lunedì 22 dicembre 2014

Dopo la lettura di Benigni...

...i 10 comandamenti non sono più gli stessi

di Alberto MAGGI


Dopo la lettura di Benigni i comandamenti non sono più gli stessi. Chi potrà mai dimenticare che il comandamento “Non rubare”, Dio l’ha scritto direttamente nella lingua italiana, in quanto insegnamento esclusivo per la corrotta Italia! Forse se la Chiesa avesse insistito meno sul sesso (tema ignorato da Gesù nel suo insegnamento) e più sul peccato di corruzione, sull’avidità, sull’ingordigia – atteggiamenti denunciati con forza da Gesù in quanto ritenuti la causa di ogni ingiustizia umana - la società sarebbe differente. E si spera che la Chiesa cattolica di Papa Francesco cancelli definitivamente dal Catechismo della Chiesa l’infelice articolo nel quale si legittima la pena di morte. In uno dei momenti più alti di tutto il programma, l’attore, con i tratti del volto tesi, ha infatti denunciato una società omicida che sopprime solo per legittimare i propri interessi e mai per giustizia.
Alla fine comunque Roberto Benigni è riuscito a scontentare tutti, sia i conservatori reazionari (come si è permesso ridicolizzare l’insegnamento della Chiesa cattolica sulla sessualità?) sia i progressisti, sempre con la puzza sotto il naso, che hanno trovato non abbastanza provocatoria l’interpretazione che ha dato dei comandamenti di Mosè.
Eppure nella prima serata i tradizionalisti avevano esultato vedendo con quale enfasi, quasi da telepredicatore pentecostale, Benigni aveva presentato i primi tre comandamenti, quelli esclusivi del popolo di Israele, centrati sull’unicità di Dio. Ma poi Benigni ha rovinato tutto ieri sera, denunciando il crimine di una Chiesa sessuofoba che ha manipolato la stessa parola di Dio e trasformato il comandamento “Non commettere adulterio” in “Non commettere atti impuri”, rovinando così generazioni di adolescenti che si sono sentiti colpevolizzati per quelli che erano solo fenomeni dovuti all’esuberanza di ormoni in circolo.
Ma da vero genio dello spettacolo, l’asso nella manica Roberto l’ha tirato fuori proprio verso la fine della seconda serata. Dopo aver presentato in maniera teologicamente corretta e profonda i comandamenti, e la figura di Mosè e del Dio d’Israele, accentuando e magnificandone le luci e tacendo o sorvolando sulle ombre (secondo la Bibbia ha ammazzato più ebrei Mosè per liberarli dalla schiavitù egiziana che il faraone per trattenerli), il grande attore, con nonchalance, ha assestato il colpo basso.
Roberto Benigni ha raccontato infatti, come Gesù interrogato da uno degli scribi – i teologi ufficiali dell’istituzione religiosa – su quale fosse il comandamento più importante, nella sua risposta abbia ignorato provocatoriamente le tavole di Mosè, e si sia rifatto all’“Ascolta Israele”, il “Credo” che gli ebrei recitavano due volte il giorno: “Il più importante è “Ascolta Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. La domanda dello scriba concerneva un solo comandamento, il più importante. Ma secondo Gesù l’amore per Dio non è completo se non si traduce in amore per il prossimo, e per questo aggiunge alla sua risposta un precetto contenuto nel libro del Levitico: “E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi”.
La disinvoltura di Gesù verso i comandamenti di Mosè è infatti a dir poco sconcertante. Quando l’uomo ricco gli chiese quali comandamenti osservare per ottenere la vita eterna, Gesù nella sua risposta omise quelli che riguardavano gli obblighi verso Dio e gli elencò solo i doveri verso gli uomini. Per Gesù non sono indispensabili per la salvezza i tre comandamenti esclusivi di Israele, la cui osservanza garantiva a questa nazione lo “status” di popolo eletto: Cristo ha preferito ribadire il valore di cinque essenziali comandamenti validi per ogni uomo, ebreo o pagano, credente o no, che riguardano basilari atteggiamenti di giustizia nei confronti del prossimo: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e la madre”.
“Con dieci parole fu creato il mondo” (Pirqé Aboth 5,1), insegnava la teologica ebraica con riferimento alle dieci parole di Esodo 34,28: “Scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole”. L’evangelista Giovanni nel prologo al suo vangelo non è d’accordo. Prima ancora della creazione del mondo c’era il Logos, un’unica Parola in base alla quale tutto fu creato (“In principio era la Parola”, Gv 1,1), una sola Parola che si formulerà nell’unico comandamento che Gesù lascerà ai suoi: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Con Gesù il credente non è più colui che ubbidisce a Dio osservando le sue Leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore uguale a quello che del Padre è proprio.


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L’AUTORE – Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» (www.studibiblici.it ) a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere.

Ha pubblicato, tra gli altri: Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ in libreria con Garzanti Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita

domenica 14 dicembre 2014

Natale a Km0

Natale 2014:
Dio a km0  ma anche a costo zero

            Il Natale ci rivela che il Dio di Gesù Cristo (Emmanuele = il Dio con noi) è un Dio a Km0, perché incarnandosi si è reso vicino, accanto a ciascuno di noi. Questo tratto divino l'avevo sviluppato e approfondito in occasione del Natale 2013. Quest'anno voglio far emergere un altro aspetto fondamentale delDio con noi, ossia un Dio a costo zero, ossia puramente gratuito e senza tariffario.
            Nell'immaginario di tanta gente c'è ancora la visione di Dio che ci chiede tante cose per poter avere il suo perdono e la sua grazia: tante preghiere e suppliche, andare a Messa e confessarsi, celebrazioni con incensi e litanie, rosari e devozioni. Sulla scia del Dio predicato dagli scribi, farisei e dottori della legge, al tempo di Gesù, che per placare l'ira di un Dio giudice e per riuscire ad ottenere il suo perdono bisognava salire al tempio di Gerusalemme per realizzare le varie purificazioni e offrire sacrifici.
            Bisogna avere il coraggio di ammettere che esiste ancora oggi un supermarket religioso presente nelle nostre diocesi, parrocchie, santuari, basiliche, con un tariffario per matrimoni, funerali, battesimi e anche per le intenzioni dei defunti nelle Messe, comprese le “messe gregoriane” che costano molto in un noto santuario veneto.  Questo mercato dei sacramenti ha generato l'immaginario popolare di poter comprare la Messa, mediante l'espressione popolare “pagare la Messa”,  in modo da aiutare il proprio defunto a raggiungere il paradiso.
            Tutto questo fa emergere un Dio che esige molto, anche in termini di denaro, mentre l'Eucarestia è l'azione di grazia per eccellenza, perché Gesù si è donato completamente e gratuitamente come pane spezzato e vino versato, senza esigere nulla: un amore senza misura e senza prezzo.

