sabato 28 febbraio 2009

MARTIN, LE RONDE E LA GIUSTIZIA IN AFRICA

(pubblicato su "Il Mattino di Padova" sabato 28 febbraio)


Davanti a un african shop di via Avanzo, Martin, 26 anni, ghanese, non sembra affatto preoccuparsi dell'arrivo delle ronde, che potrebbero ulteriormente disturbare i traffici illeciti di molti abituali frequentatori della stazione e dintorni. “Non hai paura delle ronde?” gli chiedo in tono provocatorio. “Solo di Dio ho paura” mi risponde immediatamente, tenendo la bottiglia di birra in mano. La proposta di coinvolgere i cittadini stessi a sorvegliare alcune zone “calde” della propria città, in aggiunta al servizio normalmente svolto dalle Forze dell'Ordine, sembrerebbe un invito alla partecipazione e alla corresponsabilità, così come accade in molte civiltà non ancora occidentalizzate. “Anche in Africa, nel villaggio dove sono nato e cresciuto – prosegue il ghanese - le leggi vengono fatte rispettare dagli abitanti stessi. La polizia esiste, ma arriva sempre dopo, quando la giustizia è già stata fatta!”
Mentre parla, Martin apre il suo portafogli, estrae una foto di qualche anno fa e me la mostra: “Vedi, questi uomini per terra sono stati giustiziati dalla gente del villaggio perchè hanno rubato, rapito e ucciso molte persone. I loro cadaveri sono rimasti lì, sulla piazza centrale, per alcuni giorni perchè tutti, compresi i bambini, potessero capire la lezione. Chi non rispetta le leggi verrà punito. Tra loro purtroppo c'era anche mio zio”.
Rimango particolarmente scosso dal suo racconto e dai metodi educativi adottati nel suo villaggio, ma credo di intravvedere alcune differenze tra i due sistemi culturali. Nell'Africa dei villaggi, dove il bene della comunità è più importante del bene del singolo individuo, dove la famiglia non si riduce a stretti legami di sangue, lo schiaffo di un padre o le botte di un vicino di casa feriscono e insegnano di più di una manganellata del polizziotto di turno. Nell'Italia delle città sempre più multietniche, delle relazioni familiari in crisi, dell'individualismo e dello sradicamento, si è perso quello spirito comunitario tra inquilini di uno stesso condominio o residenti di una via o di un intero quartiere.
“Secondo te, da quali motivazioni saranno mossi i volontari che formeranno le ronde?” Martin abbassa la testa per qualche secondo, poi mi risponde: “Mi sento indignato dal comportamento di alcuni miei fratelli africani che hanno rovinato la nostra reputazione. Ma ho paura che la rabbia di molti cittadini padovani non porti a nulla, se non a ulteriore violenza. La vera battaglia non è tra padovani e stranieri ma tra onesti e delinquenti”. Parole saggie di un vero panafricano, che si disperdono nel vento dell'ignoranza e si confondono tra i rumori assordanti di propagande passeggere e di eccezioni che confermano pregiudizi. Se un volontario potrà dare una lezione a un immigrato incivile, potrà una maestra dare uno schiaffo ad un alunno maleducato? Martin sorride e mi saluta con una pacca sulle spalle.

giovedì 19 febbraio 2009

VIAGGIO IN CAMERUN


Lungo le strade di terra rossa...
incontrare e incontrarsi...
dal 31 maggio al 15 giugno 2009

Promotori e accompagnatori
-Federico Bollettin, scrittore e operaio, ha frequentato l'Istituto Interculturale di Montreal (Canada), collabora come opinionista per “il Mattino di Padova”, ed è membro del consiglio direttivo di Macondo ONLUS.
-Eliot Ngounou, comerunese, laureato in matematica, mediatore culturale nella Riviera del Brenta (VE), lavora come operaio al mercato agroalimentare di Padova ed è membro del consiglio direttivo di Migramente, associazione interculturale.
- Macondo ONLUS, associazione per l'incontro e la comunicazione dei popoli, con sede a Pove del Grappa (VI), reg. reg. veneto cod. VI0224, visita il sito www.macondo.it

Scopo del viaggio
Lo scopo del viaggio è, prima di tutto, quello di conoscere uno stato africano, non-raccontato dal mondo occidentale, con uno sguardo che cerca di vedere oltre la prospettiva assistenzialista.
Il Camerun gode attualmente di una situazione politica tranquilla, priva di guerre di religione o lotte civili.
Inoltre sarà l'occasione per continuare il rapporto di collaborazione con un gruppo di giovani di un villaggio per la realizzazione del “progetto Ngambè Tikar” che prevede la costruzione di una casa, sede per le associazioni locali (Association des Jeunes pour le Dèveloppement e Association pour l'enfance desheritee et handicapee).

