domenica 26 agosto 2012

Ambiente contro Lavoro?


Un contributo di Gianni Alioti 
(tratto da "L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto. Terza parte)"

Si è molto parlato e scritto - questa estate - sugli operai
dell’Ilva. Se hanno o no coscienza della nocività causata dal loro
lavoro. Su cosa e quanto fanno a tutela della salute dei tarantini.
Una cosa è certa. Non è giusto colpevolizzarli per l’inquinamento. 
Come tutti i “salariati” anche i lavoratori di Ilva soffrono dell’innegabile 
debolezza della loro posizione.
Devono scegliere tra disoccupazione e accettazione del rischio. Anzi
nel caso di Taranto, molti di loro, vivono il rischio ambientale due
volte, sul posto di lavoro e fuori.


Il bisogno “mediatico” di semplificare ha generato facili
estremismi. Ambiente contro Lavoro. Nero e Bianco. On - Off. 
Eppure non tutti gli ambientalisti sono degli irresponsabili che vogliono
mandare in mezzo alla strada diciottomila lavoratori e le loro
famiglie. E gli operai non sono dei pazzi che vogliono avvelenare la
loro città per mantenere il proprio lavoro. Il bisogno di
semplificare ha, però, creato contrapposizioni. Nell’uno o
nell’altro senso, si prospettano soluzioni solo drastiche. Chiusura
o mantenimento dell’esistente. Con qualche “rattoppo”.


Non c’è mai stato invece, come in questo caso, la necessità di
rifiutare le semplificazioni. E tener conto della complessità.
Tracciando una linea di frattura e di discontinuità con il passato.
A partire dalle relazioni industriali in Ilva, come sostenuto da
Mimmo Panarelli.


Immaginare oggi un futuro per Taranto, ambientalmente, economicamente 
e socialmente sostenibile, significa immaginare una nuova modalità
di produrre acciaio. Con le migliori tecnologie disponibili. Con la
partecipazione dei lavoratori e il controllo della città. Con una
transizione verso il superamento di cokerie e agglomerato (eliminando
alla fonte benzene, benzo(a)pirene, diossine e idrocarburi
policiclici aromatici). Attraverso impianti di riduzione diretta del
minerale di ferro. Coprendo i parchi minerali. Rimodulando le
produzioni. Mantenendo a fine campagna gli attuali altoforni e
sostituendoli gradualmente con i nuovi impianti.


Antonio Pennacchi, un ex-operaio, oggi scrittore di successo, ha
detto con una punta d’ironia che: «Non si può sognare un mondo
verde, senza fabbriche, nel quale ci si sposta con la sola
bicicletta. Perché anche per la bicicletta ci vuole l'acciaio».

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