domenica 26 ottobre 2014

Poesia dal carcere

"Sono come una tomba

che mi vengono a pregare."


Salvatore (51 anni), ergastolano. 9999". Di Posillipo. Rapina con un morto. Salvatore lavora nelle cucine, i suoi pensieri sono brevi e circostanziati, anzi governati in modiche stanze. La memoria è un segreto, il guizzo e il coraggio del recluso, o una spada conficcata nel fianco.

La nostra fortuna

Se leggiamo i quotidiani, se guardiamo i telegiornali, se ascoltiamo i discorsi ai bar o le urla agli stadi...sembrerebbe che questa società fosse esclusivamente razzista e xenofoba.
Io invece ci vedo una grande fortuna, una grande occasione.
L'esempio della comunità di Rovolon ne è l'immagine. Di fronte alla chiusura, alla paura, ai pregiudizi di un gruppetto di persone che non voleva 4-5 mamme straniere con bambini nel loro quartiere, la risposta di molte famiglie è stata questa: "la nostra casa è aperta per loro!"
Quindi è proprio in una società come la nostra che possiamo sperimentare l'autenticità e la coerenza dei valori in cui crediamo. Il cristianesimo di massa è solo un brutto ricordo, ora possono crescere donne e uomini di fede autentica!

Famiglia: cosa vuole la Chiesa?



di  p. José María CASTILLO

Che cosa vuole risolvere la chiesa in riferimento ai problemi che maggiormente preoccupano la famiglia in questo momento?
Come è logico, la prima cosa che attira l'attenzione – e che risulta difficile spiegare – è che i problemi trattati al Sinodo non sono quelli che maggiormente interessano e preoccupano la grande maggioranza delle famiglie nel mondo.
L'angoscioso problema della casa, il problema di una paga giornaliera o di uno stipendio con cui arrivare degnamente alla fine del mese, il problema della salute e della sicurezza sociale, quello dell'istruzione dei figli.
O, almeno, questi argomenti così gravi e che angosciano la gente non sono stati – a quanto ci risulta – problemi centrali all'ordine del giorno di nessuna delle commissioni o sessioni del Sinodo.
Questo dà motivo di pensare o magari sospettare – almeno in linea di principio – che quelli che hanno preparato e organizzato i lavori del Sinodo sono persone che possono dare l'impressione di essere più preoccupati per i dogmi cattolici e per la morale predicata dal clero che per le sofferenze e umiliazioni che stanno sopportando molte famiglie, anche più di quante immaginiamo.
Non è necessario essere né saggi né santi per rendersi conto di questo, per farsi logicamente la domanda che ho appena posto. E che nessuno mi dica che gli argomenti che ho appena indicato sono problemi che devono essere risolti dagli economisti e dai politici.
Anche nell'ipotesi che quello che ho detto è un argomento che riguarda direttamente l'economia e la politica, ci devono pensare però solo gli economisti e i politici? Ed allora? La sofferenza, la dignità, la sicurezza e i diritti della gente, i diritti fondamentali delle famiglie, non ci devono interessare, né possiamo o dobbiamo far nulla?
Questa è la prima grande questione che, a mio modesto parere, dovrebbe interessare soprattutto, e prima di qualsiasi altra cosa, la Chiesa, e soprattutto i suoi capi. Lo dico per tempo, quando ancora abbiamo un anno davanti a noi per giungere alle conclusioni del Sinodo.
Però, arrivando ai problemi che il Sinodo ha trattato, la mia domanda è la seguente: alla gerarchia della Chiesa, che cosa maggiormente le interessa o la preoccupa? Gente che “si ama”? O gente che “si sottomette”?