            Come è possibile monetizzare la grazia di Dio? Siamo di fronte ad una eresia cattolica che non ha niente  a che vedere con il cristianesimo, come pure una simonia contemporanea (compravendita di beni sacri spirituali)  denunciata già dall'apostolo Pietro negli Atti degli Apostoli 8, 18-25 e messa in pratica soprattutto nel Medioevo.

            Scrive il biblista Josè Antonio Pagola, nel suo noto libro Gesù, un approccio storico, rivelando la differenza tra Giovanni il Battista e Gesù di Nazaret: “Neppure il battesimo stesso ha più significato come rito di un nuovo ingresso nella terra promessa. Gesù lo sostituisce con altri segni di perdono e guarigione che esprimono e rendono realtà la liberazione voluta da Dio per il suo popolo. Per ricevere il perdono non è necessario immergersi nelle acque del Giordano; Gesù lo offre gratis a quanti accolgono il regno di Dio (…) Con Gesù, tutto comincia a essere diverso. Il timore del giudizio lascia il passo alla gioia di accogliere Dio, amico della vita (…) Gesù invita alla fiducia totale in un Dio Padre” (p. 96-97).
            Papa Francesco nell'omelia del 21 novembre 2014 a Santa Marta, ha lamentato lo scandalo del mercato religioso mediante le tariffe che sono ancora presenti nelle nostre chiese e lo ha fatto alla luce del Vangelo di Luca 19,45-48, dove Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare coloro che vendevano; “quante volte vediamo che entrando in una chiesa, ancora oggi, c’è lì la lista dei prezzi: battesimo, tanto; benedizione, tanto; intenzioni di messa, tanto...”. Inoltre , il papa ha dichiarato in maniera profetica: “Dunque non si possono servire due signori: Dio è assoluto. Ma c’è anche un’altra questione: perché Gesù ce l’ha con i soldi, ce l’ha con il denaro?. Perché la redenzione è gratuita: la gratuità di Dio. Gesù, infatti, viene a portarci la gratuità totale dell’amore di Dio. Perciò, quando la Chiesa o le chiese diventano affariste, si dice che non è tanto gratuita la salvezza. Ed è proprio per questo che Gesù prende la frusta in mano per fare questo rito di purificazione nel tempio”.
            Nell'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, papa Francesco dichiara più volte la gratuità dell'amore di Dio, fino ad affermare con forza che la Chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita (n.114).
           
            Il Natale ci chiama ad annunciare e soprattutto a testimoniare che il Dio di Gesù Cristo, fattosi uno di noi nel prendere dimora in mezzo all'umanità, è un Dio a km0 ma anche a costo zero: offrendoci gratuitamente tutta la sua misericordia e benedizione. Questo è il grande dono del Natale che dobbiamo continuamente offrire soprattutto ai più piccoli e poveri. Un dono che non si trova sulle corsie dei supermercati, ma che si rende presente mediante una relazione interpersonale che deve essere gratuita e amorevole.
            Allora impegniamoci a fare in modo che la nostra Chiesa sia strumento di questo amore gratuito di Dio, passando dai doni del babbo natale di questa economia capitalista al dono del Natale: l'amore di un Dio che lascia perfino il suo paradiso per stare con noi, per soffrire con noi e per camminare al nostro fianco fino a farci  raggiungere  una vita piena, libera da ogni sofferenza e oppressione, intrisa del suo amore di Padre e Madre.

Tramonte (Padova) 9/12/2014

Adriano Sella

domenica 26 ottobre 2014

Poesia dal carcere

"Sono come una tomba

che mi vengono a pregare."


Salvatore (51 anni), ergastolano. 9999". Di Posillipo. Rapina con un morto. Salvatore lavora nelle cucine, i suoi pensieri sono brevi e circostanziati, anzi governati in modiche stanze. La memoria è un segreto, il guizzo e il coraggio del recluso, o una spada conficcata nel fianco.

La nostra fortuna

Se leggiamo i quotidiani, se guardiamo i telegiornali, se ascoltiamo i discorsi ai bar o le urla agli stadi...sembrerebbe che questa società fosse esclusivamente razzista e xenofoba.
Io invece ci vedo una grande fortuna, una grande occasione.
L'esempio della comunità di Rovolon ne è l'immagine. Di fronte alla chiusura, alla paura, ai pregiudizi di un gruppetto di persone che non voleva 4-5 mamme straniere con bambini nel loro quartiere, la risposta di molte famiglie è stata questa: "la nostra casa è aperta per loro!"
Quindi è proprio in una società come la nostra che possiamo sperimentare l'autenticità e la coerenza dei valori in cui crediamo. Il cristianesimo di massa è solo un brutto ricordo, ora possono crescere donne e uomini di fede autentica!

Famiglia: cosa vuole la Chiesa?



di  p. José María CASTILLO

Che cosa vuole risolvere la chiesa in riferimento ai problemi che maggiormente preoccupano la famiglia in questo momento?
Come è logico, la prima cosa che attira l'attenzione – e che risulta difficile spiegare – è che i problemi trattati al Sinodo non sono quelli che maggiormente interessano e preoccupano la grande maggioranza delle famiglie nel mondo.
L'angoscioso problema della casa, il problema di una paga giornaliera o di uno stipendio con cui arrivare degnamente alla fine del mese, il problema della salute e della sicurezza sociale, quello dell'istruzione dei figli.
O, almeno, questi argomenti così gravi e che angosciano la gente non sono stati – a quanto ci risulta – problemi centrali all'ordine del giorno di nessuna delle commissioni o sessioni del Sinodo.
Questo dà motivo di pensare o magari sospettare – almeno in linea di principio – che quelli che hanno preparato e organizzato i lavori del Sinodo sono persone che possono dare l'impressione di essere più preoccupati per i dogmi cattolici e per la morale predicata dal clero che per le sofferenze e umiliazioni che stanno sopportando molte famiglie, anche più di quante immaginiamo.
Non è necessario essere né saggi né santi per rendersi conto di questo, per farsi logicamente la domanda che ho appena posto. E che nessuno mi dica che gli argomenti che ho appena indicato sono problemi che devono essere risolti dagli economisti e dai politici.
Anche nell'ipotesi che quello che ho detto è un argomento che riguarda direttamente l'economia e la politica, ci devono pensare però solo gli economisti e i politici? Ed allora? La sofferenza, la dignità, la sicurezza e i diritti della gente, i diritti fondamentali delle famiglie, non ci devono interessare, né possiamo o dobbiamo far nulla?
Questa è la prima grande questione che, a mio modesto parere, dovrebbe interessare soprattutto, e prima di qualsiasi altra cosa, la Chiesa, e soprattutto i suoi capi. Lo dico per tempo, quando ancora abbiamo un anno davanti a noi per giungere alle conclusioni del Sinodo.
Però, arrivando ai problemi che il Sinodo ha trattato, la mia domanda è la seguente: alla gerarchia della Chiesa, che cosa maggiormente le interessa o la preoccupa? Gente che “si ama”? O gente che “si sottomette”?