Requisiti fondamentali
Spirito di adattamento
Sufficiente maturità relazionale
Svuotamento delle proprie verità per accogliere il “diverso” fuori e dentro di sé

Programma del viaggio
Domenica 31 maggio: Partenza da Venezia alle 9.50 e arrivo all'areoporto di Douala alle 19.25, sistemazione presso un istituto missionario francese “Procure Generale des Missions Catholiques” (+237.3422797).
Lunedì 1 giugno Visita alla città, al mercato e al porto. Incontri di carattere culturale all'università, momenti di condivisione. Douala by night.
Martedì 2 Partenza per la costa, a Limbè, e sistemazione presso l'hotel Seme (www.semebeach.com). Recapito telefonico +237.77934546
Mercoledì 3 Giornata in spiaggia, tra sabbia color nero e acqua minerale limpidissima.
Limbè by night
Giovedì 4 Camminata nei villaggi di pescatori e ritorno a Douala
Venerdì 5 Partenza per Yaoundè e intervista alla radio RTS www.cameroonvoice.com
Sabato 6 Visita alla città e partecipazione ad una festa di matrimonio
Domenica 7 Partenza per Ngambè Tikar, arrivo e sistemazione. Recapito telefonico di P. Jacques Yanga, +237.99334060
Lunedì 8 Saluto del capo del villaggio e incontro con i giovani dell'associazione “Association des Jeunes pour le Dèveloppement” per organizzare i lavori
Martedì 9 Visita all'ospedale, alla segheria e ai luoghi di disboscamento
Mercoledì 10 Viaggio dentro alla foresta e incontro con una comunità di pigmei
Giovedì 11 Vita in famiglia
Venerdì 12 Vita in famiglia e serata di festa
Sabato 13 Ritorno a Douala
Domenica 14 Verifica finale dell'esperienza e alle 22.40 partenza dall'areoporto di Douala
Lunedì 15 Arrivo a Venezia alle 9.00

Note tecniche
-Il gruppo sarà composto da 12 persone max, per facilitare gli spostamenti e la comunicazione tra i partecipanti. L'iscrizione terminerà all'esaurimento dei posti.
-Il prezzo complessivo dell'esperienza è di 1400 euro (volo + assicurazione + visto + vitto e alloggio + spostamenti interni)
-É obbligatorio il vaccino contro la febbre gialla da inserire dentro al passaporto.
-Saranno previsti 2 incontri di preparazione a Padova, tra marzo e maggio.

JEAN-MARC ELA, MORTO IN ESILIO

La morte del teologo e sociologo africano, p. Jean-Marc Ela, avvenuta il 25 dicembre scorso, non ha avuto molta risonanza se non a livello locale, in Camerun, suo Paese natale, e su qualche sito internet continentale.
Dal 1995 Ela viveva in volontario esilio in Canada (insegnava sociologia all'Università di Laval, Montreal): se fosse rimasto a Yaundé, probabilmente sarebbe stato ucciso, come il suo collega gesuita p. Engelbert Mveng, assassinato qualche mese prima da una setta segreta legata ai poteri per "impossessarsi" magicamente delle sue capacità intellettive e, fattualmente, del suo cervello.
La sua feconda opera teologica – ricordiamo qui La mia fede di africano, Il grido africano, Ecco il tempo degli eredi e Ripensare la teologia africana (sintesi sistematica del suo pensiero, del 2003) – è stata tutta tesa all'inculturazione in Africa del messaggio cristiano e alla liberazione dell'uomo africano dalla dipendenza culturale ed economica dell'Occidente.
Rimproverava alla Chiesa del suo Paese di aver adottato un modello di fede che ignora le necessità dei popoli africani. Chiamò la sua ricerca la "teologia sotto l'albero" convinto com'era che non fosse da insegnare nel chiuso delle aule universitarie, ma ad un pubblico vasto e anche illetterato.
Scompare con lui un grande studioso e un grande profeta. Egli è stato conosciuto soprattutto fuori dal suo Paese. In Camerun i vescovi gli hanno sempre tagliato la strada impedendogli di insegnare all'Università Cattolica o nei vari seminari. Visse in Camerun immerso completamente nella vita dei più poveri.
I suoi libri sono sorsate di ossigeno evangelico, una finestra aperta sull'Africa. Se n'è andato il giorno di Natale del 2008 e fino alla fine ha lavorato e studiato per l'Africa. Aveva compiuto 72 anni. I suoi libri resteranno preziosi per lunghi anni. La chiesa cattolica ufficiale che esalta gli obbedienti non ha detto una parola per un profeta di questo spessore umano ed evangelico.

Nei prossimi giorni riporterò su questo blog alcuni suoi recenti interventi.

