venerdì 27 dicembre 2013

Questione di libertà

Ecco le parole "profetiche" del presidente di uno stato latino-americano
"Mi chiamano il presidente più povero, ma io non mi sento povero. I poveri sono coloro che lavorano solo per cercare di mantenere uno stile di vita costoso, e vogliono sempre di più. E’ una questione di libertà. Se non si dispone di molti beni allora non c’è bisogno di lavorare per tutta la vita come uno schiavo per sostenerli, e si ha più tempo per sé stessi."
José Mujica 
presidente dell'Uruguay

domenica 22 dicembre 2013

Tenere alta la testa

Tratto dalla lettera di natale di Giuseppe Stoppiglia

Degnati, o Signore, di tenermi alla tua porta, come servo sempre vigile e attento; 
mandami come messaggero per il regno a invitare tutti alle tue nozze. 
Non permettere ch’io affondi nelle sabbie mobili della noia, 
non lasciarmi intristire nell’egoismo, in pareti strette senza cielo aperto. 
Svegliami, se mi addormento nel dubbio e sotto la coltre della distrazione; 
cercami, se mi perdo nelle molte strade tra grattacieli d’inutili cose. 
Non permettere ch’io pieghi il mio cuore all’onda violenta dei molti; 
tienimi alta la testa.

Tagore

Servire la giustizia e la pace

Tratto dall'esortazione apostolica Evangelii Gaudium di Mario Bergoglio

...impariamo ad accettare gli altri nel loro differente modo di essere,
di pensare e di esprimersi.
Con questo metodo, potremo assumere insieme il dovere
di servire la giustizia e la pace,
che dovrà diventare un criterio fondamentale di qualsiasi interscambio.

papa Francesco

Mentre un tempo si facevano le guerre per imporre dogmi e riti,
mentre ancora oggi le differenze creano paura e chiusura,
Mario Bergoglio si fa voce di chi, come me,
crede che il criterio fondamentale per stabilire la "bontà" di un incontro, sono i valori sociali della giustizia e della pace.

Capitani della propria anima

La morte di grandi uomini
ne esalta il loro ricordo e la loro testimonianza


Dal profondo della notte che mi avvolge,
nera come un pozzo da un polo all'altro,
ringrazio qualunque dio esista per la mia anima invincibile.

Nella feroce morsa delle circostanze non ho arretrato nè gridato.
Sotto i colpi d'ascia della sorte il mio capo è sanguinante, 
ma non chino.

Oltre questo luogo d'ira e lacrime incombe il solo orrore delle ombre,
e ancora la minaccia degli anni mi trova e mi troverà senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
quanto piena di castighi la vita,
io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.

Nelson Mandela

mercoledì 9 ottobre 2013

VAJONT E LAMPEDUSA

Cosa hanno in comune queste due stragi?











L'acqua non centra niente con queste due stragi.
Sì, centinaia e migliaia di persone
sono morte travolte e sommerse dall'acqua.
La diga era perfetta,
quel peschereccio costruito per andare al largo e pescare.
Di lotte per evitare le stragi erano già state fatte,
ma da gente insignificante:
contadini e montanari, clandestini ed extracomunitari.
La colpa è sempre dell'uomo, maschio e individuo,
che ha voluto sfidare la natura per trarre dei vantaggi personali,
che ha voluto far pagare fino a 2000 dollari un viaggio della morte.
No, non è l'acqua che uccide, che travolge, che distrugge...
è la sete di guadagno contro ogni resistenza morale e naturale,
che da sempre, dal 1963 al 2013, continua a mietere vittime.
Ora i superstiti della prima tragedia sono morti dalla disperazione o dall'indifferenza dello Stato,
i superstiti della seconda dovranno difendersi dall'accusa di reato di clandestinità.

lunedì 30 settembre 2013

UN PRETE AQUILANO SCRIVE A PAPA BERGOGLIO

"IL CELIBATO NON È DOGMA, CONCEDICI IL MATRIMONIO"

Un prete affida al Centro il suo appello: "Caro Francesco, modernizza la Chiesa di Roma"

Caro direttore,
chieda al Papa a nome mio e di tanti altri preti, quando la Chiesa si sveglierà nell'approvare il celibato facoltativo dei preti! Il Cardinale Martini aveva ragione a dire che la Chiesa è indietro di 200 anni. Apprezzo il celibato, ma la Bibbia, soprattutto le lettere pastorali di Paolo, ci fa capire che il celibato non va imposto. San Paolo attacca chi vieta il matrimonio definendolo falso profeta.... San Paolo scrive che i preti, vescovi e diaconi dovevano essere uomini di una sola moglie. Quindi sposati una sola volta. Rimasti vedovi, penso potevano risposarsi. Così mi insegnò pure un mio prof. della facoltà teologica. La chiesa cattolica di rito bizantino e maronita permette ai seminaristi di sposarsi, ma devono decidere prima del diaconato. Abbiamo infatti preti bizantini e maroniti sposati!
Caro Papa Francesco, ti voglio bene e mi commuovi perché parli col cuore libero...allora ti chiedo: perché la chiesa cattolica romana di rito latino non rivede la norma sul celibato obbligatorio? La trovo una norma stupida, anti biblica! Il celibato deve essere facoltativo.
Alcuni miei amici preti bravissimi sono stati costretti a lasciare il ministero perché si sono innamorati seriamente di una donna. Ora hanno famiglia, figli e sanno cosa è il sacrificio e la gioia di guidare la famiglia piccola chiesa domestica. Sono preti che potrebbero benissimo essere reinseriti nella Chiesa vista la crisi grave di vocazioni.
Preti omosessuali, che rispetto e stimo, possono invece continuare a fare i preti. Convivono pure col compagno e nessuno dice nulla. Se invece ti vedono con una donna, subito la gente bigotta e fissata inizia a pensare male quando invece non c'è nulla di male se c'è amore vero!! Siamo indietro di 200 anni...
Caro cardinal Martini, dal Cielo aiuta papa Francesco insieme allo Spirito Santo a portare la Chiesa verso nuovi orizzonti. Basta liberarsi dai pensieri farisaici e ipocriti. Il bello è che papa Giovanni Paolo II parlò bene del matrimonio dei preti quando approvò il codice di diritto canonico per le chiese orientali. Bellissimo il libro di Donald Cozzens "Verso un volto nuovo del sacerdozio" (Queriniana).
Cozzens, prete psicologo americano, scrisse questo libro dopo gli scandali dei preti pedofili. Il vescovo don Tonino Bello, morto in concetto di santità, nel libricino intervista “Chiesa di parte”, scrisse che il celibato è un dazio e ciò non va bene. Profetizzò che in futuro uomini sposati sarebbero diventati preti! Don Tonino Bello vescovo ha la stessa tempra del Papa. Peccato che pure don Tonino è salito al Cielo, ma Dio sa come fare.
Don Andrea Gallo, nel suo libro “Come un cane in Chiesa” ci aiuta a riflettere su temi che danno fastidio a certi uomini di Chiesa ultra moralisti e retrogradi.
Non voglio fare polemica, ma questa mia lettera vuole essere una critica rispettosa e costruttiva verso la Santa Sede. L'Abbè Pierre, nel suo libro “Mio Dio perché”, ci aiuta come don Gallo ad aprire gli occhi pure sulla castità repressa e bloccante.
Ben venga la castità, ma ben vengano pure i rapporti sessuali fatti con amore vero e vita! Ci vuole equilibrio e ci vuole una morale più aperta se no la scienza teologica viene meno! Ben vengano i valori e i principi! Ma sono stufo di difendere una teologia morale obsoleta e fossilizzata.
Credo nell'amore infinito di Dio. Dio ci ama e questo è il tempo della Misericordia Infinita di Dio. Poi sarà la Fine!
Cara Chiesa, ritorna alle origini e apri gli occhi!!
Caro Papa Francesco, grazie per aver scelto mons. Parolin come nuovo segretario di Stato: ha già detto che il celibato non è un dogma! E bravo pure il cardinale Hummes, ex prefetto della Congregazione per il clero che fu messo a tacere perché pure lui disse che il celibato dei preti non è un dogma.
Caro Papa Francesco, grazie per aver parlato delle lobby gay del Vaticano. Sei un papa eccezionale e senza peli sulla lingua. Non sono arrabbiato con i gay, li rispetto e li accolgo come fratelli. Sono arrabbiato con gli ipocriti e li affido alla potenza rinnovatrice di amore dello Spirito Santo.
Caro Papa se mi vuoi contattare chiama il direttore del giornale (“Il Centro” di Pescara), ma non punirmi. Anzi ti chiedo scusa se mi sono sfogato così apertamente. Prega per me, caro Papa, e se mi chiami non dirò di questa nostra mail perché ho paura di certi monsignori, vescovi e cardinali che sono indietro di 200 anni.
Ma di te caro Papa non ho paura e ti voglio tanto bene. Prega per me perché sono un po' in crisi, ma ho tanta voglia di amare, di evangelizzare, di celebrare con amore e gioia l'Eucarestia, fonte e culmine della vita cristiana. Sono in crisi perché non esiste più una Fede matura. Poca gente frequenta i sacramenti con sincerità. Gli altri lo fanno solo per tradizione ma i loro cuori sono lontani da Dio. Ogni giorno nella mia parrocchia e altrove devo lottare contro i farisei ipocriti o contro un certo fanatismo deviante. I cristiani veri sono pochi. Pazienza, meglio pochi ma buoni.
Un prete aquilano