Confesso che queste domande mi sono venute in mente pensando e ricordando quello che io stesso sto vivendo nel mondo ecclesiastico da più di 60 anni, vale a dire, da quando sono coinvolto in ambienti clericali.Tanto in Spagna che fuori dalla Spagna, quello che ho percepito negli ambienti di Chiesa è che i problemi dell'economia e i temi sociali di solito non preoccupano troppo. Perché normalmente tali problemi (nelle istituzioni ecclesiastiche) sono risolti.
Mentre i temi legati all'ortodossia dogmatica (sottomissione alla gerarchia) e al sesso (osservanza della morale), non solo sono di solito molto preoccupanti, ma con frequenza risultano quasi ossessivi o sfioranti l'ossessione.
La conseguenza, che di solito deriva da questo stato di cose e che la gente nota molto, è davanti agli occhi di tutti: i vescovi non sono soliti parlare (o si limitano ad allusioni generiche) della corruzione politica e delle sue conseguenze, mentre quegli stessi vescovi sono soliti levare alte grida al cielo se la questione posta è il problema dei matrimoni tra persone omosessuali o, in generale, problemi legati al sesso.
Ecco, per fare un esempio, vediamo la differenza di trattamento che ricevono, in tanti confessionali, i capitalisti e i banchieri oppure i gay e le lesbiche.
Tutto questo ci porta – a mio parere - ad una domanda molto più radicale: perché le religioni affrontano in maniera tanto diversa i problemi legati alla “proprietà dei beni” e i problemi che si riferiscono alle “relazioni affettive tra le persone”?
Dal punto di vista della sociologia, uno degli specialisti più riconosciuti in questa materia, Anthony Giddens, ha scritto: “La famiglia tradizionale era soprattutto un’unità economica. L’attività agricola normalmente coinvolgeva tutto il gruppo familiare, mentre fra benestanti e l’aristocrazia la trasmissione della proprietà era la base principale del matrimonio. Nell’Europa medievale, il matrimonio non era contratto sulla base dell’attrazione amorosa, e nemmeno era considerato il luogo dove tale attrazione dovesse sbocciare (Un mundo desbocado, pp. 67-68. [trad. it., Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino, Bologna 2000]).
In realtà, “la proprietà dei beni” (e non “l'affetto tra le persone”), come fattore determinante della famiglia tradizionale, viene da più lontano e trae la sua origine in un'altra fonte: il diritto.
Come si sa, la famiglia era l'unità che interessava al primo diritto romano. Quel diritto non si occupava di ciò che succedeva dentro la famiglia. Le relazioni tra i suoi membri erano una questione privata, nella quale la comunità non interveniva.
La famiglia era rappresentata dal suo capo, il paterfamilias, nel quale si concentrava tutta la proprietà familiare. E tutti i suoi discendenti, in linea paterna stavano sotto il suo controllo. Nessun figlio poteva sfuggire al suo potere.
Più ancora, un figlio non smetteva di restare sotto il potere del padre fino a che non fosse diventato adulto e, fino a che non morisse il padre, non poteva neanche avere proprie proprietà. Conseguentemente, tutta la proprietà familiare si manteneva unita e le risorse della famiglia, come un tutto, si rafforzavano (Peter G. Stein, El Derecho romano en la historia de Europa, pp. 7-8 [trad. it., Il diritto romano nella storia europea, Cortina Raffaello, Milano 2001]).
L’aspetto notevole è che la Chiesa ha fatto pienamente suo questo diritto. In maniera tale che, per esempio, il concilio di Siviglia, dell’anno 619, definisce il diritto romano come lex mundialis, cioè la legge per antonomasia alla quale dovrebbero sottomettersi tutti i popoli (cf. E. Cortese, Le Grandi Linee della Storia Giuridica Medievale, Il Cigno GG Edizioni, Roma 2000, p. 48).
Ebbene, in questo contesto di idee e di leggi risulta comprensibile e logico che la Chiesa, man mano che si andava adattando alla cultura e al diritto ereditato dall'Impero romano, ugualmente assumeva e integrava nella sua vita e nel suo sistema organizzativo quello che era comune alle altre religioni.
Mi riferisco a quello che, con ragione, ha detto uno dei più riconosciuti specialisti in materia: “La religione è generalmente accettata come un sistema di ranghi, che implica dipendenza, sottomissione e subordinazione a superiori invisibili” (Walter Burkert, La creación de lo sagrado, p. 146 [trad. it., La creazione del sacro. Orme biologiche nell'esperienza religiosa, Adelphi, Milano 2003]).
Ecco perché le teologie e i rituali delle religioni, se in qualcosa insistono e in qualcosa sono simili le une alle altre, è proprio per quanto riguarda la “sottomissione”. E risulta che, per quanto riguarda concretamente questa sottomissione, i rituali che la creano, la fomentano e la mantengono, “non sono limitati da una religione particolare, ma si trovano in tutto il pianeta, e si può dimostrare che alcuni sono preumani” (op. cit., p. 156).