Confesso che queste domande mi sono venute in mente pensando e ricordando quello che io stesso sto vivendo nel mondo ecclesiastico da più di 60 anni, vale a dire, da quando sono coinvolto in ambienti clericali.Tanto in Spagna che fuori dalla Spagna, quello che ho percepito negli ambienti di Chiesa è che i problemi dell'economia e i temi sociali di solito non preoccupano troppo. Perché normalmente tali problemi (nelle istituzioni ecclesiastiche) sono risolti.
Mentre i temi legati all'ortodossia dogmatica (sottomissione alla gerarchia) e al sesso (osservanza della morale), non solo sono di solito molto preoccupanti, ma con frequenza risultano quasi ossessivi o sfioranti l'ossessione.
La conseguenza, che di solito deriva da questo stato di cose e che la gente nota molto, è davanti agli occhi di tutti: i vescovi non sono soliti parlare (o si limitano ad allusioni generiche) della corruzione politica e delle sue conseguenze, mentre quegli stessi vescovi sono soliti levare alte grida al cielo se la questione posta è il problema dei matrimoni tra persone omosessuali o, in generale, problemi legati al sesso.
Ecco, per fare un esempio, vediamo la differenza di trattamento che ricevono, in tanti confessionali, i capitalisti e i banchieri oppure i gay e le lesbiche.
Tutto questo ci porta – a mio parere - ad una domanda molto più radicale: perché le religioni affrontano in maniera tanto diversa i problemi legati alla “proprietà dei beni” e i problemi che si riferiscono alle “relazioni affettive tra le persone”?
Dal punto di vista della sociologia, uno degli specialisti più riconosciuti in questa materia, Anthony Giddens, ha scritto: “La famiglia tradizionale era soprattutto un’unità economica. L’attività agricola normalmente coinvolgeva tutto il gruppo familiare, mentre fra benestanti e l’aristocrazia la trasmissione della proprietà era la base principale del matrimonio. Nell’Europa medievale, il matrimonio non era contratto sulla base dell’attrazione amorosa, e nemmeno era considerato il luogo dove tale attrazione dovesse sbocciare (Un mundo desbocado, pp. 67-68. [trad. it., Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino, Bologna 2000]).
In realtà, “la proprietà dei beni” (e non “l'affetto tra le persone”), come fattore determinante della famiglia tradizionale, viene da più lontano e trae la sua origine in un'altra fonte: il diritto.
Come si sa, la famiglia era l'unità che interessava al primo diritto romano. Quel diritto non si occupava di ciò che succedeva dentro la famiglia. Le relazioni tra i suoi membri erano una questione privata, nella quale la comunità non interveniva.
La famiglia era rappresentata dal suo capo, il paterfamilias, nel quale si concentrava tutta la proprietà familiare. E tutti i suoi discendenti, in linea paterna stavano sotto il suo controllo. Nessun figlio poteva sfuggire al suo potere.
Più ancora, un figlio non smetteva di restare sotto il potere del padre fino a che non fosse diventato adulto e, fino a che non morisse il padre, non poteva neanche avere proprie proprietà. Conseguentemente, tutta la proprietà familiare si manteneva unita e le risorse della famiglia, come un tutto, si rafforzavano (Peter G. Stein, El Derecho romano en la historia de Europa, pp. 7-8 [trad. it., Il diritto romano nella storia europea, Cortina Raffaello, Milano 2001]).
L’aspetto notevole è che la Chiesa ha fatto pienamente suo questo diritto. In maniera tale che, per esempio, il concilio di Siviglia, dell’anno 619, definisce il diritto romano come lex mundialis, cioè la legge per antonomasia alla quale dovrebbero sottomettersi tutti i popoli (cf. E. Cortese, Le Grandi Linee della Storia Giuridica Medievale, Il Cigno GG Edizioni, Roma 2000, p. 48).
Ebbene, in questo contesto di idee e di leggi risulta comprensibile e logico che la Chiesa, man mano che si andava adattando alla cultura e al diritto ereditato dall'Impero romano, ugualmente assumeva e integrava nella sua vita e nel suo sistema organizzativo quello che era comune alle altre religioni.
Mi riferisco a quello che, con ragione, ha detto uno dei più riconosciuti specialisti in materia: “La religione è generalmente accettata come un sistema di ranghi, che implica dipendenza, sottomissione e subordinazione a superiori invisibili” (Walter Burkert, La creación de lo sagrado, p. 146 [trad. it., La creazione del sacro. Orme biologiche nell'esperienza religiosa, Adelphi, Milano 2003]).
Ecco perché le teologie e i rituali delle religioni, se in qualcosa insistono e in qualcosa sono simili le une alle altre, è proprio per quanto riguarda la “sottomissione”. E risulta che, per quanto riguarda concretamente questa sottomissione, i rituali che la creano, la fomentano e la mantengono, “non sono limitati da una religione particolare, ma si trovano in tutto il pianeta, e si può dimostrare che alcuni sono preumani” (op. cit., p. 156).

La sottomissione, a partire dalle società preumane, si esprime creando l'impressione che uno produce inchinandosi, inginocchiandosi, stendendosi a terra, strisciando, insomma tutto quello che “non ingrandisce”. Ed è dimostrato che i rituali religiosi coincidono tutti in questo (K. Lorenz, On Aggression, Nueva York, 1963, pg. 259-264 [trad. it., L’aggressività, Il Saggiatore, Milano 2008]; I. Eibl-Eibesfeldt, Liebe und Hass: Zur Naturgeschichte elementarer Verhaltensweisen, Munich, 1970, pp. 199 ss [trad. it., Amore e odio. Per una storia naturale dei comportamenti elementari, Adelphi, Milano 1996]).

Ebbene, la cosa più sorprendente, in tutta questa problematica, è paragonare questi supposti elementi base della famiglia e della religione con quanto raccontano i vangeli che diverse volte fanno riferimento tanto alla famiglia quanto alla religione.

Sappiamo, infatti, che Gesù, sia per quanto si riferisce alla famiglia sia per quanto riguarda la religione, ha assunto pubblicamente e senza ambiguità un atteggiamento sommamente critico. Mi spiego.