martedì 17 febbraio 2009

LA VITA VIENE DALLA TERRA di Frei Betto

Dobbiamo cancellare molte idee dalla nostra testa. Per esempio, l'idea che noi esseri umani siamo al di sopra della natura. Un'idea che deriva da una lettura errata del libro del Genesi. Molti di noi hanno appreso a catechismo che Dio creò il mondo in sette giorni e che il sesto giorno creò l'uomo e la donna perché amministrassero quello che aveva creato nei primi cinque. Non abbiamo tenuto presente il significato dei nomi di Adamo e di Eva. Adamo significa terra, Eva significa vita. Cosa vuol dire con questo la Bibbia? Che la vita umana viene dalla terra, che non ci troviamo al di sopra di essa. Noi siamo emersi dalla creazione divina o, detto altrimenti, da 14 miliardi di anni di evoluzione dell'universo. Tutto quello che c'è nel nostro corpo in termini di atomi, i quali formano le nostre molecole che a loro volta costituiscono le nostre cellule, è esattamente uguale a quello che c'è in questa vegetazione: si tratta degli stessi atomi che costituiscono le molecole di questo palco, gli stessi atomi che compongono tutte le stelle dell'universo. Perché questo miracolo della vita di ciascuno di noi sia stato possibile, si è resa necessaria un'evoluzione di 14 miliardi di anni. In questo processo l'essere umano è recentissimo: se noi racchiudessimo l'evoluzione dell'universo in un anno, dal primo gennaio al 31 dicembre, la vita apparirebbe il 9 settembre: l'universo si sarebbe evoluto per otto mesi per generare questo miracolo chiamato vita. L'ossigeno è un gas mortale: i grandi transatlantici hanno vita breve perché si ossidano. Ma in natura è avvenuto questo miracolo: le cellule hanno imparato a trarre vita da un gas mortale. Perché è proprio l'ossigeno che ci alimenta. È come se qualcuno traesse salute dal fumare crack! E in questo processo evolutivo concentrato in un anno, la vita umana apparirebbe l'ultimo minuto del 31 dicembre, circa 8 milioni di anni fa. Il nostro problema è che noi separiamo quello che non è mai esistito separato: non c'è l'essere umano da una lato e la natura dall'altro, l'essere umano è un essere naturale.

VIOLENZA ALLE DONNE

In un contesto di insicurezza (in parte reale, in parte enfatizzata dai media e da settori della politica), di continua emergenza e paura per azioni terroristiche e per le contraddizioni provocate dalla nuova dimensione dei flussi di immigrazione, nel dibattito pubblico la matrice della violenza patriarcale e sessuale è stata spesso riferita a culture e religioni diverse dalla nostra. Molte voci però hanno insistito giustamente sul fatto che anche la nostra società occidentale non è stata e non è a tutt'oggi immune da questo tipo di violenza. E' anzi possibile che il rilievo mediatico attribuito alla violenza sessuale che viene dallo "straniero" risponda a un meccanismo inconscio di rimozione e di falsa coscienza rispetto all'esistenza di questo stesso tipo di violenza, anche se in diversi contesti culturali, nei comportamenti di noi maschi occidentali.
Si è parlato dell'esigenza di un maggiore ruolo delle istituzioni pubbliche, sino alla costituzione come parti civili degli Enti Locali e dello Stato nei processi per violenze contro le donne. Si è persino messo sotto accusa un ipotetico "silenzio del femminismo" di fronte alla moltiplicazione dei casi di violenza.
Noi pensiamo che sia giunto il momento, prima di tutto, di una chiara presa di parola pubblica e di assunzione di responsabilità da parte maschile. In questi anni non sono mancati singoli uomini e gruppi maschili che hanno cercato di riflettere sulla crisi dell'ordine patriarcale. Ma oggi è necessario un salto di qualità, una presa di coscienza collettiva. La violenza è l'emergenza più drammatica.
Una forte presenza pubblica maschile contro la violenza degli uomini potrebbe assumere valore simbolico rilevante. Anche diffondendo e firmando questo Appello, convocando nelle città manifestazioni, incontri, assemblee, per provocare un confronto reale.
Siamo sempre più convinti che un filo unico leghi fenomeni anche molto distanti tra loro ma riconducibili alla sempre più insopportabile resistenza con cui la parte maschile della società reagisce alla volontà che le donne hanno di decidere della propria vita, di significare e di agire la loro nuova libertà: il corpo femminile è negato con la violenza. E invece viene anche disprezzato e considerato un mero oggetto di scambio (come ha dimostrato il recente scandalo sulle prestazioni sessuali chieste da uomini di potere in cambio di apparizioni in programmi tv ecc.). Viene rimosso da ambiti decisivi per il potere: nella politica, nell'accademia, nell'informazione, nell'impresa, nelle organizzazioni sindacali. Lo sguardo maschile non vede ancora adeguatamente la grande trasformazione delle nostre società prodotta negli ultimi decenni dal massiccio ingresso delle donne nel mercato del lavoro.
Proponiamo e speriamo che finalmente inizi e si diffonda in tutta Italia una riflessione pubblica tra gli uomini, nelle famiglie, nelle scuole e nelle università, nei luoghi della politica e dell'informazione, nel mondo del lavoro, una riflessione comune capace di determinare una svolta evidente nei comportamenti quotidiani e nella vita di ciascuno di noi."
Per controfirmare l'Appello : info@maschileplurale.it

Coscienza Maschile è una esperienza promossa da Progetto "nazionale" la ragazza di Benin City, La strada delle rose (Cremona e Verona), Cattiviragazzi (Pavia); referente claudio.magnabosco@gmail.com (Aosta)