La sottomissione, a partire dalle società preumane, si esprime creando l'impressione che uno produce inchinandosi, inginocchiandosi, stendendosi a terra, strisciando, insomma tutto quello che “non ingrandisce”. Ed è dimostrato che i rituali religiosi coincidono tutti in questo (K. Lorenz, On Aggression, Nueva York, 1963, pg. 259-264 [trad. it., L’aggressività, Il Saggiatore, Milano 2008]; I. Eibl-Eibesfeldt, Liebe und Hass: Zur Naturgeschichte elementarer Verhaltensweisen, Munich, 1970, pp. 199 ss [trad. it., Amore e odio. Per una storia naturale dei comportamenti elementari, Adelphi, Milano 1996]).

Ebbene, la cosa più sorprendente, in tutta questa problematica, è paragonare questi supposti elementi base della famiglia e della religione con quanto raccontano i vangeli che diverse volte fanno riferimento tanto alla famiglia quanto alla religione.

Sappiamo, infatti, che Gesù, sia per quanto si riferisce alla famiglia sia per quanto riguarda la religione, ha assunto pubblicamente e senza ambiguità un atteggiamento sommamente critico. Mi spiego.

Per quanto riguarda la religione, i vangeli ci informano degli scontri e dei conflitti costanti e crescenti avuti da Gesù con i dirigenti religiosi e i loro rituali. A questo si riferiscono gli scontri con gli scribi e i farisei, con i sommi sacerdoti e gli anziani, persino con lo stesso tempio di Gerusalemme.
Fino a giungere all’arresto da parte delle autorità religiose, al processo, alla condanna e all'esecuzione violenta nel tormento dei crocifissi, i lestái (Mc 15,27: Mt 27,38), vale a dire, non semplici ladroni, ma i ribelli politici, come spiega Flavio Giuseppe (H. W. Kuhn: TRE vol. 19,717).
Gesù è stato l'uomo più profondamente religioso che possiamo immaginare. Ma la religione di Gesù è stata spostata dal modello stabilito: la sua religione (come il Dio che rappresentava) non è stata centrata nel “sacro”, ma nell' “umano”.
Questo è centrale per comprendere il vangelo e tuttavia non è centrale per comprendere la teologia cristiana. E non è neanche al centro della vita della Chiesa.
Per quello che si riferisce alla famiglia, è certo che le relazioni di Gesù con la sua famiglia furono tese e complicate: i suoi parenti lo presero per pazzo (Mc 3,21) e non credevano in lui, lo disprezzavano perfino (Mc 6, 1-6; cf Gv 7,5).
D'altra parte, la prima cosa che Gesù chiedeva a coloro che volevano seguirlo, era di abbandonare la propria famiglia (Mt 8,18-22; Lc 9, 57-62). E quando un giorno gli dissero che lo cercavano sua madre e i suoi fratelli, la risposta di Gesù fu di dire che sua madre e i suoi fratelli sono quelli che ascoltano e mettono in pratica ciò che vuole Dio (Mc 3,31-35; Mt 12, 46-50; Lc 8, 19-21).
Ma Gesù, per quanto si riferisce alle relazioni con la famiglia, andò oltre. Perché osò dire che non era venuto a portare la pace, ma la spada, divisione e conflitto, in particolare tra i membri della propria famiglia (Mt 10, 34-42; Lc 12, 51-53; 14, 26-27).
Anzi, Gesù arrivò a toccare l'intoccabile di quel modello di famiglia: “Non chiamate 'padre' nessuno sulla terra” (Mt 23,9). Una proibizione così forte, in quella cultura, che arrivò a smontare l'asse stesso di quel modello di relazioni familiari. I grandi, gli importanti, non sono i “padri” ed i “gerarchi”, ma i “bambini”, i “piccoli”: il regno di Dio è di quelli che si fanno come loro (Mt 19,14).
Cosa vuol dire tutto questo? Dove sta il cuore del problema?
Le relazioni di parentela non sono libere, dato che sono date e imposte ad ogni essere umano che viene al mondo.