Per quanto riguarda la religione, i vangeli ci informano degli scontri e dei conflitti costanti e crescenti avuti da Gesù con i dirigenti religiosi e i loro rituali. A questo si riferiscono gli scontri con gli scribi e i farisei, con i sommi sacerdoti e gli anziani, persino con lo stesso tempio di Gerusalemme.
Fino a giungere all’arresto da parte delle autorità religiose, al processo, alla condanna e all'esecuzione violenta nel tormento dei crocifissi, i lestái (Mc 15,27: Mt 27,38), vale a dire, non semplici ladroni, ma i ribelli politici, come spiega Flavio Giuseppe (H. W. Kuhn: TRE vol. 19,717).
Gesù è stato l'uomo più profondamente religioso che possiamo immaginare. Ma la religione di Gesù è stata spostata dal modello stabilito: la sua religione (come il Dio che rappresentava) non è stata centrata nel “sacro”, ma nell' “umano”.
Questo è centrale per comprendere il vangelo e tuttavia non è centrale per comprendere la teologia cristiana. E non è neanche al centro della vita della Chiesa.
Per quello che si riferisce alla famiglia, è certo che le relazioni di Gesù con la sua famiglia furono tese e complicate: i suoi parenti lo presero per pazzo (Mc 3,21) e non credevano in lui, lo disprezzavano perfino (Mc 6, 1-6; cf Gv 7,5).
D'altra parte, la prima cosa che Gesù chiedeva a coloro che volevano seguirlo, era di abbandonare la propria famiglia (Mt 8,18-22; Lc 9, 57-62). E quando un giorno gli dissero che lo cercavano sua madre e i suoi fratelli, la risposta di Gesù fu di dire che sua madre e i suoi fratelli sono quelli che ascoltano e mettono in pratica ciò che vuole Dio (Mc 3,31-35; Mt 12, 46-50; Lc 8, 19-21).
Ma Gesù, per quanto si riferisce alle relazioni con la famiglia, andò oltre. Perché osò dire che non era venuto a portare la pace, ma la spada, divisione e conflitto, in particolare tra i membri della propria famiglia (Mt 10, 34-42; Lc 12, 51-53; 14, 26-27).
Anzi, Gesù arrivò a toccare l'intoccabile di quel modello di famiglia: “Non chiamate 'padre' nessuno sulla terra” (Mt 23,9). Una proibizione così forte, in quella cultura, che arrivò a smontare l'asse stesso di quel modello di relazioni familiari. I grandi, gli importanti, non sono i “padri” ed i “gerarchi”, ma i “bambini”, i “piccoli”: il regno di Dio è di quelli che si fanno come loro (Mt 19,14).
Cosa vuol dire tutto questo? Dove sta il cuore del problema?
Le relazioni di parentela non sono libere, dato che sono date e imposte ad ogni essere umano che viene al mondo.
Al contrario, le relazioni comunitarie ed amicali, dato che nascono da convinzioni libere e da sentimenti che chiunque accetta liberamente, sono sempre relazioni che si basano sulla libertà umana e si mantengono con la forza della decisione libera.
La cosa più bella, più gratificante e più motivante della relazione di fede e fiducia nell'altro e in Dio, è che è sempre possibile perché è una relazione libera.
Quindi, l’aspetto determinante in questo modello di famiglia e di gruppo non è la sottomissione, né al “potere repressivo”, né al “potere che seduce” (Byung-chul Han), ma quello decisivo è la fede e fiducia nell'incontro (con l'Altro, con gli altri, con qualcuno in concreto) mediante la “relazione pura” (A. Giddens), che si basa sulla comunicazione emotiva. Cioè una forma di comunicazione nella quale le ricompense ricavate dalla stessa sono la base primordiale affinché tale comunicazione possa mantenersi e perdurare.
Per questo proprio l'esperienza ci dice che dove c'è affetto vero, c'è libertà, mentre dove c'è religione (centrata sui riti e sul sacro) c'è sottomissione.
Ebbene, tenuto conto di quello che ho detto in questa (già troppo lunga) riflessione, ritorna la domanda iniziale: che cosa vuole la Chiesa con tutto quello che ha rimosso a proposito della famiglia?
Ovviamente, papa Francesco, convocando e programmando il sinodo sulla famiglia, ha voluto rispondere a problemi urgenti che riguardano migliaia di famiglie nel mondo. Bisogna supporre che papa Francesco, convocando questo sinodo, esigendo libertà di parola sui problemi e trasparenza nell'informare di ciò che si è detto nelle sessioni sinodali, quello che ha fatto è stato di mettere in moto, senza possibilità di marcia indietro, un processo di apertura della Chiesa ai problemi reali e concreti che, in questo momento storico, si pongono a tutti noi.
Ma quello che è accaduto è che, non solo si è messo in moto questo processo, ma, oltre a questo, il mondo si è accorto che nella Chiesa persiste molto vivo un settore importante di clero (a tutti i livelli) e di laici che identificano le credenze cristiane con posizioni immobiliste e intolleranti che, per di più, dal punto di vista della più documentata, sana e ortodossa teologia, sono posizioni indimostrabili.
E, pertanto, posizioni che nascondono pretese inconfessabili di potere e autorità che si orientano di più a mantenere intatta la “sottomissione” dei fedeli che a fomentare la “libertà” che nasce dall'affetto tra gli esseri umani.
La situazione è delicata. Bisogna evitare, a tutti i costi, un nuovo scisma nella Chiesa.
Però non possiamo stare in modo incondizionato con coloro che identificano il cristianesimo con una religione centrata sull'osservanza di riti sacri, che produce ossessivamente sottomissione a gerarchie ancorate ad un passato e ad una cultura che non sono più né il nostro tempo, né la cultura in cui viviamo.
Un cristianesimo così, produce persone molto religiose e un clero fedele a gerarchie ecclesiastiche che si identificano di più con i privilegi che offre loro il potere politico che con la libertà indispensabile per ottenere una società più giusta nella quale tutti noi cittadini possiamo vivere in giustizia e uguaglianza di diritti.
Se il nostro progetto di vita vuole essere fedele a Gesù e al suo vangelo non abbiamo altro cammino da fare se non l'apertura al futuro che insieme dobbiamo costruire.
Anzi, se amiamo veramente la Chiesa e vogliamo essere fedeli alla “memoria pericolosa” di Gesù, noi cristiani, nel cammino che ci sta aprendo e tracciando papa Francesco, abbiamo l'itinerario certo che ci porta alla meta a cui aneliamo.

