mercoledì 31 agosto 2011

Gli appelli e la laicità

Una lettera di Paolo Rabassini a proposito degli appelli come quello di Alex Zanotelli.

Salve,
ho ricevuto l'appello di Alex Zanotelli tramite un'amica. L'ho firmato perché lo condivido pienamente. Però sento di fare alcuni appunti, non solo su questo, ma su altri analogi appelli fatti da cattolici definiti "di strada" che, pur non essendo credente, apprezzo moltissimo. Infatti essi si richiamano sempre a certi valori accreditandoli sempre e solo ai credenti, soprattutto cattolici, come se questi valori fossero una loro prerogativa esclusiva. Cioè non parlano mai di valori universali che dovrebbero appartenere a tutti. In loro, mi dispiace dirlo, manca una vera laicità, quella laicità che spesso possiamo trovare in quei laici aperti a tutte le culture. Nello specifico dell’appello, fra l’altro, ho trovato una grossa falsità: - non è il “Vangelo di Gesù” che ha inventato la strada della “non violenza”, ma questa è stata cercata e concretizzata da soggetti appartenenti a culture e religioni diverse. [...]

(leggi tutto l'articolo)

Dalla base... si può!

In attesa dello sciopero generale indetto (in forma solitaria) dalla CGIL ma che contesta gli stessi punti che contestano gli altri sindacati confederali, si sta muovendo qualcosa, grazie ad una pressione insistente che parte dalla base, nella speranza che si riesca a fare qualcosa insieme anche tra sindacati. Come hanno fatto i sindaci dei nostri comuni, dandoci una bella lezione! Quando si tratta di manovre inique e ingiuste, i colori e le ideologie slittano in secondo piano.
Ecco la lettera di un delegato FIM-CISL della Carraro di Campodarsego, che sottolinea il disagio reale e che vuole dare voce ai malesseri e alle richieste degli operai.


Voglio portare anch'io una mia piccola riflessione.
In fabbrica rappresento 180 iscritti FIM.
Sono tanti? Sono pochi? Non lo so, quello che so è che faccio una fatica bestiale a mantenerli iscritti.
Forse qualcuno lo ha dimenticato, ma attualmente è più facile perdere una tessera che farla!
Sono questi NOSTRI ISCRITTI che mi chiedono di fare sciopero contro una manovra che tocca sempre e solo noi miseri operai.
Quando leggono che la CISL non sciopera perchè “veniamo da una brutta crisi e che questa crisi non è passata...” mi vengono a dire:
“MAURO, IO VOGLIO SCIOPERARE, PERCHE' NON SONO QUESTE OTTO ORE IN CUI NON SCIOPERO CHE MI FANNO RICCO, MA SONO LE ORE IN CUI STO A GUARDARE STO GOVERNO CHE MI DERUBA A FARMI DIVENTARE POVERO!”
Dulcis in fundo, con lo stravolgimento della manovra fatta ieri sera con l'attacco di nuovo alle pensioni, stamattina me ne hanno dette di tutti i colori.
La CISL cerca martiri o delegati?
Paradosso dei paradossi, la FIOM mi ricorda le parole di Bonanni e Angeletti alla nostra ultima manifestazione di giugno: “LA PROSSIMA VOLTA SARA' SCIOPERO!”.
Ripeto, sono adulto e vaccinato e so difendermi... ma mi sto incazzando.

Mauro Gallato, delegato FIM Carraro DriveTech

Minacce per l'accoglienza

Succede in una parrocchia della Bassa padovana, Borgoforte, guidata da don Daniele Marangon. Riporto la lettera che alcuni parrocchiani (anonimi ma non troppo, vista la scrittura!) hanno appeso nella struttura dove sono stati ospitati cinque profughi.

«Caro don Daniele, core voci in arivo profughi in patronato. Noi citadini siamo contrari, se dovese avenire in due tre persone siamo decise di incendiare il patronato con profughi dentro».

(leggi l'articolo da Il Mattino di Padova)

Esprimo chiaramente tutta la mia solidarietà al parroco e soffro nel vedere tanto odio proprio all'interno di comunità che si definiscono "cristiane"!

martedì 30 agosto 2011

Si può perdonare un genitore che ti abbandona?

Riprendo alcune frasi di un articolo di Manila Alfano e che riguarda il fondatore di Apple, Steve Jobs, e il suo rapporto con il padre che lo abbandonò dalla nascita.
Riguarda però in generale tutti quei padri che abbandonano e quei figli che non perdonano, oppure quei padri che si accorgono in tempo dell'errore fatto e recuperano il rapporto.