Al contrario, le relazioni comunitarie ed amicali, dato che nascono da convinzioni libere e da sentimenti che chiunque accetta liberamente, sono sempre relazioni che si basano sulla libertà umana e si mantengono con la forza della decisione libera.
La cosa più bella, più gratificante e più motivante della relazione di fede e fiducia nell'altro e in Dio, è che è sempre possibile perché è una relazione libera.
Quindi, l’aspetto determinante in questo modello di famiglia e di gruppo non è la sottomissione, né al “potere repressivo”, né al “potere che seduce” (Byung-chul Han), ma quello decisivo è la fede e fiducia nell'incontro (con l'Altro, con gli altri, con qualcuno in concreto) mediante la “relazione pura” (A. Giddens), che si basa sulla comunicazione emotiva. Cioè una forma di comunicazione nella quale le ricompense ricavate dalla stessa sono la base primordiale affinché tale comunicazione possa mantenersi e perdurare.
Per questo proprio l'esperienza ci dice che dove c'è affetto vero, c'è libertà, mentre dove c'è religione (centrata sui riti e sul sacro) c'è sottomissione.
Ebbene, tenuto conto di quello che ho detto in questa (già troppo lunga) riflessione, ritorna la domanda iniziale: che cosa vuole la Chiesa con tutto quello che ha rimosso a proposito della famiglia?
Ovviamente, papa Francesco, convocando e programmando il sinodo sulla famiglia, ha voluto rispondere a problemi urgenti che riguardano migliaia di famiglie nel mondo. Bisogna supporre che papa Francesco, convocando questo sinodo, esigendo libertà di parola sui problemi e trasparenza nell'informare di ciò che si è detto nelle sessioni sinodali, quello che ha fatto è stato di mettere in moto, senza possibilità di marcia indietro, un processo di apertura della Chiesa ai problemi reali e concreti che, in questo momento storico, si pongono a tutti noi.
Ma quello che è accaduto è che, non solo si è messo in moto questo processo, ma, oltre a questo, il mondo si è accorto che nella Chiesa persiste molto vivo un settore importante di clero (a tutti i livelli) e di laici che identificano le credenze cristiane con posizioni immobiliste e intolleranti che, per di più, dal punto di vista della più documentata, sana e ortodossa teologia, sono posizioni indimostrabili.
E, pertanto, posizioni che nascondono pretese inconfessabili di potere e autorità che si orientano di più a mantenere intatta la “sottomissione” dei fedeli che a fomentare la “libertà” che nasce dall'affetto tra gli esseri umani.
La situazione è delicata. Bisogna evitare, a tutti i costi, un nuovo scisma nella Chiesa.
Però non possiamo stare in modo incondizionato con coloro che identificano il cristianesimo con una religione centrata sull'osservanza di riti sacri, che produce ossessivamente sottomissione a gerarchie ancorate ad un passato e ad una cultura che non sono più né il nostro tempo, né la cultura in cui viviamo.
Un cristianesimo così, produce persone molto religiose e un clero fedele a gerarchie ecclesiastiche che si identificano di più con i privilegi che offre loro il potere politico che con la libertà indispensabile per ottenere una società più giusta nella quale tutti noi cittadini possiamo vivere in giustizia e uguaglianza di diritti.
Se il nostro progetto di vita vuole essere fedele a Gesù e al suo vangelo non abbiamo altro cammino da fare se non l'apertura al futuro che insieme dobbiamo costruire.
Anzi, se amiamo veramente la Chiesa e vogliamo essere fedeli alla “memoria pericolosa” di Gesù, noi cristiani, nel cammino che ci sta aprendo e tracciando papa Francesco, abbiamo l'itinerario certo che ci porta alla meta a cui aneliamo.

Pubblicato sul sito Religión Digital il 21.10.2014 e tradotto da Lorenzo Tommaselli