Pubblicato sul sito Religión Digital il 21.10.2014 e tradotto da Lorenzo Tommaselli

mercoledì 1 ottobre 2014

Seconda lettera al papa

Caro papa Francesco, eccomi... Io ti riscrivo!!
Sono una delle 26 donne che alcuni mesi fa ti avevano scritto raccontandoti delle loro sofferenze per amore di sacerdoti.
Sento nuovamente l'esigenza di scriverti....il mio cuore ha davvero bisogno di raccontare. Non ti scrivo per me. Ti scrivo spinta da una forza ancora nuova, una forza che purtroppo viene dall'aver ascoltato in questi mesi tantissime altre storie da voci di donne e, sì, anche di sacerdoti. 
Dopo che la nostra lettera è stata conosciuta in tutto il mondo, sono stata e siamo state contattate da un numero inquantificabile di persone che esprimevano la loro gratitudine e solidarietà, e soprattutto manifestavano l'esigenza di aprirsi, di sentirsi capiti, di poterne parlare. Storie che nella loro diversità, racchiudono costantemente un dolore molto profondo. Amori che non riescono a esaurirsi col tempo e la distanza. 
Io, credimi, non ho motivo di espormi così tanto... E se lo faccio è per la compassione che ogni giorno preme sempre di più il mio cuore. Non sai quanto desiderio avrei di raccontarti tutto ciò che viene delicatamente e con fiducia messo nelle mie mani. 
È dura per me sentir dire da un sacerdote "io sono di tutti e per tutti, ma nessuno si chiede io come sto, nessuno...se non lei, la donna che amo nel segreto del mio cuore. Lei, che però devo tenere distante. È un supplizio quotidiano. Tra noi sacerdoti non se ne parla e fingiamo anche tra noi che tutto vada bene". 
La solitudine di questi sacerdoti impèra, caro papa Francesco. Parlano costantemente di amore nelle loro omelie, ma di esso ne hanno una paura folle. Ho toccato con mano l'estrema fragilità di molti di loro, e constatato non di rado un'immaturità caratteriale e affettiva. Le donne soffrono anch'esse(e sono le vere vittime), ma sono più forti e tenaci, più salde e consapevoli. Dolcissime! 
Per non parlare di quanti e quanti amori malati e distruttivi ho conosciuto. Non per la cattiveria di questi uomini, ma per la profonda scissione del sè che avviene in loro, supportata spesso da un disagio già presente.Tanti, troppi irrisolti. 
Ne soffro amaramente e con tutto il cuore! 
Ho conosciuto sacerdoti sposati fantastici, persone che hanno avuto il coraggio di mettersi in discussione e fare una scelta radicale che confermi la coerenza e Bellezza di Cristo nella loro vita. Essi non possono esercitare il ministero per l'attuale regola vigente, ma sarebbero sacerdoti validissimi, e in più illuminati dall'amore aggiunto che Cristo ha dato loro attraverso la famiglia. A differenza di altri preti che di nascosto hanno dei figli non riconosciuti (e i vescovi lo sanno!!), ma tutti tacciono e quindi continuano ad esercitare il ministero. Rovinando vite!! Vite di bambini e di donne straziate dal dolore.
Penso di capire cosa provasse Gesù a vedere tutta l'ipocrisia delle istituzioni del suo tempo, "essi filtrano il moscerino e ingoiano il cammello". Anche la nostra chiesa purtroppo è diventata così, e se siamo di Cristo, dobbiamo puntare alla coerenza e giustizia. Basta ipocrisie! 
Se mi sono permessa di scriverti è proprio perché mi fido di te, della tua sapienza e della limpidità che auspichi per la chiesa.
So che per adesso ci sono problemi mondiali molto più gravi e urgenti e quello da me esposto è al loro confronto un problema minore, ma è anche vero che non è nelle nostre mani la possibilità di poter fermare la guerra, invece è nelle tue mani la possibilità di cambiare questa regola. 
Vorrei porre ai tuoi piedi tutta questa sofferenza affinché lo Spirito illumini le scelte della Chiesa, tenendo conto non solo degli aspetti evangelici della questione (che a mio avviso sono maggiormente a favore del celibato facoltativo) ma anche gli aspetti umani. L'amore è un sentimento universale e negarlo vuol dire negare la natura umana e divina dell'uomo.
Io sogno una chiesa più pulita e limpida, più vera e pronta all'aiuto e all'ascolto. Che sappia aiutare questa società che cambia e che sta perdendo la fiducia nell'uomo e nel Signore. Vorrei cambiare il mondo di oggi partendo dalla chiesa e dalle nostre comunità. Per questo darle un volto più vero, più umano, più dignitoso e credibile penso sia il primo passo in questa direzione.
Ti chiedo perdono se i miei modi e le mie parole ti avessero in qualche modo infastidito. Spero tanto di no, perchè le mie intenzioni non sono di giudizio o condanna ma di umile richiesta di aiuto per tutto il dolore che sto conoscendo e spero possa essere compreso. 
Che il Signore ti benedica e ti protegga in ogni tuo giorno! 

Giovanna

giovedì 7 agosto 2014

Convegno preti sposati

Il prete e la donna nella chiesa di papa Francesco”
a cura dell’associazione VOCATIO e del gruppo “Ricerca e confronto”
Sorrivoli 19 – 21 settembre 2014

Programma

Venerdì 19 settembre

Entro le ore 18.00 Arrivi - Sistemazione logistica;

19.00 Saluto del Presidente di Vocatio Giovanni Monteasi

19.15 Saluti ed interventi dei presenti.
20.30 Cena – 1° pernottamento.

Sabato 20 settembre

10.00 ‘Nuova’ chiesa di papa Francesco (relatore Mauro Castagnaro)

Dibattito - Pausa.

11.15 “Le donne dei preti: la loro voce”
(introduzione storica: Adriana Valerio)

Dibattito

13.30 Pranzo;

16.00 Spiritualità e pastorale del prete sposato (relatore: Natale
Mele)
.
Dibattito - Pausa
18.30 Interventi – Lettera a papa Francesco
20.30 Cena;
21.30 Canti e facezie varie – 2° pernottamento.

Domenica 21 settembre

10.00 Celebrazione eucaristica;
12.00 Conclusioni – Partenze

Per info e prenotazioni invia mail a gildant@libero.it


Bella notizia (vangelo)

Il papa revoca la sospensione a divinis ad un prete che si schierò con il governo sandinista del Niquaragua



CITTA' DEL VATICANO - Fu al governo con i sandinisti di Daniel Ortega per 11 anni: dal 1979 al 1990. Padre Miguel D'Escoto Brockmann - della congregazione di Maryknoll - venne per questo colpito da una sospensione a divinis. Come un altro sacerdote, Ernesto Cardenal. Come una serie di altri religiosi che in America latina condivisero i principi progressisti della teologia della liberazione. Erano gli anni in cui Giovanni Paolo II si opponeva duramente a questo movimento, anche attraverso una serie di processi canonici. E Miguel D'Escoto Brockmann - come tanti altri - ne fece le spese. Con la sospensione dal sacerdozio.
Oggi per lui, e forse anche per la Chiesa, arriva una svolta. Papa Francesco ha dato il suo assenso per la revoca della pena canonica inflitta al sacerdote nicaraguense. E' stato il sacerdote, attraverso una lettera a Bergoglio, a manifestare il desiderio di "ritornare a celebrare l'eucarestia prima di morire". E Francesco ha deciso di dire sì, lasciando al superiore generale dell'istituto il compito di "seguire il confratello nel processo di reintegrazione al ministero sacerdotale".
Padre d'Escoto - che oggi ha 81 anni - aveva comunque accettato la sospensione. Pur rimanendo membro della propria società missionaria. Da qualche anno il sacerdote aveva abbandonato l'impegno politico che lo portò anche alle Nazioni Unite. Nel 2008 arrivò a presiedere la 63esima Assemblea permanente dell'Onu invocando una diversa politica israeliana nei confronti dei palestinesi.
Con la decisione di oggi, e con la futura e tanto attesa beatificazione di padre Oscar Romero - arcivescovo di San Salvador trucidato il 24 marzo 1980, mentre celebrava messa nella cappella di un ospedale - per la Chiesa potrebbe davvero aprirsi una nuova fase. 