Può un padre tornare a chiedere di un figlio 56 anni dopo? John Jandali oggi ha 80 anni e vorrebbe tanto rincontrare suo figlio. «Prima che sia troppo tardi». Ma fino ad ora è rimasto nell’ombra, mai una telefonata, una lettera. Niente. Poi Jandali ha visto le foto di questo figlio dimenticato che oggi appare così malato e ha avuto paura. Suo figlio è Steve Jobs, geniale e ricchissimo fondatore di Apple, quello che ha inventato l’iPhone, l’iPod, l’iPad e che, a 56 anni, si sta spegnendo per un tumore. John, padre pentito e spaventato, cerca di infilarsi almeno per i titoli di coda. Sta a Steve l’ultima decisione, la sfida più difficile: il grande manager e il suo passato che torna come un fantasma, un incubo.

«Vivo nella speranza che prima che sia troppo tardi mi cercherà - dice Jandali -. Anche solo per bere un caffè, farebbe di me un uomo molto felice». [...]

Era giugno 2005 quando Steve Jobs aveva appena commosso centinaia di studenti dell’Università di Stanford. Lui era stato invitato come ospite d’onore, doveva parlare del futuro e per farlo scelse di raccontare il suo passato di bambino abbandonato. «Nella mia vita ho mollato tutto. È una storia che è iniziata prima che nascessi». [...]

«Siate affamati, siate folli. Guardate sempre avanti, dovete avere pazienza e non arrendervi», incitava lui da quel palchetto. I ragazzi erano lì a guardarlo con occhi spalancati pieni di ammirazione. «Credete sempre in qualcosa e alla fine guardandovi indietro scoprirete che la vita è fatta di puntini che si sono uniti». Ma John Jandali non è mai rientrato nella costellazione di Steve. Un bambino abbandonato è diverso dagli altri, e il rifiuto se lo porta addosso per tutta la vita. È così che il caos diventa destino, una fede da dimostrare agli altri che diventa successo sfacciato e geniale da sbattere in faccia anche a quel Jandali che non ti ha mai cercato, neppure quando avevi assoldato un investigatore per ritrovarlo.
Oggi probabilmente quella voglia di ricucire è passata. Forse è davvero tardi. C’è la malattia, i giorni da spendere con chi ti è stato vicino. «Se potessi tornare indietro cambierei molte cose», assicura Jandali.

(leggi tutto)

giovedì 25 agosto 2011

Commercianti come contadini

Annata buona per il vino! Quest'anno la vendemmia viene anticipata, a causa della siccità, ma i grappoli d'uva non hanno subito i danni dei soliti temporali estivi.

Il mestiere del contadino è sempre stato un mestiere condizionato dalle leggi e dagli interventi misteriosi della natura.
Ogni raccolto è sempre stato ed è tuttora imprevedibile: basta una grandinata per rovinare un'intero vigneto e compromettere la vendemmia. Il contadino vive da sempre questa precarietà, non è una novità.
Negli ultimi anni qualcuno credeva di seminare certezze, ma per fortuna anche il mercato è condizionato dalle sue stesse leggi incalcolabili. Quando si crea un mostro bisogna prevedere che non sempre si può domare!
Ecco che il mondo trova un suo equilibrio, così anche i commercianti devono accettare lo stile dei contadini. Sai quando il banco è pieno ma non sai quando e se venderai.

L'elogio della bicicletta




Un libro di Ivan Illich

Tutto cominciò con il cuscinetto a sfere, l’invenzione della seconda metà dell’Ottocento grazie alla quale tanto l’automobile quanto la bicicletta diventano possibili. E lo diventano in contemporanea, dunque è falso pensare alla bicicletta come a qualcosa di arretrato e di preindustriale, quasi un ritorno all’età della pietra! A un dato momento si apre un bivio di portata storica: da una parte la strada che conduce a una maggiore libertà nell’equità, dall’altra l’illusione di una maggiore velocità progressivamente paralizzante. Rispettivamente: il mondo della bicicletta e quello dell’automobile.

E’ Ivan Illich a sottolineare questo passaggio cruciale dell’umana evoluzione nel saggio Elogio della bicicletta, finalmente tradotto in Italia da Bollati Boringhieri a oltre trent’anni dalla stesura originale. Il testo, nonostante i cambiamenti socioeconomici e culturali e i decenni trascorsi, è di un’attualità straordinaria, tanto più che Illich aveva visto bene verso dove la società dell’automobile ci avrebbe portato.