mercoledì 11 settembre 2013

Terra calpestata, Terra da amare

I temi veri, quelli importanti, fondamentali di oggi non sono quelli classici!
Ecco perchè un teologo come Leonardo Boff non ha fatto una relazione di cristologia o di teologia dogmatica. Ma ha parlato prevalentemente di Terra, di Madre Terra, perchè se il secolo scorso è stato il secolo dei movimenti per i diritti dell'uomo, questo secolo sarà il secolo dei movimenti per i diritti della Terra. Lo sappiamo tutti, le risorse della Terra sono limitate. Terremoti, tsunami, inondazioni, cicloni e catastrofi naturali sono la conferma che se l'uomo continua a sfruttare la Terra in questo modo si arriverà ad una autodistruzione del pianeta.

"Noi siamo Terra, e abbiamo dimenticato questa dimensione.
Siamo gli ultimi arrivati, quando tutto è stato già formato, ed abbiamo il compito di curare la Terra.
Le religioni non sono la soluzione del problema, ma parte del problema.
Un Dio amante della Vita, appassionato della Vita, non lascerà che la Vita scompaia della Terra.
Ciò che manca oggi è la sensibilità, la tenerezza, la capacità di stare accanto e curare.
Cos'è il cristianesimo? Padre nostro e pane nostro."

Non sono parole di un teologo classico, ma di un uomo saggio e ispirato che non fa polemica sterile, ma che unisce alla critica una proposta di cristianesimo etico, in cui il vero povero da liberare è colei che "calpestiamo" ogni giorno...la Terra!

Un contributo più completo lo trovate nel sito dell'amico Ivano
Nei prossimi giorni potrete trovare l'intervento integrale di Leonardo Boff a Bassano sul sito di Macondo.

martedì 3 settembre 2013

Leonardo Boff a Bassano (VI)

"Il divino è più grande della Chiesa:
i diritti umani sono più importanti
della disciplina ecclesiastica".


LUNEDI' 9 SETTEMBRE 2013
ORE 20.30
ISTITUTO GRAZIANI (Via Cereria)
BASSANO DEL GRAPPA - VICENZA

per info www. macondo.it

VI ASPETTO!

martedì 30 luglio 2013

Un'estate piena di matrimoni misti!


Con il matrimonio di Isoke e Claudio (nella foto) continuano gli inviti a festeggiare l'amore misto.
Caffé macchiati, cappuccini. Panna e cioccolato. Come desiderate...
Dopo Marie Therese e Marco a Vicenza, sabato scorso siamo stati a Genova per il matrimonio di Isoke e Claudio, e siamo in attesa di quello di Serena e Narcisse a Padova.
Coppie che hanno fatto delle loro differenze ricchezza.
Differenza d'età, di cultura, di pelle, di passato...
Il tutto per celebrare un'esplosione di bellezza incrociata.
AUGURI A TUTTI VOI che incarnate l'amore profetico!



Non abbiate paura


di p. José Maria CASTILLO

Il papa Francesco sta parlando e comportandosi in maniera tale che dà motivi di speranza. Ma anche di paura. Speranza e paura che, se si pensano guardando attentamente al Vangelo, subito ci fanno venire in mente lo strano contrasto che comportano le parole di Gesù agli apostoli quando li ha inviati ad annunciare al mondo che è già vicino il “regno di Dio”.
Nelle istruzioni che Gesù ha dato a quegli uomini, c’era un comando ed un’avvertenza. Un comando: “curate i malati, cacciate i demòni” (Mt 10,1). Un’avvertenza: “non abbiate paura” (Mt 10,27. Cioè, dovete andare nella vita alleviando la sofferenza. Ma, attenzione! Perchè questo è molto pericoloso. Come? Rendere la gente più felice rappresenta un pericolo che spaventa? Ebbene, sì. Lo è.
Perchè? Perchè rimediare alla sofferenza, veramente e fino alle sue radici, è lottare contro le cause che hanno prodotto tanta sofferenza. Per questo il papa Francesco alimenta speranza. E per questo allo stesso tempo fa paura.
Quelli che si stanno arricchendo di milioni a costo della sofferenza e della perdita dei diritti fondamentali dei più abbandonati, sono individui ed istituzioni con molto potere e molta cupidigia. E scontrarsi con questa gente è molto pericoloso.
Ma la cosa più grave del problema è che, una volta che ci si è messi per quel cammino che si è intrapreso, questo papato non può fare marcia indietro. Fin dove arriverà? Fino a quando resisterà? E non ha fatto altro che iniziare. Stanno per arrivare ciò che dà speranza e ciò che è più pericoloso.