(Anche i papi possono sbagliare o possono essere in discordanza tra di loro. Questa è la chiesa del popolo di Dio! Questo non crea incertezza o relativismo, ma umiltà e maggiore partecipazione)

domenica 27 luglio 2014

Festa di fine Ramadan


Apriamo una chiesa ai musulmani!

Quale istituzione potrebbe offrire gratuitamente o concedere a pagamento una struttura idonea a contenere centinaia di credenti musulmani per la celebrazione della fine del Ramadan?
Il comune di Padova nella figura del sindaco ha detto di no. Chi potrebbe dunque sentirsi interpellato? Chi possiede sale abbastanza capienti da ospitare un popolo in preghiera?
Credo dunque sia arrivato il momento, ed è questo, in sintonia con le scelte profetiche e controcorrente di papa Francesco, difronte alle vittime della guerra a Gaza, che la Chiesa cattolica di Padova faccia un gesto straordinario: aprire una chiesa, un teatro, un cinema... ai fedeli musulmani che cercano una "casa" per pregare insieme.
Così come scrisse il profeta Isaia "La mia sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli" (Is 56,7), dunque anche per quello musulmano.
Un tale gesto sarebbe la risposta più chiara, più forte e decisa alla domanda di unità e di pace che la maggior parte dei cittadini vuole. Io non voglio una cittadella arroccata su pregiudizi e false paure! Io voglio che il mio collega di lavoro Ibrahim possa celebrare la sua festa religiosa in un luogo decoroso e sicuro. No ai crocifissi manipolati per dividere e discriminare, sì ad una convivenza pacifica e rispettosa delle diversità. Certo, diritti e doveri valgono per tutti, ma la Chiesa di Padova sia profetica!

sabato 26 luglio 2014

A Gaza

Dicono che un giorno, qui a Gaza, si sia fermata la vergine Maria
per allattare il Bambino mentre lo portava in Egitto
per non farlo uccidere da Erode.

Dicono che la notizia comparve su tutti i rotoli della Bibbia,
in edizione straordinaria a cura di un angelo cronista
e subito a Gaza vennero dai loro deserti i Profeti per fare con le loro ombre
ombra al Bambino nel gran sole di Gaza.

Dicono che vennero i Patriarchi,
pretendendosi Nonni Onorari,
per baciare un piedino a Gesù.

La gente di Gaza era povera anche allora (dicono)
ma una donna portò un pesce arrostito e
Maria disse: " Un giorno, tu ed io, pranzeremo assieme in paradiso".

Qualcuno portò un cestino di datteri e
Giuseppe, per ringraziare, insegnò una canzone ai bambini.

Dicono che tutto questo è stato ma adesso non è più.
Adesso a Gaza i bambini muoiono di ferite e di fame.
Shemà, Israel, Shemà:
Erode è ancora vivo.

POESIA di  Ettore Masina 

di RETE RADIE' RESCH

martedì 15 luglio 2014

Crocifisso manipolato

"Ero straniero e mi avete ospitato..." Mi sento offeso e scandalizzato nel vedere l’immagine di un crocifisso violentato. Tenuto malamente in mano dal nostro sindaco Bitonci e dai suoi sostenitori leghisti. Capisco l’imbarazzo: il simbolo di una religione che predica accoglienza sta diventando l’arma per governare e dividere questa città. Ecco la bestemmia! Ecco l’avvio di un’operazione diabolica: trasformare colui che unisce (crocifisso) in colui che divide (diavolo). La parola diavolo dal greco significa appunto colui che divide. Trasformare quindi un simbolo nato “per riunire in un solo corpo i figli di Dio che erano dispersi…” in un’arma da crociata… è da scomunica! Come credente sono stanco di sentire giudizi offensivi nei confronti di qualsiasi straniero, solamente per il fatto di avere una pelle, una religione, una cultura diversa. Chi è il segretario di un partito per affermare che in Italia non c’è posto per nessun’altro immigrato? Vorrei allora chiedere ad un manipolatore di crocifissi se ha mai letto il Vangelo, o se ha mai ascoltato durante una Messa parole come queste: “Ero straniero e mi avete ospitato”? Non lo sa che quel crocifisso che lui stesso tiene in mano era straniero, extracomunitario rispetto ai sacerdoti del Tempio di Gerusalemme che l’hanno ucciso? Attenzione allora a quel simbolo! Non è una semplice bandiera, uno stemma o uno striscione. E’ la rappresentazione della sofferenza umana che trova senso davanti a Dio. Riappendiamo quindi ai muri delle nostre stanze e delle nostre coscienze quei crocifissi di legno, per rispetto di tutti quei crocifissi viventi che soffrono ancora a causa di leggi ingiuste. E meditiamo: se le nostre fossero davvero radici cristiane lo potremmo riconoscere solo dai frutti, quando sapremo applicare la legge del Vangelo. Un consiglio: lasciate stare il crocifisso e continuate, mi auguro nel miglior modo possibile, a risolvere i problemi della città ascoltando tutti gli attori presenti sul territorio e aumentando il senso di collaborazione e partecipazione di tutte le comunità.

MAI PIU' VITTIME A GAZA

Mercoledì 16 Luglio 2014 MANIFESTAZIONE PER LA PACE, LA LIBERTÀ E LA GIUSTIZIA IN PALESTINA E ISRAELE Concentramento h. 19 davanti al Municipio di Padova, corteo per le vie del Centro, conclusione dinanzi al Municipio h. 20,30 MAI PIÙ VITTIME A GAZA! Oggi in parecchie città italiane stanno manifestando molte persone che credono nella pace e nella nonviolenza, affinché cessino i bombardamenti su Gaza e l’aggressione ai Palestinesi, contro la Guerra e per la Pace in Medioriente Ogni morte ci diminuisce, ogni uomo, donna, bambino ucciso pesa sulle nostre coscienze. Vogliamo vedere i bambini vivere e crescere in pace, non maciullati da schegge di piombo. CHIEDIAMO: · che cessino immediatamente il fuoco, le rappresaglie e le vendette di ogni parte; · che la politica e la comunità internazionale assumano un ruolo attivo e di mediazione per la fine dell’occupazione militare israeliana e la colonizzazione del territorio palestinese, per il rispetto dei diritti umani, della sicurezza e del diritto internazionale in tutto il territorio che accoglie i popoli israeliano e palestinese; · che il governo italiano si attivi immediatamente affinché il nostro Paese e i Paesi membri dell'Unione Europea interrompano la fornitura di armi, di munizioni, di sistemi militari, come pure ogni accordo di cooperazione militare con Israele; · che il nostro governo, oggi alla Presidenza dell'Unione Europea, assuma questi impegni con determinazione e coraggio. Promuovono: Associazione per la Pace, A.C.S., Agronomi e Forestali S.F., Al Quds, A.N.P.I., ARCI, Associazione Incontrarci, A.S.U., Comunità Palestinese del Veneto, Donne in Nero, CGIL, Legambiente, Mani Tese, Perilmondo onlus, Radio Cooperativa, Studentiper Per adesioni: assopacepadova@gmail.com

venerdì 23 maggio 2014

CONTINUA IL DIBATTITO, ECCO LE NOVITA'...

