domenica 16 giugno 2013

Voci Globali mi "interrogano"

Ecco qualche domanda che l'amico Davide Galati, dell'associazione Voci Globali, mi ha fatto sui temi dell’intercultura e dell’integrazione.
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Federico, so che quest’anno stai organizzando un nuovo viaggio in Camerun, dove riprenderai il filo dei tuoi progetti di cooperazione. Ci racconti cosa stai cercando di realizzare laggiù?
Sto cercando di sognare in grande, di credere cioè nei miracoli! Il miracolo più grande per il popolo africano è quello di recuperare stima e fiducia in se stesso, nelle proprie capacità, per poter camminare in autonomia. Ecco che il nostro progetto, pur essendo di piccole dimensioni e senza scadenze, vuole evitare l’assistenzialismo colonialista o perbenista. Anche un piccolo centro di formazione per i giovani, disperso dentro la foresta, diventa un grande progetto se tutti vengono coinvolti e se, tra mille difficoltà, si collabora assieme, ognuno con le proprie responsabilità.
Oltre a riprendere il filo dei progetti in corso, so che i tuoi viaggi rappresentano in realtà un’esperienza più ampia: ce la puoi descrivere brevemente, in modo da incuriosire e magari invogliare qualche lettore a partecipare?
In effetti lo scopo principale dei miei viaggi non è il progetto in sé ma è un’occasione che offro di incontrare e conoscere persone di cultura differente dalla nostra. Non attraverso una conoscenza intellettuale ma esperienziale. Ospiti nelle famiglie senza il filtro istituzionale di organizzazioni umanitarie o missioni religiose. Inoltre la mia personale esperienza di amore e matrimonio con una donna di origine africana mi permette di fare da “ponte” tra le due culture.

Come “Bianco e Nera” che vivono insieme e hanno costituito una famiglia, quali sono le principali difficoltà che dovete affrontare tu e Fidelia, anche alla luce delle differenze culturali?
Dentro il quadro dell’amore, anche le differenze culturali si affievoliscono. O diventano ricchezza. Le difficoltà principali per una coppia mista, in un mondo globalizzato, rimangono legate al carattere della persona. Prima di sposarmi, ho cercato di conoscere la persona di mia moglie nella sua globalità. E lei ha fatto altrettanto con me. Per assurdo le maggiori difficoltà arrivano quando io vorrei che lei fosse più africana e lei vorrebbe che io fossi più italiano!
Rispetto ai temi dell’integrazione e dell’intercultura, la vostra è una posizione privilegiata. Ciascuno di noi può promuovere dal basso un miglior livello di convivenza sociale: quali suggerimenti vi sentite di dare per intraprendere un autentico percorso di integrazione?
Il percorso che consiglio è fondato più sull’esperienza che sulla teoria. Tutti noi possiamo cercare l’amicizia di una persona di cultura differente con la quale condividere tempi e spazi. Non sono tanto le associazioni, le ONLUS, le Caritas… che migliorano le relazioni interculturali. Ma le esperienze che ognuno di noi fa ad esempio con i genitori del compagno di scuola del proprio figlio, o con il vicino di casa, o con il collega di lavoro. Attenzione però: l’incontro autentico deve essere libero dal pregiudizio e dagli stereotipi che la televisione ci inculca.
Pensando al mondo del volontariato, l’ostacolo più forte che ci impedisce di fare esperienza di incontri autentici e arricchenti con l’”altro”, nel nostro caso con persone di cultura africana, deriva da un forte istinto all’assistenzialismo. Siamo spesso portati ad “aiutare” l’africano, e quindi a vederlo con un senso di inferiorità. In questo caso non riusciremo mai ad incontrarlo e a conoscerlo, perchè vediamo solo i suoi problemi e la nostra superiorità nel risolverli.
Pensando all’attualità politica, vorrei capire da te cosa pensi della proposta del neo-ministro Cécile Kyenge di introdurre in Italia lo ius soli. Ritieni che la sua proposta e il conseguente dibattito possano aiutare la causa dell’integrazione?
E’ una legge giusta, perchè un bambino nato in Italia da genitori stranieri non conosce nulla del Paese d’origine e quindi è da considerarsi italiano. Mangia italiano, parla italiano, ha frequentato l’asilo nido, la scuola materna e le elementari in Italia. Non è mai stato in Nigeria, in Bangladesh, in Cina… Quando si guarda allo specchio nota solo il colore diverso della pelle, ma per il resto è tutto italiano. Con i pregi…ma anche i difetti!