La sua è un’analisi scientifica, lucida, che nulla concede al sentimentalismo, e forse sta proprio qui la sua forza. I motivi che ci devono spingere a cambiare direzione sono razionali e oggettivi e hanno una loro forza necessitante.

Illich parte dal dato che la nostra è una società energivora, che di energia si ingozza fino a soffocarne. Ora, il problema è stabilire la soglia energetica oltre la quale si arriverebbe al collasso: si tratta però di un compito politico, di quella che lui definisce una “controricerca”.

La distinzione fondamentale da cui partire è quella che passa tra trasporto e transito: il primo ha a che fare con la logica del valore di scambio e del monopolio radicale da parte del capitale industriale, mentre il secondo è prodotto dal lavoro ed è essenzialmente valore d’uso. Il trasporto, che tende a marginalizzare, fino a distruggerlo, il transito diventa progressivamente per gli individui un fattore alienante: “il passeggero che consente a vivere in un mondo monopolizzato dal trasporto diventa un angosciato e forzato consumatore di distanze delle quali non può decidere né la forma né la lunghezza”. L’alienazione arriva a tal punto che “incontrarsi” significa per lui essere collegati dai veicoli (si pensi a quanto oggi ciò sia vero anche sul fronte della comunicazione: l’invio di messaggi digitali è la nuova frontiera dell’alienazione dei corpi…).

Illich si spinge fino a dare una lettura “di classe” della deformazione spaziotemporale del movimento: dimmi a che velocità vai e ti dirò chi sei! Traduciamo nel presente e otteniamo: dimmi quant’è grosso il tuo Suv…

Vi è poi la questione dell’ostruzione del traffico da parte del trasporto (saturazione fisica e ambientale, piramide di circuiti inaccessibili, espropriazione del tempo in nome della velocità) e, connessa a ciò, la determinazione della velocità-limite entro la quale il trasporto potrebbe favorire il transito: Illich non esclude che entro quel limite vi potrebbe essere un importante fattore di ausiliarietà (l’ipotesi è quella di una velocità di punta di 40 km/orari!).

Illich conclude la sua analisi individuando tre modelli di mobilità nell’odierno scenario globale: società sottoattrezzate, che cioè non garantiscono il diritto all’automobilità dei cittadini nemmeno alla velocità della bicicletta; società sovraindustrializzate dove vige il dominio dell’industria del trasporto; ma tertium datur: “c’è posto per il mondo dell’efficacia post-industriale [...] per un mondo di maturità tecnologica”, che cioè vada verso la duplice liberazione dall’opulenza e dalla carenza, che sposti l’asse dal trasporto al transito, dal monopolio alla libertà, che operi una “ristrutturazione sociale dello spazio che faccia continuamente sentire a ognuno che il centro del mondo è proprio lì dove egli sta, cammina e vive”. Ma ciò, di nuovo, non è oggetto di deduzione, quanto piuttosto di decisione politica: la rotta da prendere non è segnata sulle carte!

Il testo in lingua originale, intitolato Energie, vitesse et justice sociale, dovrebbe essere consultabile sul sito della casa editrice http://www.bollatiboringhieri.it sotto la voce Incipit (fino ad oggi ho provato, ma non è ancora disponibile).

In coda al volume vi è anche un piccolo saggio dell’antropologo Franco La Cecla, intitolato Per una critica delle automobili, sferzante e quantomai efficace, dove viene fatto il punto trent’anni dopo il testo di Illich.

Ivan Illich (1926-2002) è stato un filosofo, storico, antropologo e teologo tra i più eretici e interessanti del ’900. Tra le sue opere, tradotte in italiano: Descolarizzare la società (Mondadori 1972), Il genere e il sesso. Per una critica storica dell’uguaglianza (Mondadori 1984), Nemesi medica. L’espropriazione della salute (Bruno Mondadori 2004).

mercoledì 17 agosto 2011

Zero delle mie tasse al Papa!