sabato 14 febbraio 2009

I MEDICI RIFIUTANO DI FARE LA SPIA

A Padova ho sentito con grande piacere che i medici e gli infermieri, di fatto, si rifiutano di segnalare alla Questura la presenza di clandestini tra i loro pazienti, secondo il recente provvedimento. E' un gesto di grande umanità. Di fronte al dolore e alla malattia siamo tutti uguali, aldilà di pezzi di carta e timbri con marche da bollo.
Sono fiero dell'ospedale civile di Padova che, in più occasioni, si è rivelato "luogo di grande civiltà". Certo, non mancano aspetti da migliorare, come le lunghe attese per una visita che portano a preferire le cliniche private, gestite dagli stessi medici dell'azienda pubblica. Ricordo un episodio di alcuni anni fa, quando un ragazzo nigeriano, Jude, è stato sottoposto a cure costosissime (risonanza magnetica per un'aneorisma cerebrale) pur essendo clandestino.
Quando vedo che dal mio stipendio vengono trattenuti molti soldi per le tasse e so che vengono spesi per questi obiettivi, allora lo accetto volentieri perchè divento sostenitore di interventi sociali dal carattere evangelico. Nella parabola del Buon Samaritano il sacerdote e il levita non si sono fermati a soccorrere il malcapitato per paura di sporcarsi di sangue e diventare quindi impuri, anteponendo l'osservanza di una legge liturgica all'obbligo di soccorso. I medici e gli infermieri di Padova si stanno comportando invece come il samaritano che privilegia il bene della persona e trasgredisce il precetto giudaico. In effetti, provenendo dalla Samaria, non era un giudeo e quindi aveva altri principi da osservare, per fortuna. Per fortuna non esistono applicazioni assolute di principi universali. Quel moribondo ha trovato la salvezza proprio perchè ha incontrato un uomo con un diverso codice civile di quello che vige nella regione dove è stato derubato e picchiato. Che strano! Ma è proprio così...

martedì 10 febbraio 2009

SOCIAL FORUM DI BELEM

Il FORUM di Belém ha avuto un indubbio protagonista: i popoli indigeni dell'America Latina, che con 44 milioni di persone e 22 macro-etnie, rappresentano il 10% del continente ispano-brasiliano. Essi ci hanno ricordato la tragica data del 1492, quando iniziò il saccheggio globale e si inventò la teoria delle razze per giustificare l'etnocidio, la tratta degli schiavi e la persecuzione operata dagli stati repubblicani, dopo l'indipendenza dalle monarchie europee (inizi del XIX secolo). I rappresentanti dei popoli indigeni hanno diffuso una nota "Lotta globale per la Madre Terra contro la Mercificazione della Vita", che contiene molte delle tematiche discusse al SOCIAL FORUM.
Ne estraggo una sintesi telegrafica, sulla quale mi riprometto di tornare con alcune considerazioni in un altro momento.
Noi Popoli Indigeni Originari pratichiamo e proponiamo: l'unità tra Madre Terra, società e cultura. Educare la madre terra e lasciarsi educare da lei. Educazione all'acqua come diritto umano fondamentale e non la sua mercificazione. Decolonizzare il potere col "Comandare ubbidendo", autogoverno comunitario, Stati Plurinazionali, Autodeterminazione dei Popoli, unità nella diversità come altre forme di autorità collettiva. Unità, dualità, equità e complementarietà di genere. Spiritualità dal quotidiano e dal diverso. Liberazione da ogni dominazione o discriminazione razzista/etnicista/sessista. Decisioni collettive sulla produzione, mercato ed economia. Decolonizzazione delle scienze e tecnologie. Espansione della reciprocità nella distribuzione di lavoro, di prodotti, di servizi. Da tutto questo produrre una nuova etica sociale alternativa a quella del mercato e del profitto coloniale/capitalista.
Apparteniamo alla Madre Terra non siamo padroni, saccheggiatori, né venditori di lei ed oggi arriviamo ad una crocevia: il capitalismo imperialista ha dimostrato essere non solo pericoloso per la dominazione, sfruttamento, violenza strutturale ma anche perché ammazza la Madre Terra e ci porta al suicidio planetario che non è né "utile" né "necessario."

lunedì 9 febbraio 2009

CERCASI TRE CULLE

Sono nate tre gemelle a Padova,
da una coppia di pakistani che,
dopo due anni di sterili tentativi,
sono ricorsi alla fecondazione artificiale.
Tra qualche giorno le neonate usciranno dall'ospedale
e andranno a vivere al Portello con i loro genitori.
Tre bocche da sfamare,
tre corpi da vestire,
tre culle da comprare.
Se avete una culla, un passeggino o del vestiario accantonato da qualche parte,
o conoscete qualcuno che potrebbe regalarlo o prestarlo,
mettetevi in contatto con me al 329.1746567,
e farete un grande gesto di solidarietà.