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Articolo apparso il 29 luglio 2013 sul Blog http://blogs.periodistadigital.com/teologia-sin-censura.php .
Traduzione di Lorenzo TOMMASELLI



domenica 16 giugno 2013

Voci Globali mi "interrogano"

Ecco qualche domanda che l'amico Davide Galati, dell'associazione Voci Globali, mi ha fatto sui temi dell’intercultura e dell’integrazione.
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Federico, so che quest’anno stai organizzando un nuovo viaggio in Camerun, dove riprenderai il filo dei tuoi progetti di cooperazione. Ci racconti cosa stai cercando di realizzare laggiù?
Sto cercando di sognare in grande, di credere cioè nei miracoli! Il miracolo più grande per il popolo africano è quello di recuperare stima e fiducia in se stesso, nelle proprie capacità, per poter camminare in autonomia. Ecco che il nostro progetto, pur essendo di piccole dimensioni e senza scadenze, vuole evitare l’assistenzialismo colonialista o perbenista. Anche un piccolo centro di formazione per i giovani, disperso dentro la foresta, diventa un grande progetto se tutti vengono coinvolti e se, tra mille difficoltà, si collabora assieme, ognuno con le proprie responsabilità.
Oltre a riprendere il filo dei progetti in corso, so che i tuoi viaggi rappresentano in realtà un’esperienza più ampia: ce la puoi descrivere brevemente, in modo da incuriosire e magari invogliare qualche lettore a partecipare?
In effetti lo scopo principale dei miei viaggi non è il progetto in sé ma è un’occasione che offro di incontrare e conoscere persone di cultura differente dalla nostra. Non attraverso una conoscenza intellettuale ma esperienziale. Ospiti nelle famiglie senza il filtro istituzionale di organizzazioni umanitarie o missioni religiose. Inoltre la mia personale esperienza di amore e matrimonio con una donna di origine africana mi permette di fare da “ponte” tra le due culture.

Come “Bianco e Nera” che vivono insieme e hanno costituito una famiglia, quali sono le principali difficoltà che dovete affrontare tu e Fidelia, anche alla luce delle differenze culturali?
Dentro il quadro dell’amore, anche le differenze culturali si affievoliscono. O diventano ricchezza. Le difficoltà principali per una coppia mista, in un mondo globalizzato, rimangono legate al carattere della persona. Prima di sposarmi, ho cercato di conoscere la persona di mia moglie nella sua globalità. E lei ha fatto altrettanto con me. Per assurdo le maggiori difficoltà arrivano quando io vorrei che lei fosse più africana e lei vorrebbe che io fossi più italiano!
Rispetto ai temi dell’integrazione e dell’intercultura, la vostra è una posizione privilegiata. Ciascuno di noi può promuovere dal basso un miglior livello di convivenza sociale: quali suggerimenti vi sentite di dare per intraprendere un autentico percorso di integrazione?
Il percorso che consiglio è fondato più sull’esperienza che sulla teoria. Tutti noi possiamo cercare l’amicizia di una persona di cultura differente con la quale condividere tempi e spazi. Non sono tanto le associazioni, le ONLUS, le Caritas… che migliorano le relazioni interculturali. Ma le esperienze che ognuno di noi fa ad esempio con i genitori del compagno di scuola del proprio figlio, o con il vicino di casa, o con il collega di lavoro. Attenzione però: l’incontro autentico deve essere libero dal pregiudizio e dagli stereotipi che la televisione ci inculca.
Pensando al mondo del volontariato, l’ostacolo più forte che ci impedisce di fare esperienza di incontri autentici e arricchenti con l’”altro”, nel nostro caso con persone di cultura africana, deriva da un forte istinto all’assistenzialismo. Siamo spesso portati ad “aiutare” l’africano, e quindi a vederlo con un senso di inferiorità. In questo caso non riusciremo mai ad incontrarlo e a conoscerlo, perchè vediamo solo i suoi problemi e la nostra superiorità nel risolverli.
Pensando all’attualità politica, vorrei capire da te cosa pensi della proposta del neo-ministro Cécile Kyenge di introdurre in Italia lo ius soli. Ritieni che la sua proposta e il conseguente dibattito possano aiutare la causa dell’integrazione?
E’ una legge giusta, perchè un bambino nato in Italia da genitori stranieri non conosce nulla del Paese d’origine e quindi è da considerarsi italiano. Mangia italiano, parla italiano, ha frequentato l’asilo nido, la scuola materna e le elementari in Italia. Non è mai stato in Nigeria, in Bangladesh, in Cina… Quando si guarda allo specchio nota solo il colore diverso della pelle, ma per il resto è tutto italiano. Con i pregi…ma anche i difetti!

La ministra Kyenge a Padova

La visita alla Carraro di Campodarsego (PD), lunedì 10 giugno 2013


(nella foto da sinistra: il sindaco di Campodarsego Mirko Patron, il presidente Enrico Carraro, l'ospite Cécile Kyenge, Piero Ruzzante (PD)

Mentre il nostro vicino di casa "Maschio" ha invitato Berlusconi per la sua campagna elettorale, pagando lo straordinario purchè la sala si riempisse, la Carraro di Campodarsego, azienda metalmeccanica con 560 dipendenti, ha deciso di invitare la neo-ministra per l'integrazione Cécile Kyenge.
In occasione dell'incontro con la RSU le ho rivolto queste parole:

Buongiorno ministra (così vuol farsi chiamare),
sono contento che Lei sia qui, in questa azienda importante del territorio dove l’integrazione avviene quotidianamente, quando lavoratori di differenti culture lavorano l’uno accanto all’altro.
Ho apprezzato molto quando, fin da subito, ha precisato “non chiamatemi di colore, io sono nera e sono fiera di esserlo”. Questo sano orgoglio, che tra l’altro respiro ogni giorno da mia moglie di origine nigeriana, a volte credo venga come represso a causa dell’assistenzialismo, presente anche nel sindacato, e che inquina quel processo per una vera integrazione.
Condivido quando afferma che la diversità etnica, culturale… il meticciato… sono ricchezze, risorse di questa società e non un problema. E vorrei prendere spunto da questa affermazione per entrare nel merito del nostro impegno come rappresentanti sindacali. Qualsiasi tipo di diversità, soprattutto quelle interne, dovrebbero essere considerate come ricchezza.
Come deputata del Partito Democratico, capisce cosa intendo!
Allora anche attorno ad un tavolo di trattativa, la parte aziendale e la parte sindacale non dovrebbero essere due diversità che si oppongono ma due diversità che si arricchiscono!
Anche i due sindacati che rappresentano i lavoratori in questa azienda non dovrebbero farsi la guerra l’un con l’altro ma arricchirsi a vicenda con le proprie specificità.
Ma anche all’interno di un sindacato i pareri diversi, le visione non sempre in sintonia con una linea imposta dall’alto dovrebbero essere ascoltate e accolte come ricchezza e non come pericolo per la stabilità dell’organizzazione!
Ma anche all’interno della nostra RSU, ogni delegato ha una caratteristica unica che un altro non ha. 
Insomma dovremmo essere felici di tanta diversità… 
Grazie ministro, al suo essere donna, al suo essere nera, al suo essere italo-congolese, al suo essere dentro le istituzioni la rappresentante della diversità come ricchezza.

Le consegno come dono il libro che ho scritto, "Bianco e nera", che parla appunto di integrazione... 

mercoledì 12 giugno 2013

La paura del papa e la paura dei poveri


di p. José Maria CASTILLO
(traduzione di Lorenzo Tommaselli)