E' lo slogan delle varie associazioni laiche che sono scese in campo durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid organizzata dalla Chiesa Cattolica Romana e presieduta dal papa Ratzinger.
L'evento internazionale, che si ripete da anni, si sta celebrando in una Spagna colpita fortemente dalla crisi e che contesta le spese per la manifestazione.
Da Padova son partiti cinquanta preti con 1300 giovani della diocesi.
E' bello sapere che è possibile esprimere liberamente il proprio pensiero in uno stato laico come la Spagna. Gesù è stato un laico e lo stato (il Vaticano) che per eccellenza si fonda sul messaggio di Gesù dovrebbe essere uno stato laico.
I fondamentalismi sono ormai antistorici ma presenti e pericolosi. Riconfermo il mio impegno per una pacifica convivenza tra persone e comunità di differenti culture e religioni.


domenica 7 agosto 2011

Un saggio padre ultra 80enne

La lettera del padre ultra 80enne di Annapaola Concia, deputata del Pd, in occasione delle sue nozze con Ricarda a Francoforte.
Quello che esprime e che anch'io ho sperimentato sulla mia pelle è che ci sono scelte autentiche d'amore che devono affrontare l'intolleranza e l'odio.


"Cara Ricarda ed Annapaola,
Solo voi potete sapere quanto è stato duro, difficile ed anche doloroso arrivare a questo giorno di felicità.
Purtroppo io non sarò con voi ma ci saranno fratelli e nipoti che vi faranno sentire l'affetto che meritate.
Già da domani tornerete ad affrontare l'intolleranza e in qualche caso addirittura l'odio per chi ha fatto una scelta di amore. Un amore diverso ma non per questo meno intenso e meno puro.

Ho oltre 80 anni e neanche per me è stato facile capire ed accettare fino in fondo. Ma quello che voglio dirci è né a me né ad altri che dovete rendere conto, ma solo l'una all'altra. Perché il diritto di amarvi è scritto più in cielo che in terra. In paradiso i matrimoni non ci sono ma l'amore si.

Benvenuta tra noi Ricarda. Per me sarai una figlia, sorella degli altri miei figli e come loro ti amerò.
Paola voglio ringraziarti per avermi donato ancora a questa mia tarda età la voglia di ribellarmi all'ingiustizia.

Auguri Papà".

lunedì 1 agosto 2011

Una ragazza di Benin City da non dimenticare


Maris Davis,
ti fa male ricordare,
ma adesso che sei in cielo,
la tua storia
è per non dimenticare.



Da piccola, alla periferia di Benin City, sognavo che il papà la smettesse di maltrattare mamma che era la sua seconda moglie. In Nigeria anche oggi è permessa la poligamia. La mamma sopportava tutto pur di farci mangiare…9 tra fratelli e sorelle, 5 dalla moglie uno e 4 dalla moglie due, e mia madre (moglie due) doveva provvedere a tutti, anche ai figli non suoi.
Un Angelo, la nonna materna, mi ha portato via da quell’inferno. Se non fosse stato per lei avrei subìto l’odiosa pratica dell’infibulazione (taglio del clitoride) anch’io come le mie sorelle. Questa grande donna mi ha fatto studiare pagando i miei studi fino al diploma (in Nigeria si paga anche per andare alla scuola dell’obbligo).
Finiti gli studi sognavo l’Europa, e allora mio padre, per farmi contenta, mi ha “VENDUTA” in cambio di pochi dollari a dei “signori eleganti” e ben vestiti che mi hanno fatto arrivare in Italia 1995 Prima città Torino, e quei “signori eleganti” mi presero a forza e, alla presenza della mia prima madame, mi violentarono (ripetutamente per tre giorni di seguito), mi dissero che dovevo imparare il mestiere. Non avevo ancora compiuto i miei 21 anni.

1995–1997: Mi fa male ricordare. Davanti al mio marciapiede c’era sempre la “coda”, ero giovane e carina, e ho imparato l’italiano quasi subito, non bene come adesso, ma mi facevo capire. Quando la “madame” intuiva che mi ero fatta troppi amici italiani, mi “vendevano” ad un altro gruppo di nigeriani eleganti che mi portavano in un’altra città… e così io dovevo iniziare da capo a ricostruirmi le mie amicizie. Il debito che dovevo pagare a “quei signori” era di 60 mila dollari (un’enormità).
Quindi da Torino a Verona, poi a Padova ed infine a Udine. Ero stanca e depressa, non mi interessava più nulla se loro minacciavano la mia famiglia in Nigeria, non mi interessava più nulla della mia vita…

1997: I clienti mi parlavano spesso della Caritas e di altre organizzazioni (tipo Don Benzi). Volevo morire, ma prima di morire io, volevo farla pagare a quei bastardi… dopo appena tre giorni che ero a Udine chiesi ad un “bravo cliente” se sapeva dov’era la Caritas, e così mi accompagnò in via Treppo.
La dolcezza di una signora, la bontà di una poliziotta, e alcune connazionali che ho trovato lì, mi convinsero a denunciare tutte le madame e tutti quei“signori eleganti”. E’ stata una settimana straziante perché mi hanno fatto ricordare tutto, con tutti i numeri della rubrica del mio cellulare (per la maggior parte clienti) messi sotto controllo.