La ministra Kyenge a Padova

La visita alla Carraro di Campodarsego (PD), lunedì 10 giugno 2013


(nella foto da sinistra: il sindaco di Campodarsego Mirko Patron, il presidente Enrico Carraro, l'ospite Cécile Kyenge, Piero Ruzzante (PD)

Mentre il nostro vicino di casa "Maschio" ha invitato Berlusconi per la sua campagna elettorale, pagando lo straordinario purchè la sala si riempisse, la Carraro di Campodarsego, azienda metalmeccanica con 560 dipendenti, ha deciso di invitare la neo-ministra per l'integrazione Cécile Kyenge.
In occasione dell'incontro con la RSU le ho rivolto queste parole:

Buongiorno ministra (così vuol farsi chiamare),
sono contento che Lei sia qui, in questa azienda importante del territorio dove l’integrazione avviene quotidianamente, quando lavoratori di differenti culture lavorano l’uno accanto all’altro.
Ho apprezzato molto quando, fin da subito, ha precisato “non chiamatemi di colore, io sono nera e sono fiera di esserlo”. Questo sano orgoglio, che tra l’altro respiro ogni giorno da mia moglie di origine nigeriana, a volte credo venga come represso a causa dell’assistenzialismo, presente anche nel sindacato, e che inquina quel processo per una vera integrazione.
Condivido quando afferma che la diversità etnica, culturale… il meticciato… sono ricchezze, risorse di questa società e non un problema. E vorrei prendere spunto da questa affermazione per entrare nel merito del nostro impegno come rappresentanti sindacali. Qualsiasi tipo di diversità, soprattutto quelle interne, dovrebbero essere considerate come ricchezza.
Come deputata del Partito Democratico, capisce cosa intendo!
Allora anche attorno ad un tavolo di trattativa, la parte aziendale e la parte sindacale non dovrebbero essere due diversità che si oppongono ma due diversità che si arricchiscono!
Anche i due sindacati che rappresentano i lavoratori in questa azienda non dovrebbero farsi la guerra l’un con l’altro ma arricchirsi a vicenda con le proprie specificità.
Ma anche all’interno di un sindacato i pareri diversi, le visione non sempre in sintonia con una linea imposta dall’alto dovrebbero essere ascoltate e accolte come ricchezza e non come pericolo per la stabilità dell’organizzazione!
Ma anche all’interno della nostra RSU, ogni delegato ha una caratteristica unica che un altro non ha. 
Insomma dovremmo essere felici di tanta diversità… 
Grazie ministro, al suo essere donna, al suo essere nera, al suo essere italo-congolese, al suo essere dentro le istituzioni la rappresentante della diversità come ricchezza.

Le consegno come dono il libro che ho scritto, "Bianco e nera", che parla appunto di integrazione... 

mercoledì 12 giugno 2013

La paura del papa e la paura dei poveri


di p. José Maria CASTILLO
(traduzione di Lorenzo Tommaselli)