E’ un fatto che nella Chiesa sono numerose le persone alle quali non piace il papa Francesco. Di più, è anche un fatto che nella Chiesa ci sono persone che hanno paura di questo papa.
Questa paura si spiega non solo perchè Francesco è un uomo che non si adatta alle abitudini ed alla maniera “normale” di procedere dei papi che abbiamo conosciuto, ma anche perchè Francesco non smette di parlare di un tema che, a quanto pare, rende nervose non poche persone. Mi riferisco al tema dei poveri.
Io non so cos’hanno i bisognosi perchè, quando si pone questo problema, siamo in molti (mi ci metto anch’io, certamente) a sentirci male, soprattutto quando si presenta in profondità, con tutte le sue cause e conseguenze.
Inoltre – e questo è la cosa più grave – questo papa non si limita a ricordarci l’amore che dobbiamo avere nei confronti dei bisognosi, ma, oltre a questo e soprattutto a questo proposito, nei suoi discorsi e nelle sue omelie è solito scagliarsi contro la gente di Chiesa, denunciando, senza peli sulla lingua, i funzionari della religione che non fanno quello che devono fare, che si comportano come degli arrampicatori che vogliono solo piazzarsi in posti di potere, guadagnare denaro e vivere bene.
E Francesco è arrivato persino a denunciare pubblicamente i mafiosi vestiti con la sottana. Non eravamo abituati a questo linguaggio sulle “auguste labbra del Pontefice”, come era solito esprimersi “L’Osservatore Romano” ai tempi di Giovanni XXIII, che tagliò corto con una tale sciocchezza nel modo di parlare.
Non sto esagerando. E men che mai sto inventando cose non vere.
La settimana scorsa sono stato in Italia per alcune conferenze. E lì mi hanno raccontato di gente famosa e potente negli ambienti ecclesiastici e clericali che stanno morendo di paura.
Temono trasferimenti? Temono destituzioni? Hanno paura di non raggiungere quello che ormai credevano di toccare con la punta delle dita?
Chi lo sa! Comunque sia, non vi è dubbio che di nuovo si sta verificando esattamente quello che ripetono insistentemente i vangeli: i sommi sacerdoti del tempo di Gesù, con le altre autorità religiose, anziani e scribi, “avevano paura” (Mt 21, 26. 46; Lc 20, 19; Mc 11, 18; Lc 22, 2; Mc 11, 32; 12, 12).
Paura di chi? Della gente, del popolo, dei poveri. Così dicono i testi dei vangeli. Come dicono anche che Gesù a bruciapelo disse in faccia a loro che avevano trasformato il tempio in un “covo di banditi” (Mt 21, 13; cf. Ger 7, 11 par). Per questo il papa non ha avuto riguardo nel ripetere, riferendosi a determinati ecclsiastici attuali, che sono dei “banditi”. E Francesco aggiungeva: “lo dice il Vangelo”.
Ci sono alcuni che si lamentano che questo papa non prende decisioni. Perchè non toglie alcuni e mette altri nei posti più importanti della curia.
Nessuno sa quello che il papa Francesco pensa di fare. Quello che sappiamo è quello che ha già fatto.
E, per lo meno fino ad ora, ha fatto due cose che sono evidenti per tutti:
1) Ha adottato uno stile di vita, che non è quello che eravamo abituati a vedere nei papi fino ad ora.
2) Si è schierato decisamente a favore dei poveri e parla molto duramente contro i ricchi e gli arrampicatori che cercano potere e privilegi.
Si limiterà a questo? Credo di no. Siamo all’inizio, non è che l’inizio.
E questo fa più paura ad alcuni. Ma, in ogni caso, non sarà male ricordare che Gesù ha fatto la stessa cosa che fino ad ora sta facendo questo papa: condurre una vita austera ed avere una libertà per parlare e fare certe cose che fanno uscire dai gangheri gli stessi come al tempo di Gesù per il suo comportamento. Francesco fa diventare matti i più osservanti di non poche tradizioni che nei settori più tradizionalisti della Chiesa si consideravano intoccabili.
E ‐ chi l’avrebbe detto! ‐ le due cose che ha già messo in moto Francesco – che sono quelle che ha messo in moto Gesù – sono state (e continuano ad essere) il motore del cambiamento nella storia: 1) uno stile di vita semplice e solidale; 2) un’opzione preferenziale per i poveri, che sposta le persone privilegiate ed importanti, fino a metterle all’ultimo posto.
Il papa Francesco non ha conferito incarichi e non ha preso decisioni clamorose. Si è limitato a mettere al centro delle sue preoccupazioni quello che ha messo Gesù al centro delle sue preoccupazioni: la sofferenza dei poveri.
E questo ha messo la paura in corpo a quelli che desideravano un papato con altre pretese. Le pretese degli arrampicatori e l’ambizione dell’osservanza che può ben occultare un’etica dubbia, forse contraddittoria con il comportamento della gente onesta.
E finisco: vi assicuro che per me è indifferente che il papa sia progressista o conservatore. Quello che mi interessa veramente è che il papa Francesco si è centrato e concentrato sul Vangelo. Non smette di parlare di Gesù, di quello che hatto fatto e detto Gesù. Qualsiasi ideologia abbia, se è identificato con Gesù, mi sento spontaneamente identificato con il papa. Nè più e nè meno.

Articolo apparso l’11 giugno 2013 su www.periodistadigital.com/religion/

Ormai sono i comici a dire alcune verità...


giovedì 23 maggio 2013

Morire e risorgere nelle comunità

E' morto don Gallo

Ho fatto in tempo ad incontrarlo alcuni mesi fa, durante una cerimonia organizzata dall'associazione La ragazza di Benin City, a Genova.
L'ho salutato, mi ha stretto forte e mi ha sostenuto nelle mie scelte. Qualcuno gli aveva accennato la mia storia, ma sembrava che la conoscesse fino in fondo.
Ricordandolo con affetto, pubblico queste parole di Jorge Luis Borges:


«Non posso darti soluzioni per tutti i problemi della vita.
Non ho risposte per i tuoi dubbi o timori,
posso, però, ascoltarli e dividerli con te.
Non posso cambiare né il tuo passato né il tuo futuro;
però, quando serve, sarò vicino a te».

Il mio augurio:
Che possa risorgere nella comunità che ha fondato 
e nel bisogno di giustizia e di libertà 
che sale dai bassifondi 
di questa umanità!

martedì 14 maggio 2013

Oltre i pregiudizi...


gruppo Emmanuele
persone omosessuali credenti – padova

In occasione del XV anniversario di fondazione, il gruppo Emmanuele propone alla
cittadinanza di Padova e del Veneto una tavola rotonda su temi afferenti al rapporto
tra la condizione omosessuale e il credo cristiano, dal titolo

«omosessualità e cristianesimo»

Relatori di tutto rispetto per questa interessante occasione di riflessione e di confronto
saranno i teologi Lidia Maggi, pastora della Chiesa valdese, e Vito Mancuso, docente
di Storia delle dottrine teologiche all'Università di Padova. Modererà l'incontro Luigi
Pescina del gruppo Emmanuele.
L'appuntamento è per lunedì, 20 maggio 2013 – ore 21.00
presso la Sala Anziani di Palazzo Moroni (Municipio di Padova)
Via VIII Febbraio, Padova (accanto all'Università e al Caffè Pedrocchi)

Con preghiera di diffusione.
Padova, 13 maggio 2013
www.gruppoemmanuele.it

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Lidia Maggi
Teologa, è pastora battista in servizio a Varese. Oltre alla cura delle chiese a
lei affidate, si occupa di formazione e di dialogo ecumenico. È responsabile
della rivista «La Scuola domenicale». Collabora con diverse riviste
cattoliche («Rocca», «Mosaico di pace», «Matrimonio»...) e protestanti su
temi biblici e di dialogo ecumenico ed interreligioso.