COMUNICATO STAMPA CHIARIMENTI SULLA LETTERA INVIATA AL PAPA DA 26 DONNE INNAMORATE DEI PRETI Egregi organi di stampa, Attraverso questo comunicato intendiamo dare dei chiarimenti sulle motivazioni che ci hanno spinto a pubblicare la lettera inviata da tutte noi al Papa, colpite dal riscontro mediatico che essa ha suscitato. Abbiamo deciso di scrivere e firmare la lettera tutte assieme perché ci siamo rese conto che ognuna di noi, nonostante la diversità delle storie personali, aveva dentro di sé una grande voglia di fare qualcosa per far cambiare le cose. Papa Francesco ha messo nei nostri cuori una speranza nuova . Tutto quello che ha detto e fatto da quando è stato eletto Pontefice ci fa credere che anche per la Chiesa sia arrivato il momento del rinnovamento. Molti si sono chiesti come ci siamo conosciute e come ci teniamo in contatto: sono degli interrogativi che fanno sorridere quando si pensa alle infinite possibilità di incontro che offre la rete. Ci sono molti blog, forum e gruppi facebook che parlano dell’argomento e che consentono di venire in contatto con persone che vivono la stessa esperienza. E’ per questo che affermiamo con assoluta cognizione di causa che il problema è molto sentito e diffuso, perché abbiamo conosciuto molte altre “sorelle” che hanno vissuto o stanno vivendo questo dramma. Non desideriamo che la curiosità sulle nostre storie personali svilisca il dibattito e lo riduca ad un pruriginoso argomento di costume. Per questo motivo non abbiamo intenzione di rilasciare delle interviste. CI PREME SOTTOLINEARE IL MOTIVO PER CUI CI SIAMO VOLUTE RIVOLGERE AL PAPA CON QUELLA MISSIVA: noi non vogliamo che i nostri uomini lascino il sacerdozio, (così come hanno dovuto fare molti preti validissimi per vivere coerentemente l'amore che era cresciuto con la loro compagna), ma vorremmo continuare ad amarli alla luce del sole, da spose, mentre esercitano il loro ministero, collaborando con loro nel progetto pastorale. Restiamo in fiduciosa attesa, nella speranza che Papa Francesco apra il suo cuore a questa richiesta di incontro e che la Chiesa, che si prepara al prossimo importante Sinodo dei Vescovi, cominci veramente a discutere di questa che è solo una regola umana.

mercoledì 21 maggio 2014

26 DONNE SCRIVONO AL PAPA

1. LA LETTERA AL PAPA DI 26 DONNE che amano un prete

Caro Papa Francesco

siamo un gruppo di donne da tutte le parti d'Italia (e non solo) che ti scrive per rompere il muro di silenzio e indifferenza con cui ci scontriamo ogni giorno. Ognuna di noi sta vivendo, ha vissuto o vorrebbe vivere una relazione d'amore con un sacerdote, di cui è innamorata. Abbiamo deciso di unire le nostre voci dopo esserci rese conto che pur nella nostra diversità, i nostri vissuti non rappresentano casi isolati, ma che tantissime donne vivono nel silenzio, e per questo, pur essendo noi un piccolo campione, ci sentiamo di parlare a nome di tutte le donne coinvolte sentimentalmente con un sacerdote o religioso. 

Come tu ben sai, sono state usate tantissime parole da chi si pone a favore del celibato opzionale, ma forse ben poco si conosce della devastante sofferenza a cui è soggetta una donna che vive con un prete la forte esperienza dell'innamoramento.
Vogliamo, con umiltà, porre ai tuoi piedi la nostra sofferenza affinchè qualcosa possa cambiare non solo per noi, ma per il bene di tutta la Chiesa. 
Si, l'amore è proprio un'esperienza forte e rigenerante, che ti rimodula dentro, che ti fa crescere con l'altro, finchè ti ritrovi a desiderare con lui quel meraviglioso sogno di una vita insieme. Cosa che con un prete non è possibile, secondo le leggi attuali della chiesa cattolica romana. 
Noi amiamo questi uomini, loro amano noi, e il più delle volte non si riesce pur con tutta la volontà possibile, a recidere un legame così solido e bello, che porta con se purtroppo tutto il dolore del "non pienamente vissuto". Una continua altalena di "tira e molla" che dilaniano l'anima. 
Quando, straziati da tanto dolore, si decide per un allontanamento definitivo, le conseguenze non sono meno devastanti e spesso resta una cicatrice a vita per entrambi. Le alternative sono l'abbandono del sacerdozio o la persistenza a vita di una relazione segreta. 

Nel primo caso la forte situazione con cui la coppia deve scontrarsi viene vissuta con grandissima sofferenza da parte di entrambi: anche noi donne desideriamo che la vocazione sacerdotale dei nostri compagni possa essere vissuta pienamente, che possano restare al servizio della comunità, a svolgere la missione che per tanti anni hanno svolto con passione e dedizione, rinvigoriti adesso ancor di più dalla forza vitale dell'amore che hanno scoperto insieme a noi, che vogliamo sostenerli e affiancarli nel loro mandato. Chi si sente chiamato al sacerdozio sceglie di vivere nel mondo, di partecipare alla vita sociale e di rendersi utile agli altri nella comunità in cui è inserito. La dolcezza e solarità di una donna può davvero essere sale e luce nel ministero di un sacerdote, per camminare insieme verso la Sua Luce e per maturare i frutti (che in due si moltiplicano esponenzialmente) da donare alla gente.

Nel secondo caso, ovvero nel mantenimento di una relazione segreta, si prospetta una vita nel continuo nascondimento, con la frustrazione di un amore non completo che non può sperare in un figlio, che non può esistere alla luce del sole. Può sembrare una situazione ipocrita, restare celibi avendo una donna accanto nel silenzio, ma purtroppo non di rado ci si vede costretti a questa dolorosa scelta per l'impossibilità di recidere un amore così forte che si è radicato comunque nel Signore. 