sabato 7 febbraio 2009

EMERGENZA DEMOCRATICA ED ECCLESIALE

Carissima/o,
siamo in piena emergenza democratica e in pieno fondamentalismo ecclesiale, con invasioni di campo indebite e dannose all’annuncio evangelico.
Sento il bisogno di collegarmi con te, come altre volte, per trovare il modo di assumere e di esprimere la nostra responsabilità cpmune.
Il negazionismo non riguarda solo la Shoà, ma nella Chiesa riguarda anche il Concilio. Può essere l’occasione buona, come ha scritto Raniero La Valle, per riaprire il Concilio Vaticano II, invece di citarlo in qualche occasione. Hai in mente una modalità praticabile?
L’affermazione assoluta dei principi, senza alcun rapporto con i limiti della nostra umanità, porta alcuni che parlano a nome e rappresentano il Vaticano ad affermare una propria ideologia di Dio, che allontana dall’annuncio del Vangelo. Gesù sempre si è incontrato con le persone in carne ed ossa presentando un Padre dentro alla loro vita quotidiana.
Per affermare in astratto il principio della vita si eliminano le persone e la Chiesa è sentita sempre più come una nemica con cui fare i conti e scontrarsi nella società. In nome del principio astratto della vita diventiamo il paradigma di un’umanità senza misericordia. È una caratteristica costante di una Chiesa dove la verità non viene fatta con amore e perdono, ma soltanto con la definizione e l’affermazione.
Come sempre Avvenire tiene i toni e rinfocola gli atteggiamenti da crociata.
Che fare? Nella generalità dei casi, anche di fronte a queste emergenze, sono poche le persone che nella Chiesa discutono, fraternamente certo, ma sinceramente, tanto meno si espongono.
Riguardo a quanto sta succedendo nella prevaricazione di Governo sento forte la necessità di essere chiaro nei confronti di chi nella Chiesa si arroga il potere di rappresentarci e far sentire non solo la preoccupazione, ma anche il chiaro dissenso e opposizione nei confronti di scelte e di leggi che si accaniscono contro i più poveri e i più sfortunati (vedi immigrati) e nei confronti di comportamenti antiistituzionali che mettono a repentaglio l’ordinamento repubblicano e che mettono a rischio la convivenza civile e democratica.
Vedi utile ed opportuno ricollegarci a stretto giro di posta?
Aiuto! Ciao.
Albino Bizzotto (Beati Costruttori di Pace)


Carissimo Albino,
condivido le tue riflessioni, la tua sofferenza e indignazione per la situazione attuale che stiamo vivendo, come Chiesa “Popolo di Dio” in Italia. È una sensazione diffusa, presente in molti credenti, in molti laici, in molti intellettuali, in molte donne e uomini di buon senso. Gli ostacoli che secondo me impediscono singoli preti, animatori e responsabili e le relative comunità cristiane ad esporsi chiaramente sulle questioni attuali che tradiscono l'autentico messaggio evangelico sono due:
1)La paura di esprimere pubblicamente le proprie idee molto spesso in opposizione alle linee ufficiali del magistero, rischiando di perdere il posto e i relativi vantaggi economici, di essere scomunicati e ridotti allo stato laicale, di perdere inoltre la stima e l'affetto di molti fedeli praticanti.
2)L'incapacità di collaborare attorno ad obiettivi comuni e condivisi, rinunciando ad ogni forma di protagonismo e narcisismo, intrisa nel ruolo di presidenza, che ci è stato inculcato da una formazione clericale.

Perchè non organizzare una marcia, una manifestazione o un'assemblea generale, un vero e proprio Ecclesia Social Forum intitolato: “L'esodo del popolo di Dio dalla schiavitù alla libertà”?
Mi son sempre chiesto perchè un Alex Zanotelli da Napoli, un Luigi Ciotti da Torino, un Andrea Gallo e un Paolo Farinella da Genova, un Albino Bizzotto da Padova e un Giuseppe Stoppiglia da Vicenza, un Vitaliano dalla Sala da Avellino e un Giorgio de Capitani da Lecco ..., non si sono mai messi insieme, con i loro amici e sostenitori?
Mi chiedo continuamente perchè le comunità ecclesiali di base, guidate da un Franco Barbero di Viottoli a Pinerolo (To), da un Enzo Mazzi dell'Isolotto e da un Alessandro Santoro delle Piagge a Firenze, da un Giovanni Franzoni di san Paolo a Roma e dagli animatori della comunità del Cassano a Napoli ..., non si mettono insieme?
Perchè i movimenti animati da Vittorio Bellavite di Noi siamo Chiesa, da Fabio Colazzina e Luigi Bettazzi di Pax Christi, da Ettore Masina di Rete Radiè Resch, da Arturo Paoli di Oreundici..., non hanno mai sfilato insieme?

Mi son sempre chiesto perchè tutte queste persone, che stimo moltissimo e che fortunatamente mantengono ancora vivo lo spirito autentico del Vangelo nella nostra Italia, parrocchia del papa, non si sono mai messe insieme almeno una volta sfilando in Piazza san Pietro? Ci sarà un obiettivo in comune, aldilà di metodologie differenti, per il quale riunirsi tutti assieme e collaborare efficacemente? Alzando la voce, se serve, e acquistando visibilità davanti all'opinione pubblica? Il rinnovamento parte dal basso, certo, ma ha bisogno oggi, più che mai, di manifestare comunitariamente i suoi germogli davanti agli occhi di molte persone sull'orlo della crisi e dell'abbandono.

Sogno una manifestazione guidata da Carlo Maria Martini e Peppino Englaro, pubblicizzata da Giovanni Avena di Adista e da Giovanni Sarubbi di Il Dialogo, da Fabio Fazio e Corrado Augias di Rai 3, motivata da biblisti come Ortensio da Spinetoli, Giuseppe Barbaglio, Alberto Maggi, Mauro Pesce, commentata dai vaticanisti Luigi Sandri e Marco Politi, sostenuta spiritualmente da Lorenzo Milani, Primo Mazzolari, Giovanni Vannucci, Ernesto Balducci e Tonino Bello che attendono con impazienza di risorgere nelle nostre decisioni profetiche.
E le donne? Oltre alle donne che umilmente si nascondono dietro agli uomini sopra citati e che li arricchiscono umanamente e affettivamente, chiamerei Antonietta Potente dalla Bolivia e la teologa Caterina Jacobelli.
Sicuramente ho tralasciato altri personaggi carismatici, conosciuti e apprezzati dai cristiani credenti, liberi e responsabili, di tutta Italia, ma non per questo meno autorevoli e attivi sul piano della giustizia, della libertà e della democrazia.