Vito Mancuso
Teologo, è stato docente di Teologia moderna e
contemporanea alla Facoltà di Filosofia
dell’Università «San Raffaele» di Milano dal 2004 al
2011. È spesso oggetto di discussioni e polemiche per
le sue posizioni non sempre allineate con le gerarchie ecclesiastiche,
sia in campo etico sia in campo strettamente dogmatico. Dal 2009 è
editorialista del quotidiano «La Repubblica». Da marzo 2013 è
docente di Storia delle dottrine teologiche all'Università di Padova.

lunedì 22 aprile 2013

Un'analisi molto condivisibile


DEMENTI, PAZZI E TRADITORI ovvero FALLITI, ANDATE A CASA
di Paolo Farinella, prete

Genova 20-04-2013 – In questo preciso istante apprendo dalle agenzia che Napolitano è stato rieletto, presidente dell’inciucissimo, cedendo benevolmente alla violenza dei falliti che occupano indegnamente il Parlamento. Ora c’è la sua «prorogatio» per un anno, il tempo necessario a sistemare la salvezza definitiva di Berlusconi, la scomparsa del Pd e il declassamento dell’Italia a repubblica delle bucce di banana. Un parlamento appena eletto, rinnovato al 70% fallimentare e ignobile.
Ritengo questo atto come uno scippo, un tradimento, un atto sovversivo e l’ultimo colpo mortale alla democrazia, MERITO ESCLUSIVO DEL PD che ha raggiunto i suoi scopi:
  1. Autodistruggersi, affondandosi da solo senza nemmeno il salvagente.
  2. Salvare Berlusconi da morte certa e tenerlo in vita «forever».
  3. Riportare Berlusconi al potere per altri venti anni, ammettendolo al governo con Monti.
Agli amici che mi hanno attaccato perché criticavo il Pd, ecco la risposta: mi prenderei una rivincita se vi dicessi che «l’avevo detto!». L’avevo scritto da anni che il Pd doveva implodere perché ha bruciato tutte le tappe e tutte le occasioni per essere se stesso. Lo avevo detto e scritto, in occasione delle primarie che sono state l’ultimo tassello della dissoluzione, non per le primarie in sé, ma per la gestione e il metodo da fanfaroni, da loro stessi disattese, quando si è trattato di fare le liste. Lo avevo detto e scritto, quando Bersani presentò gli «otto punti» che non erano nemmeno «virgole». Lo avevo detto quando c’era da fare il governo e Bersani ha pensato solo alla sua figura di citrullo senza arte né parte. Lo avevo detto quando D’Alema non si presentò alle elezioni perché capii subito che mirava al Quirinale d’accodo con Berlusconi. Con Renzi, avevo previsto tutto, fino alle virgole. Mi verrebbe voglia, ma soffro troppo per potere godere di una disfatta che ormai è mortale per loro e per l’Italia.
Il Pd poteva dare la svolta all’Italia, se solo avesse scelto, come ho scritto e suggerito, un presidente del consiglio fuori dai partiti e dal parlamento. Insieme al Movimento 5 Stelle avrebbe avuto il governo e la presidenza della Repubblica. Per settimane ha inseguito i 5Stelle per finire ad elemosinare un accordicchio con Berlusconi, dopo che per tutta la campagna elettorale, aveva gridato «mai più con Berlusconi». Per il Quirinale ha presentato la «sopresa» di Marini, o quella di Amato (che proporranno per il governo); ha bruciato Prodi in un modo osceno. Ha distrutto se stesso come nessuno sarebbe stato capace di fare meglio. Ora il gioco, tutto, è nelle mani del Caimano, Che li paghi?
Berlusconi gode, anche senza bunga-bunga, perché, senza nemmeno pagare un miserabile pegno, si è tolto di mezzo l’ingombrate e ormai inutile Pd che risulta il peggiore partito di questa stagione, il più vigliacco, il più degenere, il più omicida, il più antidemcratico. Il più imbecille!
Il futuro non è roseo, è amaro, è tragico e vedere questi fannulloni che giocano sulla pelle del Paese, gorgheggiando sempre «sull’interesse dei cittadini», mi fa veramente arrabbiare. Spero a questo punto che Berlusconi governi per il prossimo secolo e li distrugga fino a non lasciare l’ombra di una traccia. Lo hanno salvato, lo hanno voluto, se lo tengano. Alla resa dei conti, è il meno peggio.
Grillo poteva ribaltare la situazione dal primo giorno, ma per paura o per superbia, ha tergiversato ed è arrivato troppo tardi alla «prateria del governo». Si è gingillato con la Lombardo che non conosce nemmeno la Costituzione. Dio li perdoni perché sono responsabili dello sfacelo in cui ci troviamo.
Rodotà era il presidente del consiglio ideale e iol presidente della repubblica idealissimo: di sinistra, libero, non condizionabile, difensore della Costituzione, l’uomo a garanzia dei cittadini. Tutte qualità che per il Pd non valgono nulla perché quello che conta era il destino di Bersani, di D’Alema e dei perdenti a vita. Alle prosisme elezioni, ormai vicine, Berlusconi spopolerà standosene a casa a godersi lo spettacolo attorniato dalle sue donnine, contando i posti che gli spettano in parlamento e le gratifiche da attribuire. Bel colpo, Pd! Ottimo risultato, Bersani. L’Italia ringrazia e maledice.
Napolitano ha completato il ciclo delle sue trame: portare tutti al governo, in una unica ammucchiata dove tutto diventa bigio e Berlusconi si salva ancora una volta. Dio li perdoni, se può, perché io non posso farlo. Grillo ha torto: non «è un golpe»! È un GOLPE MORTALE!

sabato 30 marzo 2013

Le dimissioni di Ratzinger


 SCELTA STORICA O PROFETICA?