mercoledì 1 ottobre 2014

Seconda lettera al papa

Caro papa Francesco, eccomi... Io ti riscrivo!!
Sono una delle 26 donne che alcuni mesi fa ti avevano scritto raccontandoti delle loro sofferenze per amore di sacerdoti.
Sento nuovamente l'esigenza di scriverti....il mio cuore ha davvero bisogno di raccontare. Non ti scrivo per me. Ti scrivo spinta da una forza ancora nuova, una forza che purtroppo viene dall'aver ascoltato in questi mesi tantissime altre storie da voci di donne e, sì, anche di sacerdoti. 
Dopo che la nostra lettera è stata conosciuta in tutto il mondo, sono stata e siamo state contattate da un numero inquantificabile di persone che esprimevano la loro gratitudine e solidarietà, e soprattutto manifestavano l'esigenza di aprirsi, di sentirsi capiti, di poterne parlare. Storie che nella loro diversità, racchiudono costantemente un dolore molto profondo. Amori che non riescono a esaurirsi col tempo e la distanza. 
Io, credimi, non ho motivo di espormi così tanto... E se lo faccio è per la compassione che ogni giorno preme sempre di più il mio cuore. Non sai quanto desiderio avrei di raccontarti tutto ciò che viene delicatamente e con fiducia messo nelle mie mani. 
È dura per me sentir dire da un sacerdote "io sono di tutti e per tutti, ma nessuno si chiede io come sto, nessuno...se non lei, la donna che amo nel segreto del mio cuore. Lei, che però devo tenere distante. È un supplizio quotidiano. Tra noi sacerdoti non se ne parla e fingiamo anche tra noi che tutto vada bene". 
La solitudine di questi sacerdoti impèra, caro papa Francesco. Parlano costantemente di amore nelle loro omelie, ma di esso ne hanno una paura folle. Ho toccato con mano l'estrema fragilità di molti di loro, e constatato non di rado un'immaturità caratteriale e affettiva. Le donne soffrono anch'esse(e sono le vere vittime), ma sono più forti e tenaci, più salde e consapevoli. Dolcissime! 
Per non parlare di quanti e quanti amori malati e distruttivi ho conosciuto. Non per la cattiveria di questi uomini, ma per la profonda scissione del sè che avviene in loro, supportata spesso da un disagio già presente.Tanti, troppi irrisolti. 
Ne soffro amaramente e con tutto il cuore! 
Ho conosciuto sacerdoti sposati fantastici, persone che hanno avuto il coraggio di mettersi in discussione e fare una scelta radicale che confermi la coerenza e Bellezza di Cristo nella loro vita. Essi non possono esercitare il ministero per l'attuale regola vigente, ma sarebbero sacerdoti validissimi, e in più illuminati dall'amore aggiunto che Cristo ha dato loro attraverso la famiglia. A differenza di altri preti che di nascosto hanno dei figli non riconosciuti (e i vescovi lo sanno!!), ma tutti tacciono e quindi continuano ad esercitare il ministero. Rovinando vite!! Vite di bambini e di donne straziate dal dolore.
Penso di capire cosa provasse Gesù a vedere tutta l'ipocrisia delle istituzioni del suo tempo, "essi filtrano il moscerino e ingoiano il cammello". Anche la nostra chiesa purtroppo è diventata così, e se siamo di Cristo, dobbiamo puntare alla coerenza e giustizia. Basta ipocrisie! 
Se mi sono permessa di scriverti è proprio perché mi fido di te, della tua sapienza e della limpidità che auspichi per la chiesa.
So che per adesso ci sono problemi mondiali molto più gravi e urgenti e quello da me esposto è al loro confronto un problema minore, ma è anche vero che non è nelle nostre mani la possibilità di poter fermare la guerra, invece è nelle tue mani la possibilità di cambiare questa regola. 
Vorrei porre ai tuoi piedi tutta questa sofferenza affinché lo Spirito illumini le scelte della Chiesa, tenendo conto non solo degli aspetti evangelici della questione (che a mio avviso sono maggiormente a favore del celibato facoltativo) ma anche gli aspetti umani. L'amore è un sentimento universale e negarlo vuol dire negare la natura umana e divina dell'uomo.
Io sogno una chiesa più pulita e limpida, più vera e pronta all'aiuto e all'ascolto. Che sappia aiutare questa società che cambia e che sta perdendo la fiducia nell'uomo e nel Signore. Vorrei cambiare il mondo di oggi partendo dalla chiesa e dalle nostre comunità. Per questo darle un volto più vero, più umano, più dignitoso e credibile penso sia il primo passo in questa direzione.
Ti chiedo perdono se i miei modi e le mie parole ti avessero in qualche modo infastidito. Spero tanto di no, perchè le mie intenzioni non sono di giudizio o condanna ma di umile richiesta di aiuto per tutto il dolore che sto conoscendo e spero possa essere compreso. 
Che il Signore ti benedica e ti protegga in ogni tuo giorno! 

Giovanna