotto fa parte di un mondo, e tutti noi siamo globalizzati, volenti o
nolenti… Non possiamo, dobbiamo dircelo, no, noi non riteniamo che si possa
vivere in un mondo dove ci sono o anche soltanto ci fosse un solo angolo di
inferno. Noi, qui, questa è la nostra responsabilità. Qui a Marzabotto questo
dobbiamo dirci. Ricordando quello che è stato, questo dobbiamo dirci. Noi non
riterremo umano un mondo fintanto che in questo mondo ci sarà un solo
angolo di inferno. E purtroppo non c'è un solo angolo di inferno a questo
mondo. C'è mezzo mondo che è ancora un inferno. E questo non è
sopportabile. Non è più sopportabile. E questo deve chiamare in causa ogni
Stato, ogni governo, ogni organismo sopranazionale, ma anzitutto, per le
ragioni che ho detto, la coscienza di ognuno di noi.
Grazie, amici.
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