dell'amico Lorenzo TOMMASELLI


Comunque la si pensi su Benedetto XVI, le dimissioni di Joseph Ratzinger dall’esercizio del ministero petrino sono un evento storico, che ha sconvolto la struttura ecclesiastica ed ha aperto, forse suo malgrado, prospettive nuove nella vita della chiesa romana.
Al momento, è difficile valutare in tutta la sua portata un gesto che senz’altro è entrato nella storia della chiesa moderna, a prescindere dalla personalità di chi lo ha fatto: probabilmente ce lo saremmo aspettati più da un papa più aperto che da un conservatore come Benedetto XVI.
Ma, al di là di tutto, restano il significato e più ancora le conseguenze di questa decisione, che sembra aver scosso molte persone nel sistema di potere vaticano.
Eh sì, perché tutto sembra girare intorno ad un sistema di potere, come quello vaticano, estraneo in radice all’esperienza di vita di Gesù ed al suo vangelo. Nella storia della chiesa i papi si sono attribuiti espressioni e titoli come “vicario di Cristo”, “sommo pontefice”, “santo padre”, “beatissimo padre”, “santità”.
E noi, impotenti e sgomenti, abbiamo assistito, a questa sempre più accentuata ed inaccettabile sacralizzazione della persona e del ruolo del vescovo di Roma, ben al di là della sua reale configurazione ecclesiale, processo, questo, già ampiamente realizzato e portato ad un livello altissimo sotto Giovanni Paolo II.
Infatti nella storia si è sempre più legittimato questo sistema, assoluto ed antievangelico, che si vuole tragga la sua origine nelle parole che Gesù, nel vangelo di Matteo (16,18), rivolge all’apostolo Pietro: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”.
Purtroppo una traduzione ed una conseguente comprensione non puntuale del testo greco originale hanno potuto far nascere la più profonda incomprensione di quello che il testo matteano vuole dire.
Infatti nel testo originale c’è un gioco di parole tra due termini greci, pétros e pétra, che però non sono l’uno il femminile dell’altro (tipo “porto” e “porta”) ma significano il primo “sasso, mattone” - ed è il soprannome (“testa dura”) che gli evangelisti danno a Simone, mentre Gesù lo chiama sempre con il suo nome - ed il secondo “roccia”.
Quindi la frase di Mt 16,18 sopra citata significa: Tu nella mia comunità sei un mattone (pétros) importante di questa comunità, ma essa è edificata su di me (pétra, la roccia). Quindi la roccia non è l’apostolo Pietro, ma lo stesso Gesù, come, tra l’altro, altri testi del Nuovo Testamento confermano (si veda, p. es. Ef 2, 20-22).
Perciò il ministero petrino, nella sua essenza evangelica, è un ministero di servizio, è la “presidenza dell’amore”, secondo la bella espressione di Ignazio d’Antiochia, un ministero che non soffoca quello degli altri vescovi, ma che lo dilata in una chiave universale, in una sorta di coordinamento delle chiese locali.
Perché il papa è tale perché vescovo di Roma e non il contrario, quindi non è un super-vescovo, ma è un vescovo, quello di Roma, certamente con un ruolo importante nel costruire l’unità e la comunione nella diversità tra le comunità di fede.
Ma purtroppo queste elementari osservazioni, tali per chi ha un minimo di conoscenza sull’argomento, sono state taciute dalla stragrande maggioranza (tranne pochissime eccezioni, tra cui i proff. Vito Mancuso ed Alberto Melloni) di improvvisati commentatori nelle ore immediatamente successive all’annuncio delle dimissioni, quando siamo stati costretti a subire in televisione e sui giornali un’orgia devastante di commenti.
Le sfide che il cristianesimo ha davanti sono enormi, ma questo cristianesimo, questa forma di cristianesimo (il cristianesimo edito, come diceva l’indimenticato p. Ernesto Balducci) potranno avere un ruolo ed un senso nella società attuale solo se muoiono per rinascere alla luce di un dinamismo evangelico che porti a tutti speranza, senso per la vita, liberazione dalle sofferenze.
Tutto questo perché ci siamo allontanati decisamente dal cammino e dalla prassi dell’Uomo di Nazareth, del Figlio dell’Uomo, di Colui che nella Sua vita ha realizzato il progetto del Padre sull’umanità.
E’ inutile e controproducente soffermarsi ossessivamente sulla difesa di presunti valori non negoziabili (nei vangeli ne abbiamo uno solo: la dignità e la felicità degli esseri umani), men che mai avere come punto essenziale dell’annuncio il discorso su Dio.
Questo Dio non sta alla nostra portata, è per definizione il trascendente, di Lui possiamo fare esperienza rimettendo al centro dell’esperienza ecclesiale solo ed esclusivamente Gesù di Nazareth, che ne è la rivelazione piena, e la sua prassi liberatrice. E’ Gesù che sta al centro del Vangelo con le sue scelte di vita forti ed esigenti, non Dio, un Dio che noi umani non possiamo conoscere perché è il “totalmente Altro” (R. Otto) da noi.
E le ormai indifferibili richieste di riforme, avanzate da significativi settori del mondo ecclesiale, non hanno trovato ascolto ed attenta considerazione nella gerarchia, che, a partire dall’immediato post Concilio, si è sempre più richiusa in se stessa, disattendendo la pregnanza e l’urgenza dei contenuti di riforma, proposti alla comune riflessione, anche da autorevoli membri dell’episcopato.
Tra gli ultimi, il compianto arcivescovo di Milano e cardinale Carlo Maria Martini, che con la sua indiscussa autorevolezza culturale e la sua limpida testimonianza pastorale si è fatto coraggioso interprete di quest’ansia di rinnovamento, denunciando anche consistenti ritardi dell’istituzione ecclesiastica rispetto alla necessità di un rinnovamento ecclesiale in capite et in membris.
Sono quelle stesse tematiche sulle quali si è soffermata la lucida e libera riflessione del grande teologo e moralista p. Bernhard Häring nell’ultimo periodo della sua vita, in particolare nel volumetto “Perché non fare diversamente?” (Queriniana, 1993). In esso il grande moralista scomparso chiedeva una «nuova forma di rapporti nella Chiesa», proponendo, tra l’altro, in una finzione poetica, una lettera pastorale di un papa, diremmo oggi, “virtuale”, papa Giovanni XXIV, nel quale viene sicuramente adombrata la figura di papa Roncalli, ma, credo, anche in parte quella di papa Luciani, ugualmente intrisa dello spirito giovanneo.
E come non richiamare alla memoria della comunità ecclesiale la luminosa figura dell’arcivescovo di Torino card. Michele Pellegrino, per tutti “padre” Pellegrino, insigne studioso e pastore, morto nel 1986! In una storica intervista del marzo 1981 sulla rivista “Il Regno”, con uno spirito di libertà e di franchezza episcopale, di cui si è oramai perso il ricordo nella prassi ecclesiale, aveva stigmatizzato con nettezza e senza reticenze curiali le problematiche e le incertezze di una chiesa, combattuta tra paura e profezia, le stesse tematiche sulle quali, dopo più di vent’anni, è ritornato il card. Martini.
Se la Chiesa non serve, non serve a niente, ricorda di continuo mons. Jacques Gaillot, vescovo emerito di Partenia, coraggioso missionario del Regno e vittima anch’egli, insieme a tanti altri, dell’involuzione autoritaria del potere ecclesiastico.
Come non vedere la sclerosi sempre più galoppante che si è diffusa nelle strutture ecclesiali e che le sta rendendo sempre più un apparato di potere destinato alla sua autoconservazione, un arido museo, invece che, secondo l’efficace metafora di Giovanni XXIII, un olezzante giardino, segno di speranza e di liberazione per tutti?
In tutto questo grigiore burocratico, in un’atmosfera ecclesiale (e non solo), nella quale l’attenzione ed il riferimento al vescovo di Roma hanno da tempo assunto accenti di vero e proprio culto della personalità, dov’è il sogno del Padre per un’umanità nuova, quel progetto per il quale ha dato la vita l’Uomo di Nazareth “nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito” (Rm,1, 3-4)?
La speranza, virtù ardua da concepire in questo momento ma prezioso talento da far fruttare, è riposta in una maturazione della comunità ecclesiale, che, se si aprirà sempre più allo Spirito, potrà continuare un processo ecclesiogenico, brutalmente interrotto già a ridosso dell’esperienza conciliare, ma che potrà favorire la costruzione di una Chiesa altra, più aperta, più “cattolica”, meno “romana” e certamente molto più vicina al sogno di Gesù di Nazareth.
Nonostante le sorde e forti resistenze curiali, verrà il tempo favorevole, nel ricordo di Giovanni XXIII, dell’azione e dell’esempio di tanti, vescovi, preti e laici, che hanno continuato, contra spem, a battersi per una Chiesa altra ed a credere nel sogno e nelle promesse di Dio, che sono diventate sì in Gesù Cristo (cf 2Cor,1,20).
Se le dimissioni di papa Benedetto XVI saranno servite ad innescare ed a realizzare questo moto di rinnovamento, saranno un innegabile merito di fronte alla storia che Joseph Ratzinger avrà avuto e che difficilmente gli potrà essere negato.

lunedì 18 marzo 2013

La nuova chiesa: popolo di Dio

Ecco il cambiamento che la base si attende dal nuovo papa Francesco:
da una chiesa cristo-centrica a una chiesa regno-centrica.
In poche parole, da una chiesa centrata su concetti che il Magistero attribuisce a Gesù (liturgia, adorazione, dogmi, movimenti mariani, sacralizzazioni e benedizioni a pagamento, peccato e scomuniche, ecc...), a una chiesa impegnata a costruire il regno di Dio qui, su questa terra, nello stile che Gesù di Nazareth ci ha trasmesso (giustizia sociale, parola di Dio, fratellanza, misericordia, perdono, condivisione, ecc...).