E’ un fatto che nella Chiesa sono numerose le persone alle quali non piace il papa Francesco. Di più, è anche un fatto che nella Chiesa ci sono persone che hanno paura di questo papa.
Questa paura si spiega non solo perchè Francesco è un uomo che non si adatta alle abitudini ed alla maniera “normale” di procedere dei papi che abbiamo conosciuto, ma anche perchè Francesco non smette di parlare di un tema che, a quanto pare, rende nervose non poche persone. Mi riferisco al tema dei poveri.
Io non so cos’hanno i bisognosi perchè, quando si pone questo problema, siamo in molti (mi ci metto anch’io, certamente) a sentirci male, soprattutto quando si presenta in profondità, con tutte le sue cause e conseguenze.
Inoltre – e questo è la cosa più grave – questo papa non si limita a ricordarci l’amore che dobbiamo avere nei confronti dei bisognosi, ma, oltre a questo e soprattutto a questo proposito, nei suoi discorsi e nelle sue omelie è solito scagliarsi contro la gente di Chiesa, denunciando, senza peli sulla lingua, i funzionari della religione che non fanno quello che devono fare, che si comportano come degli arrampicatori che vogliono solo piazzarsi in posti di potere, guadagnare denaro e vivere bene.
E Francesco è arrivato persino a denunciare pubblicamente i mafiosi vestiti con la sottana. Non eravamo abituati a questo linguaggio sulle “auguste labbra del Pontefice”, come era solito esprimersi “L’Osservatore Romano” ai tempi di Giovanni XXIII, che tagliò corto con una tale sciocchezza nel modo di parlare.
Non sto esagerando. E men che mai sto inventando cose non vere.
La settimana scorsa sono stato in Italia per alcune conferenze. E lì mi hanno raccontato di gente famosa e potente negli ambienti ecclesiastici e clericali che stanno morendo di paura.
Temono trasferimenti? Temono destituzioni? Hanno paura di non raggiungere quello che ormai credevano di toccare con la punta delle dita?
Chi lo sa! Comunque sia, non vi è dubbio che di nuovo si sta verificando esattamente quello che ripetono insistentemente i vangeli: i sommi sacerdoti del tempo di Gesù, con le altre autorità religiose, anziani e scribi, “avevano paura” (Mt 21, 26. 46; Lc 20, 19; Mc 11, 18; Lc 22, 2; Mc 11, 32; 12, 12).
Paura di chi? Della gente, del popolo, dei poveri. Così dicono i testi dei vangeli. Come dicono anche che Gesù a bruciapelo disse in faccia a loro che avevano trasformato il tempio in un “covo di banditi” (Mt 21, 13; cf. Ger 7, 11 par). Per questo il papa non ha avuto riguardo nel ripetere, riferendosi a determinati ecclsiastici attuali, che sono dei “banditi”. E Francesco aggiungeva: “lo dice il Vangelo”.
Ci sono alcuni che si lamentano che questo papa non prende decisioni. Perchè non toglie alcuni e mette altri nei posti più importanti della curia.
Nessuno sa quello che il papa Francesco pensa di fare. Quello che sappiamo è quello che ha già fatto.
E, per lo meno fino ad ora, ha fatto due cose che sono evidenti per tutti:
1) Ha adottato uno stile di vita, che non è quello che eravamo abituati a vedere nei papi fino ad ora.
2) Si è schierato decisamente a favore dei poveri e parla molto duramente contro i ricchi e gli arrampicatori che cercano potere e privilegi.
Si limiterà a questo? Credo di no. Siamo all’inizio, non è che l’inizio.
E questo fa più paura ad alcuni. Ma, in ogni caso, non sarà male ricordare che Gesù ha fatto la stessa cosa che fino ad ora sta facendo questo papa: condurre una vita austera ed avere una libertà per parlare e fare certe cose che fanno uscire dai gangheri gli stessi come al tempo di Gesù per il suo comportamento. Francesco fa diventare matti i più osservanti di non poche tradizioni che nei settori più tradizionalisti della Chiesa si consideravano intoccabili.
E ‐ chi l’avrebbe detto! ‐ le due cose che ha già messo in moto Francesco – che sono quelle che ha messo in moto Gesù – sono state (e continuano ad essere) il motore del cambiamento nella storia: 1) uno stile di vita semplice e solidale; 2) un’opzione preferenziale per i poveri, che sposta le persone privilegiate ed importanti, fino a metterle all’ultimo posto.
Il papa Francesco non ha conferito incarichi e non ha preso decisioni clamorose. Si è limitato a mettere al centro delle sue preoccupazioni quello che ha messo Gesù al centro delle sue preoccupazioni: la sofferenza dei poveri.
E questo ha messo la paura in corpo a quelli che desideravano un papato con altre pretese. Le pretese degli arrampicatori e l’ambizione dell’osservanza che può ben occultare un’etica dubbia, forse contraddittoria con il comportamento della gente onesta.
E finisco: vi assicuro che per me è indifferente che il papa sia progressista o conservatore. Quello che mi interessa veramente è che il papa Francesco si è centrato e concentrato sul Vangelo. Non smette di parlare di Gesù, di quello che hatto fatto e detto Gesù. Qualsiasi ideologia abbia, se è identificato con Gesù, mi sento spontaneamente identificato con il papa. Nè più e nè meno.

Articolo apparso l’11 giugno 2013 su www.periodistadigital.com/religion/

Ormai sono i comici a dire alcune verità...