L'amore è davvero la forza più potente che esista! 
E allora ci chiediamo e ti chiediamo se è davvero giusto sacrificare l'Amore in virtù di un bene più alto e grande che è quello del servizio totale a Gesù e alla comunità, cosa che a nostro avviso sarebbe svolto con maggiore slancio da un sacerdote che non ha dovuto rinunciare alla sua vocazione all'amore coniugale,unitamente a quella sacerdotale, e che sarebbe anche supportato dalla moglie e dai figli. Probabilmente ne gioverebbe l'intera comunità, si respirerebbe aria di famiglia, di libertà e accoglienza. Questa nostra società ne ha bisogno!
Siamo tutti alla ricerca della propria identità, che possiamo solo trovare nel volto di Cristo; ma la chiesa ne riflette il suo volto? Noi speriamo che tu, con questa ventata di speranza che hai portato, possa davvero riuscire a ridare alla chiesa la sua dignità, liberandola dalla pretesa della Verità Assoluta, e affidandola semplicemente alla volontà di Dio. 

Siamo fiduciose che il nostro grido, rimasto per troppo tempo inespresso, venga da te accolto e compreso, per discernere quale sia la giusta strada per una Chiesa migliore. 
Se tu lo riterrai adeguato, siamo pronte e anzi ti chiediamo di essere da te convocate in un'udienza privata, per portare davanti a te umilmente le nostre storie e le nostre esperienze, sperando di poter attivamente aiutare la Chiesa, che tanto amiamo, verso una possibile strada da intraprendere con prudenza e giudizio. 

Grazie Papa Francesco! Speriamo con tutto il cuore che tu benedica questi nostri Amori, donandoci la gioia più grande che un padre vuole per i suoi figli: VEDERCI FELICI!!! 

Ti auguriamo ogni Bene. 

IL COMMENTO DEL TEOLOGO VITO MANCUSO (prete sposato)


IL MATRIMONIO È UN DIRITTO ANCHE PER I PRETI


di Vito Mancuso



Chissà come risponderà il Papa alla lettera indirizzatagli da 26 donne che (così si sono presentate) «stanno vivendo, hanno vissuto o vorrebbero vivere una relazione d’amore con un prete di cui sono innamorate».
Ignorarla non è da lui, telefonare a ogni singola firmataria è troppo macchinoso, penso non abbia altra strada che stendere a sua volta uno scritto.
Avremo così la prima epistula de coelibato presbyterorum indirizzata da un Papa a figure che fino a poco fa nella Chiesa venivano chiamate, senza molti eufemismi, concubine.
Dai frammenti della lettera riportati sulla stampa risulta che le autrici hanno voluto presentare la «devastante sofferenza a cui è soggetta una donna che vive con un prete la forte esperienza dell’innamoramento».
Il loro obiettivo, scrivono al Papa, è stato «porre con umiltà ai tuoi piedi la nostra sofferenza affinché qualcosa possa cambiare non solo per noi, ma per il bene di tutta la Chiesa».
Ecco la posta in gioco, il bene della Chiesa.
L’attuale legge ecclesiastica che lega obbligatoriamente il ministero al celibato favorisce il bene della Chiesa?
Guardando ai due millenni del cattolicesimo, ritroviamo che nel primo il celibato dei preti non era obbligatorio («fino al 1100 c’era chi lo sceglieva e chi no», così scriveva il cardinale Bergoglio).
Mentre lo divenne nel secondo in base a due motivi:
1) la progressiva valutazione negativa della sessualità, il cui esercizio era ritenuto indegno per i ministri del sacro;
2) la possibilità per le gerarchie di controllare meglio uomini privi di famiglia e di conseguenti complicate questioni ereditarie.
Così il prete cattolico del secondo millennio divenne sempre più simile al monaco.
Si tratta però di due identità del tutto diverse. Un conto è il monaco il cui voto di castità è costitutivo del codice genetico perché vuole vivere solo a solo con Dio (come dice già il termine monaco, dal greco mónos, solo, solitario); un conto è il ministro della Chiesa che determina la sua vita nel servizio alla comunità.
Il prete (diminutivo di presbitero, cioè “più anziano”) esiste in funzione della comunità, di cui è chiamato a essere “il più anziano”, cioè colui che la guida in quanto dotato di maggiore saggezza ed esperienza di vita.
Ora la questione è: la celibatizzazione forzata favorisce tale saggezza e tale esperienza? Quando i preti celibi parlano della famiglia, del sesso, dei figli e di tutti gli altri problemi della vita affettiva, di quale esperienza dispongono?
Rispondo in base alla mia esperienza: alcuni preti dispongono di moltissima esperienza, perché il celibato consente loro la conoscenza di molte famiglie, altri di pochissima o nulla, perché il celibato li fa chiudere alle relazioni in una vita solitaria e fredda.
Ne viene che il celibato ha valore positivo per alcuni, negativo per altri, e quindi deve essere lasciato, come nel primo millennio, alla libera scelta della coscienza.
Vi è poi da sottolineare che la qualità della vita spirituale non per tutti dipende dall’astinenza sessuale e meno che mai dall’essere privo di famiglia, basti pensare che quasi tutti gli apostoli erano sposati e che il Nuovo Testamento prevede esplicitamente il matrimonio dei presbiteri (cf. Tito 1,6).
Se poi guardiamo alla nostra epoca, vediamo che veri e propri giganti della fede come Pavel Florenskij, Sergej Bulgakov, Karl Barth, Paul Tillich erano sposati.
Se i nazisti non l’avessero impiccato, anche Dietrich Bonhoeffer si sarebbe sposato, ed Etty Hillesum, una delle più radiose figure della mistica femminile contemporanea, ebbe una vita sessuale molto intensa.
Anche Raimon Panikkar, prete cattolico, tra i più grandi teologi del ‘900, si sposò civilmente senza che mai la Chiesa gli abbia tolto la funzione ministeriale.
“Non è bene che l’uomo sia solo”, dichiara Genesi 2,18. Gesù però parla di “eunuchi che si sono resi tali per il regno dei cieli” (Matteo 19,12).
La bimillenaria esperienza della Chiesa cattolica si è svolta tra queste due affermazioni bibliche, privilegiando per i preti ora l’una ora l’altra.
Penso però che nessuno possa sostenere che il primo millennio cristiano privo di celibato obbligatorio sia stato inferiore rispetto al secondo.
Oggi, a terzo millennio iniziato, penso sia giunto il momento di integrare le esperienze dei due millenni precedenti e di far sì che quei preti che vivono storie d’amore clandestine (che sono molto più di 26) possano avere la possibilità di uscire alla luce del sole continuando a servire le comunità ecclesiali a cui hanno legato la vita. La loro “anzianità” non ne potrà che trarre beneficio.
Vi sono poi le molte migliaia di preti che hanno lasciato il ministero per amore di una donna (ma che rimangono preti per tutta la vita, perché il sacramento è indelebile) e che potrebbero tornare a dedicare la vita alla missione presbiterale, segnati da tanta, sofferta, anzianità.



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Pubblicato in “la Repubblica” del 19 maggio 2014