Sotto un prezioso contributo di José Comblin, teologo della liberazione.

[...]In America latina la religione si trova sempre presente nei movimenti popolari, i quali non fanno distinzione tra i loro oppressori civili, militari o religiosi. Il popolo è una realtà sempre religiosa. Esso stesso si interpreta come popolo di Dio, convinto che la fede in Dio, nel Dio di Gesù, è la fonte della sua lotta per la vita e delle energie che permettono di sopravvivere. Non ha nulla in comune con le classi sociali del marxismo.
Se avessero voluto davvero capire il concetto di popolo latinoamericano, i membri della curia romana avrebbero potuto paragonare il popolo latinoamericano al popolo delle rivoluzioni europee del 1848. Ma essi non cercarono di apprendere perché pensavano già di sapere tutto.
Perché fecero questo? Nasce un sospetto: dopo che Giovanni Paolo II aveva scelto i suoi collaboratori, fu chiaro che l'insieme della curia era costituito da persone che non accettavano il Concilio Vaticano II e avevano deciso di svuotarlo. Chiaramente non potevano sconfessarlo. Dovevano lottare contro il Concilio richiamandosi ad esso, svuotare il contenuto dei documenti conciliari citandoli. Bastava scegliere le citazioni giuste.
L'America latina non era al primo posto fra le preoccupazioni romane. Al primo posto c'era il cambiamento del contenuto del Vaticano II. L'america latina interessava nella misura in cui poteva fornire argomenti per cambiare il contenuto del Vaticano II.
Non occorreva essere uno spirito geniale per scoprire che la chiave dell'ecclesiologia conciliare era il concetto di popolo di Dio. Con questo concetto si offriva una base per le iniziative dei laici, la diversità delle opzioni pastorali, l'impegno temporale differenziato a seconda dei paesi e dei contenuti. In una parola, il concetto di popolo di Dio era la più seria minaccia alla centralizzazione romana. Era come una giustificazione di un decentramento del potere della chiesa.
La vittima di tale evoluzione poteva essere solo la curia romana. Tutti gli altri ci avrebbero guadagnato, ma la curia ci avrebbe perso. Non si è mai visto un apparato burocratico che accetti passivamente la sua dissoluzione o anche la riduzione del suo potere. Al contrario qualsiasi amministrazione aspira sempre a più potere, più centralizzazione, più disciplina, il che viene identificato con la ricerca dell'unità. [...]

(tratto da Il popolo di Dio, José Comblin, Città Aperta Edizioni, pagg. 105-106)

giovedì 14 marzo 2013

Papa Francesco: prima impressione


Ricevo e pubblico questa riflessione di Michela Murgia

Il camerino dove il neo eletto si cambia d'abito e assume la veste papale è soprannominato significativamente “stanza delle lacrime” e non c'è ragione per non credere che ieri sera anche Jorge Mario Bergoglio l'abbia usata per piangerci le proprie. Confesso che davanti alla tv un groppo in gola l'avevo anche io, come credo molti altri cristiani, atterrita al pensiero che l'uomo dentro a quella stanza potesse essere Angelo Scola.Non fatico a immaginare che per ragioni opposte fosse scontento anche Joseph Ratzinger a Castel Gandolfo, sicuramente informato prima di tutti del risultato di un conclave che ha negato continuità alla sua linea di governo, trombandogli il caldeggiatissimo delfino senza nemmeno discuterci due giorni interi. Benedetto XVI aveva amabilmente suggerito che il nuovo papa dovesse avere “il vigore del corpo e dell'animo” e invece i cardinali hanno eletto un vecchio di 76 anni considerato già fuori dai giochi; aveva spostato il suo candidato da Venezia a Milano e loro gli hanno preferito un successore preso “alla fine del mondo”. Si era spinto fino a mettere direttamente il pallio addosso a Scola in un'irrituale udienza privata, ma i cardinali non hanno ritenuto che quella pecora simbolica dovesse implicare l'assegnazione automatica di tutto il gregge. A dispetto del fatto che il 60% di loro fosse debitore della porpora proprio al papa uscente, è tra i cardinali nominati da Wojtyla che sono andati a pescare il suo successore, come già avevano tentato di fare senza esito durante il conclave del 2005. Lo spariglio della carte ora è totale. Quando il cardinal protodiacono ha pronunciato il nome di Bergoglio dal balcone, la sorpresa della piazza non era inferiore a quella delle redazioni giornalistiche, le cui troupe erano già piazzate al paese natale di Scola per cogliere il magnum gaudium dell'uomo della strada. Sono saltati sulle sedie persino alla CEI, dove da ore era pronto il comunicato di congratulazioni con il nome sbagliato, che poi per una svista è partito lo stesso. A dispetto del fatto che quasi nessuno l'avesse sentito nominare fino a un secondo prima, non si era manco affacciato al balcone che la rete già pullulava di opinionisti che dopo tre click su google erano pronti a dargli del colluso con la dittatura dei colonnelli argentini. “Chissà” - ha commentato amaro lo scrittore Emanuele Tonon - “magari sarebbe bello aspettare almeno dieci minuti prima di accendere i motori della macchina del fango. Giusto dieci minuti, dico. Poi, magari, non basteranno cent'anni. Ma dieci minuti, una volta, non si negavano a nessuno”.
 In tutta quella fretta di svelare misfatti, molti magari non si sono resi conto che nei suoi primi dieci minuti da papa Bergoglio ha fatto tre scelte simboliche di portata più che notevole. Apparso al balcone senza mozzetta né stola, l'argentino non ha mai pronunciato la parola "papa". Si è invece definito ripetutamente vescovo di Roma e ha chiamato il suo predecessore “vescovo emerito”, non certo ignaro del fatto che Ratzinger ha invece indicato di voler essere chiamato “papa emerito”. Le implicazioni ecclesiali ed ecumeniche della parola “vescovo” detta ripetutamente da quel balcone in quel momento sono enormi.
 Ma Bergoglio ha fatto qualcosa di più forte ancora: prima di benedire la folla ha chinato la testa e ha chiesto alle persone in piazza di pregare per lui in un inatteso gesto di reciprocità, rafforzato dall'annuncio di voler iniziare un “cammino nuovo, vescovo e popolo”. Chi si aspettava dal successore di Ratzinger il prosieguo del suo percorso di ridimensionamento del Concilio Vaticano II è servito: questo è stato il saluto papale più sinodale mai visto da piazza San Pietro.
 La terza scelta forte è stata l'annuncio del nome di Francesco: nessun omaggio a papi storici, nessun debito con papi recenti, ma l'instaurazione di una parentela inedita con il cencioso frate umbro, profeta di povertà e umiltà. Dopo un primo momento in cui nel titolo si era voluto leggere il riferimento al gesuita Francesco Saverio, è arrivata la smentita del cardinale Dolan, il grande vincitore tra gli strateghi di questo conclave: “il papa ci ha detto che ha scelto il nome in onore di Francesco d'Assisi”. In quel momento confesso che avrei pagato per vedere la faccia di chi ha gestito la faccenda Ior fino a ieri. In attesa di vedere quale giornata verrà fuori da un'aurora così promettente, arrivano come una raffica di macigni le notizie sul passato di Bergoglio.Complice di Videla. Delatore dei confratelli. Le mani sporche del sangue dei desaparecidos. Un libro di inchiesta che lo accusa. Ho passato la notte a leggermi ogni notizia, provando a verificarla per quanto mi è stato possibile, e il quadro che ne emerge è cupo, ma ambivalente.A tracciarlo meglio di tutti mi pare sia stato il New York Times, in un articolo firmato dai quattro corrispondenti di Buenos Aires, Portland, Rio de Janeiro e Montevideo. Ci sono esplicitate le durissime accuse, ma anche i controcanti di voci decisamente poco papaline come quella di uno dei fondatori della teologia della liberazione Leonardo Boff, che si dice addirittura incoraggiato dalla sua nomina a pontefice. Altrove ho letto le dichiarazioni di Alicia Oliveira, ben nota per il suo lavoro nel ruolo di Difensora dei diritti umani a Buenos Aires, che sostiene la versione dei fatti di Bergoglio e che grazie a lui si ritiene scampata a una fine da desaparecida.