Mi rivolgo a chi può mettersi ancora la stola dell'istituzione e ha paura di perdere sostentamento, notorietà e stima. A loro dico: pensate al bene del popolo di Dio! Mi rivolgo a chi non può o non vuole mettersi la stola dell'istituzione e crede di non avere più autorevolezza. A loro dico: mettete da parte la rabbia e rimanete fedeli alla vostra coscienza e alla vostra autentica vocazione. Mi rivolgo a chi ha una certa età ed è sganciato ormai da anni da incarichi istituzionali e si sente forse più libero di esprimersi, a loro dico: create continuità, accogliendo quelle diversità per voi difficili da accettare. Lottare per i diritti degli immigrati, degli emarginati e dei “diversi” dovrebbe includere l'impegno ad accettare modi diversi di vivere la propria sessualità anche all'interno del ministero presbiterale. Lo dico per esperienza personale e nella fedeltà a me stesso e a Dio. In questo momento non ha più senso difendere il proprio orticello, per quanto importante ed essenziale sia. Occorre alzare lo sguardo ed unirsi attorno ad un obiettivo comune, tralasciando questioni personali, con la stessa costanza e tenacia che ha caratterizzato la battaglia di Peppino Englaro.

Fraternamente,
Federico Bollettin di Padova

giovedì 5 febbraio 2009

IDENTITA' E PLURALISMO RELIGIOSO

Alcune domande ci interpellano sempre di più:

* Che ne è dell'identità religiosa di fronte alla sfida del pluralismo religioso?
* E' possibile ispirarsi a tradizioni religiose diverse?
* Si può vivere all'interno di più tradizioni religiose?
* Quali sono le sfide che il pluralismo religioso lancia all'insieme delle varie tradizioni religiose dell'umanità?

Queste questioni aperte verranno affrontate in un seminario di approfondimento

a Casalecchio: Casa per la Pace
via Canonici Renani, 8 (ex Filanda)
Domenica 15 febbraio 2009
ore 15.00 – 18.00

condurranno il seminario:
Arrigo Chieregatti
Università di Bologna - direttore dell'edizione italiana di INTERCULTURE,
rivista dell'Istituto Interculturale di Montreal

Marco Del Corso
associazione Macondo per l’incontro e la comunicazione tra i popoli

"Come non si può ridurre la persona all'individuo, la comunità alla collettività, l'identità all'identificazione, il pluralismo alla pluralità, così non è possibile ridurre la religione all'istituzione e all'organizzazione. In sintesi, non si può ridurre la Realtà e la Vita alla razionalità, anche se quest'ultima ha un posto importante."
(Robert Vachon fondatore dell'Istituto Interculturale di Montreal)

mercoledì 4 febbraio 2009

PARADOSSI SULLA VITA E SULLA MORTE

“La medicalizzazione della società ha posto fine all'epoca della morte naturale” scriveva Ivan Illich alcuni anni fa. E continua: “Oggi l'uomo più protetto dalla possibilità di stabilire la scena della propria morte è il malato in condizioni critiche”. L'attuale paradosso al quale stiamo assistendo con insofferenza è che chi non vuole morire viene continuamente minacciato, come l'indiano di Nettuno bruciato per divertimento da un gruppo di ragazzi, o il fidanzato della ragazza molestata a Padova che è stato aggredito e pestato a sangue: “Ho avuto paura di morire”, ha raccontato alla polizia. Chi vuole morire, o meglio passare ad una vita migliore, viene volutamente ostacolato. Sia da coloro che cercano di difendere un'ideologia ormai tramontata e continuamente tradita da frasi come queste, che compaiono sui necrologi, “Ne danno il triste annuncio..., è scomparsa all'affetto dei suoi cari...”, sia da coloro che, per propaganda, rinnegano le proprie abitudini quotidiane antievangeliche. La morte, secondo l'insegnamento cristiano, non è forse il passaggio ad una nuova vita? Ricordo inoltre quello che disse la presidente di un Cav (Centro Aiuto alla Vita) ad una madre equadoregna rimasta nuovamente incinta e indecisa se continuare la gravidanza oppure no: “In nome di Dio ti ordino: non uccidere!” Chi siamo noi per parlare in nome di Dio?
Il consigliere comunale di Lecco che si è sdraiato sul cofano per impedire la partenza dell'ambulanza che trasportava Eluana, si sarebbe sdraiato sulle rotaie, quattro anni fa, per impedire ai treni di trasportare carri armati e mine anti-uomo in Iraq?
Paradossi, incoerenze, ipocrisie hanno desacralizzato il sacro silenzio che dovrebbe rivestire ogni scelta libera e responsabile, contrastata e sofferta, di vita o di morte.
Da troppi anni Eluana è già stata condannata dalla Vita a non-vivere o a sopravvivere in uno stato vegetativo permanente. Negli ultimi mesi è stata condannata dall'Autorità a non morire, proprio come un condannato nel braccio della morte di Guantanamo. Sarebbe un oltraggio per l'autorità se egli si togliesse la vita prima del termine prescritto. Sarebbe un oltraggio al delirio di onnipotenza di alcune istituzioni, perdere il controllo della vita e della morte di una persona, soprattutto se la situazione è di dominio pubblico.
La morte arriva quando meno ce lo aspettiamo, è “come un ladro” ci avvisa la Bibbia, da qui l'invito a non aggiungere giorni alla vita ma Vita ai giorni. Eluana probabilmente risorgerà in tutti coloro che hanno la salute ma non vogliono vivere, che hanno la libertà ma non se ne rendono ancora conto.

lunedì 2 febbraio 2009

IL CULTO DELLA VIOLENZA

(dall'articolo di Miriam Mafai su Repubblica del 2 febbraio 2009)

Questo non è razzismo. Forse, se possibile, è ancora peggio. È puro e semplice culto della violenza. E non si corrono rischi quando la violenza non si esercita tra bande rivali ma nei confronti di chi è del tutto indifeso. La vittima allora può essere una donna che torna a casa, da sola, una sera, o una coppia appartata nella sua macchina, o un barbone italiano o straniero che dorme per terra appena protetto da una coperta o da un paio di cartoni. Un divertimento? Pare proprio di sì, un divertimento o una emozione, esaltata dai pianti della donna violentata o dalle grida di un barbone cui viene dato fuoco, dalla sofferenza di un debole che non può reagire.
Nel nostro mondo, insomma, l'aggressività, la violenza, la forza, o per lo meno una certa dose di aggressività, di violenza, di forza vengono generalmente considerate necessarie, indispensabili per avere successo.
I ragazzi di Nettuno che hanno dato fuoco a un barbone, i giovani rumeni che hanno aggredito una coppietta, chiuso l'uomo nel bagagliaio della macchina e violentato la sua ragazza, il giovane romano figlio di una famiglia di lavoratori che "per divertisse" ha violentato una ragazza conosciuta a Capodanno, ci fanno paura, ma sono figli di questa cultura. È la nostra cultura, quella che caratterizza la nostra società, che in qualche modo abbiamo costruita, che disprezza e irride alla mitezza, alla pazienza, alla solidarietà, alla debolezza, alla sobrietà.

domenica 1 febbraio 2009

PROSTITUZIONE A PADOVA


Intervista a Diega Carraretto, presidente dell'associazione Welcome di Padova,
comunità di accoglienza per ragazze vittime della tratta.

Come è mutato il fenomeno della prostituzione negli ultimi anni?
Per quanto riguarda le ragazze nigeriane non ci sono stati grandi cambiamenti, diversamente da quanto è capitato per le ragazze che provengono dai Paesi dell'Est. I loro sfruttatori hanno cercato nelle zone rurali, in campagna, ragazze con un livello di scolarizzazione molto basso e quindi molto più fragili e manipolabili. Ad esempio a Padova sono arrivate molte zingarelle minori dalla Romania. Miseria economica e miseria culturale hanno contribuito a far perdere la percezione dello sfruttamento nella mente della ragazza stessa. Non si sente più nè schiava, nè vittima. Inoltre l'entrata in Unione Europea di alcuni Paesi dell'Est ha favorito l'immigrazione e impedito l'espulsione.
In secondo luogo è cambiata la modalità di gestione delle ragazze da parte dei loro protettori, a volte fidanzati. Piano piano la violenza fisica è scomparsa per lasciar spazio a compromessi e situazioni di divertimento e di apparente libertà, un paradiso rispetto alla condizione sociale e familiare presente nei loro paesi di provenienza! Ecco come si spiega la non accettazione da parte di queste giovani ragazze di aderire a programmi di reinserimento sociale. Questi, infatti, richiedono il rispetto di regole quotidiane che vanno a mettere in discussione il loro bisogno di libertà assoluta, presunta libertà che poi ricade in realtà nel diventare vittime della stessa, creando un circolo vizioso.
Infine si sta verificando il grande esodo dalle strade verso luoghi chiusi, con tutte le conseguenze che questo fenomeno comporta.

Cosa ne pensa delle retate e delle varie ordinanze contro i clienti?
Non sono contraria alle misure forti, anzi. Il cittadino è stanco e disperato ed è giusto ascoltarlo e rispondere concretamente al suo disagio. Purtroppo le politiche sociali sono arrivate in ritardo, anche se bisogna dire che il fenomeno della tratta legata all'immigrazione è presente da non molti anni nel nostro territorio. Dico soltanto che assieme alla forma repressiva occorre un piano sociale che tenti di ridare sicurezza al cittadino, come del resto sta già facendo il comune di Padova. Non la ragazza sulla strada ma il cittadino è il vero protagonista del proprio territorio, e come tale deve essere ascoltato e compreso nei suoi reali bisogni e disagi.
Visti i cambiamenti che continuano ad evidenziarsi rispetto al fenomeno prostituivo (da outdoor ad indoor, da percezione dello sfruttamento ad assenza della percezione con presunta contrattualità), ritengo che la sola multa al cliente non basti a dare una risposta incisiva alla situazione attuale e al bisogno di sicurezza del cittadino. Quindi, di fronte all’evoluzione del fenomeno è necessaria un’altrettanta evoluzione della modalità d’intervento delle Forze dell’Ordine e del privato sociale.