Condivido in tutto le delusioni di chi avrebbe voluto sue prese di posizione coraggiose ed esplicite, ma gli storici silenzi della Chiesa sulle dittature di ogni dove non possono stupirmi: a Cuba come in Cile, in Cina come in Germania, per decenni la linea strategica delle gerarchie vaticane è stata quella della non belligeranza, nella convinzione che tenere un profilo basso potesse salvare più vite o non metterne in pericolo di ulteriori. È la storia di Pio XII tanto quanto quella di Wojtyla, comparso persino da papa in molte foto con Augusto Pinochet, senza che nessuno si sognasse di giudicare il suo pontificato da quello.
 Bergoglio ha un passato ambiguo, ma in quel conclave non c'era un solo cardinale di cui non si potesse dire lo stesso; non sono per niente pronta a scommettere che ciascuno di loro diventando papa avrebbe detto da quel balcone quello che ha detto lui. Il suo passato pesa e sarà pesato con cura, ma i cristiani che sperano in una boccata d'aria hanno visto nelle sue parole e in quelle brevi azioni simboliche una prospettiva di futuro per la Chiesa molto diversa da quella che sarebbe venuta dalle altre nomine accreditate, prima tra tutti quella di Scola.
 Nessuno che abbia una minima conoscenza della Chiesa si aspetta rivoluzioni dottrinali da un papa uscito da conclave composto interamente da conservatori, quando non da restauratori: sono certa che Francesco pontefice non farà nessuna apertura sulle cosiddette questioni non negoziabili, tanto quanto sono sicura che dei diritti di gay e donne non gli freghi un accidente, come del resto a nessun cardinale. Solo i più naif possono meravigliarsi che da un conclave non venga fuori un figlio dei fiori. È però credibile che il richiamo esplicito alla collegialità ecclesiale pronunciato da Bergoglio annunci un ridimensionamento del potere dei sultani curiali e che il riferimento assisano implichi uno stile diverso nella gestione del denaro: questi gesti sarebbero un passo avanti enorme anche senza altri confronti con i papati precedenti. Queste cose da cristiani possiamo sperarle senza che nessuno possa accusarci di accontentarci di poco, come un triste elettore italiano di centro sinistra.
 Il resto lo criticheremo quanto e più duramente di come abbiamo criticato i papi passati, ma oggi ho ancora negli occhi quello che è accaduto su quel balcone e niente riesce a rimuovere la sensazione ottimistica che lì questo papa abbia dato avvio consapevolmente a una nuova narrazione

Di Michela Murgia

sabato 9 marzo 2013

Che papa?

Che caratteristiche dovrebbe avere il prossimo papa?

Premesso che in questi giorni lo Spirito Santo potrebbe essere in vacanza e quindi lontano dal Vaticano...mi son chiesto chi potrebbe essere il papa più adatto a "guidare" la cattolicità a livello mondiale. Ammetto di non conoscere il curriculum dei papabili che potrebbero succedere alla cattedra di Pietro.
Però ho pensato: come può un papa, un uomo con una sensibilità particolare (gli ultimi due papi hanno avuto ad esempio un atteggiamento contrapposto nei confronti della malattia e della fragilità di un ministro di Dio) guidare un popolo con caratteristiche e problematiche diverse?
Un papa ossessionato dal comunismo sovietico come avrebbe potuto dialogare con le realtà sociali ed ecclesiali influenzate da vari comunismi?
Un papa troppo teologo come avrebbe potuto essere anche pastore?
Lo Spirito Santo dovrebbe infondere il dono della sintesi dei carismi...però l'umanità, gli ormoni, le esperienze cercano il sopravvento. E' normale. Per questo motivo credo che il papa dovrebbe tornare a fare il vescovo di Roma e lasciar che i vari vescovi sparsi nel mondo incarnino il messaggio del Vangelo in base alle esigenze locali. Proprio come hanno fatto gli evangelisti nei primi secoli,  togliendo, aggiungendo o modificando qualcosa del messaggio di Gesù in base alla comunità alla quale si rivolgevano. Il fine non era l'ortodossia della dottrina, ma il bene del popolo.



Una curiosità
Già nel dal 2010, cinquanta teologi spagnoli avevano espresso la loro adesione alla Lettera aperta ai vescovi di tutto il mondo del teologo svizzero Hans Küng con queste parole: «Crediamo che il pontificato di Benedetto XVI si sia esaurito. Il Papa non ha l’età né la mentalità per rispondere adeguatamente ai gravi e urgenti problemi che la Chiesa cattolica si trova a dover affrontare. Pensiamo quindi, con il dovuto rispetto per la sua persona, che debba presentare le dimissioni dalla sua carica».

giovedì 7 febbraio 2013

mercoledì 9 gennaio 2013

Giornata mondiale del migrante e del rifugiato

Siamo tutti stranieri e cittadini del mondo!

Analisi
In Italia 1 abitante su 12 è di origine straniera.
L’Italia da Paese di emigrazione interna e verso l’esterno, in Europa e nel mondo, è diventato negli ultimi 25 anni anche Paese di immigrazione. L’immigrazione sta cambiando l’Italia, strutturalmente. La stima di oltre cinque milioni di persone - metà dei quali provenienti da 40 Paesi dell’orbita europea (53,4%), e l’altra metà dall’Africa (21,6%), dall’Asia (16,8%), dall’America (8,1) e solo pochissimi dall’Australia (0,1%) -, ha fatto ormai diventare l’Italia uno dei Paesi europei e del mondo a più forte pressione migratoria. (leggi articolo)

Diritti
I figli di immigrati nati in Italia hanno il diritto ad avere la cittadinanza italiana (leggi approfondimenti).

Gli immigrati, regolarmente residenti in Italia, hanno diritto al voto (leggi approfondimenti).

Doveri di tutti
Il dovere di tutti è prima di tutto quello di non discriminare nessuno. Mia moglie, essendo di origine africana ed avendo ottenuto la cittadinanza italiana, può avere il diritto di non sentirsi domandare il permesso di soggiorno ad ogni ufficio? Può avere il diritto di essere considerata più italiana che africana, dal momento che ha vissuto più anni in Italia che in Africa? Può avere il diritto di essere trattata come una persona?

Il dovere di chi arriva in Italia è quello di farsi voler bene, non quello di farsi compatire, ma di farsi rispettare e di rispettare. Se poi un immigrato si stabilisce fisicamente in Italia dovrebbe stabilire qui anche il suo cuore, il suo interesse, la sua ricchezza.

L'immigrazione e l'emigrazione non si potranno mai nè controllare, nè contrastare e nè arrestare. Sono semplicemente il sintomo o la causa di fenomeni sociali legati alla storia di un popolo o di una persona.