Quali direzioni dovrebbero quindi prendere le nuove misure d’intervento?
Ho appena detto che la repressione degli ultimi anni ha spostato il fenomeno della prostituzione dalla strada nei luoghi chiusi, in appartamenti situati in qualunque parte della città. Di conseguenza gli interventi degli operatori sociali e delle Forze dell'Ordine dovranno raggiungere questi luoghi attraverso forme di mediazione dei conflitti territoriali. Ascoltando nuovamente le richieste dei cittadini. Ma in questo caso sarà il cittadino stesso a collaborare e segnalare la presenza di “prostituzione sommersa” nel proprio quartiere. Non potrebbe essere l'occasione giusta per una razionalizzazione degli interventi?
Inoltre gli interventi messi in atto per aiutare queste donne dovrebbero essere visti come opportunità non solo per le donne stesse, ma anche per il cittadino, poiché la denuncia della loro situazione di sfruttamento fornisce elementi fondamentali alle Forze dell’Ordine per contrastare le organizzazioni criminali e la microcriminalità, creando una ricaduta sociale sulla sicurezza di tutti i cittadini.
Certo, tutte queste strategie sarebbero inefficaci senza una sostanziale riforma della giustizia.

Vi è un coordinamento tra i vari soggetti?
Certo. Ogni mese si riunisce un tavolo di lavoro operativo con le istituzioni e il privato sociale. Inoltre esiste già da tempo una collaborazione tra le varie associazioni attraverso la rete. Questo tavolo di coordinamento gestito dal Comune di Padova sta cercando di entrare in diretto contatto con la realtà territoriale attraverso la realizzazione di azioni di mediazione dei conflitti. L’obiettivo è quello di aprire uno spazio di ascolto, dialogo e confronto in cui il cittadino abbia la possibilità di diventare protagonista. A tal fine è stato attivato degli specifici numeri di telefono a cui segnalare situazioni di disagio rispetto alla presenza della realtà prostituzionale nel proprio quartiere. I numeri a cui far riferimento sono: 049/8752638 (dalle 10.00 alle 18.00) e 345/3584338 (dalle 10.00 alle 22.00).
E questo sarà il futuro per quel che riguarda la questione sicurezza nel nostro territorio.

LETTERA SU "BIANCO E NERA"

Caro Federico, e per me anche don Federico,
sono una mamma, non più tanto giovane, e sono anche una catechista (parola che non mi piace, ma purtroppo usata..) della comunità dei frati cappuccini di Vicenza. Ho appena finito di leggere il tuo libro, molto bello, vivo, pulsante di vita, e voglio dirti grazie, un grazie dal cuore per tanti motivi: è un libro vero, con parole uscite dal cuore e non da concetti, ma per questo non istintivo, ma maturato, frutto di un lungo, sofferto eppur liberante dialogo interiore; ho ammirato il tuo coraggio non solo della tua scelta, ma particolarmente dell’analisi del tuo modo di relazionarsi con le persone, dal tuo cercare fino in fondo di essere te stesso, e di vivere il vangelo in verità; e ho imparato tante cose….Mi ha colpito molto anche il racconto della tua maturazione per imparare ad “accogliere” la diversità, perché non ti sei fermato alla superficie ma hai scavato dentro alle nostre paure e ai nostri sensi di superiorità; anche per questo te ne sono grata….
Non entro in merito alle posizioni della Chiesa, perché so che sarei molto più polemica di te; ti trascrivo invece le parole di Giovanni Vannucci , un frate Servo di Maria che quasi trenta e più anni fa scriveva:
“La distinzione fra ateo e credente non è una distinzione di linguaggio, ma di essenza, cioè l’uomo avido di potere, anche se è religioso, anche se è Papa, è ateo, perché desidera qualcosa che è fuori dell’onda di Dio. L’uomo desideroso di successo, di affermazione di se stesso, di ricchezza, che cerca di strutturare il suo Ordine come una potenza terrena, o che cerca di rendere la Chiesa una potenza che ha la dialettica e la politica propria degli altri stati, quest’uomo non è religioso, perché cerca il potere e chi cerca il potere, proprio strutturalmente, ontologicamente, è ateo; mentre chi cerca di servire, chi ama l’uomo e si impegna a dare all’uomo la possibilità di crescere nella verità, nella conoscenza e nella libertà, costui, anche se dice di essere ateo, ontologicamente è credente.”
Ecco io mi considero atea di fronte alla nostra Chiesa, perché credo in un Dio che è amore senza etichette o ruoli.
Caro Federico, con questo libro mi hai donato tante cose importanti e profonde, non da ultimo l’immagine dell’essenza pura di un amore fra un uomo e una donna, il sogno di Dio.
Concludo con il mio augurio più sincero, con la mia preghiera perché tu possa continuare la tua strada camminando sempre il sentiero della verità, con te stesso e con gli altri, e dell’amore.
A te e a tutta la tua meravigliosa famiglia un abbraccio di bene profondo e la benedizione di pace profonda.
Anna