1997-1999: Ho vissuto in una così detta Casa Protetta assieme ad altre ragazze, quasi tutte albanesi. Ma subito alla Caritas hanno visto che ero diplomata e che avrei potuto frequentare l’Università. Mi fecero avere i documenti e mi iscrissero sotto falso nome: Chantal Blessing Dana. Così diventai Chantal B. Dana, nome a me particolarmente caro. Per due anni ho frequentato la facoltà di Informatica, senza saltare un esame, come qualsiasi altra studentessa modello. Nessuno dei miei compagni di studi ha mai sospettato del mio passato, ero solo una ragazza nigeriana che era venuta a studiare in Italia. Il mio Permesso di Soggiorno non era stato rilasciato perché avevo collaborato con la giustizia, ma semplicemente per “Studio”.
All’inizio del 1999 conobbi un signore sulla quarantina, friulano, che si era appena separato dalla moglie e che viveva solo. Io però non ne volevo più sapere di uomini, lui sapeva tutto di me perché faceva volontariato proprio alla Caritas, e per me aveva un’attenzione particolare e così ci scambiammo il numero telefonico, e qualche volta abbiamo passato anche bei momenti insieme (a parlare).

Maggio 1999: Un giorno, come tutte le mattine di quella primavera, ero sull’autobus che mi avrebbe portata al polo universitario dei Rizzi. Scesi alla solita fermata in via Cotonificio e mentre camminavo una macchina si affiancò a me, e senza che potessi gridare o chiedere aiuto mi ritrovai dentro sul sedile posteriore… Mi legarono mani e piedi, e mi misero un cappuccio in testa… La mafia nigeriana mi aveva ritrovata… Il giorno dopo ero già a Girona, in Spagna. Anche adesso mi sto chiedendo come abbiamo fatto, io credo qualche mia confidenza di troppo con amiche nigeriane che, magariper soldi, mi hanno tradita.
Quello che so è che in quel momento ero ripiombata all’inferno. I miei documenti italiani stracciati con rabbia davanti ai miei occhi, il mio cellulare buttato violentemente contro il muro della stanza in cui ero rinchiusa, tutte le mie cose (vestiti, scarpe, ricordi, foto, ecc…), tutte le mie amicizie, tutto ancora in Italia, in quel momento non mi era rimasto nulla, solo le botte di “quei signori” e le mie lacrime.

1999–2003: Non voglio ricordare, ma… La differenza con l’Italia, è stata quella che in Spagna, anziché la strada, c’erano i night club, le feste private, le case dei clienti, e così via… e poi anche le donne, i filmini, mi facevano fare le cose più odiose perché sapevano che in Italia avevo fatto delle denunce. Non potevo uscire in strada (sola), ma dovevo lavorare esclusivamente in posti chiusi… dove ero più facilmente controllata. Ogni santo giorno avrei voluto morire, ma ogni santo giorno vedevo “una luce”, quella luce è stata la mia speranza per 4 anni.
Da Tenerife a Ibiza, da Valencia a Barcellona, ed infine Madrid. Purtroppo ero molto richiesta, ero stanca e depressa ma nessuno, dico nessun cliente ha avuto mai pietà di me. Alla fine del 2003, ero la controfigura di me stessa, sempre ammalata e febbricitante, ero ridotta ad uno straccio che avrebbe voluto chiudere gli occhi… per sempre!
E così un giorno “quei bastardi” mi dissero che il mio debito era pagato, e mi abbandonarono al mio destino. Così mal messa ormai non servivo più ai loro scopi, ero diventata un peso anche per loro. All’improvviso mi sono ritrovata senza un posto per dormire, senza documenti validi, ma solo una valigia dove c’era tutta la mia vita e 700 euro che ero riuscita a nascondere per me.
Per fortuna una mano misericordiosa (un’amica) mi ospitò nella sua camera che aveva in affitto presso una famiglia di nigeriani ad Alcalà de Henares (una trentina di km. da Madrid).

2004: … ero depressa, stavo giorni e giorni chiusa in quella cameretta a dormire o a guardare fisso il soffitto. Mio padre era mancato due anni prima, ma ormai avevo interrotto anche i rapporti con la mamma, i miei fratelli e le mie sorelle in Nigeria.
Venne l’estate, e comprai una macchina da cucire di seconda mano, ricordandomi che da ragazza avevo imparato a fare i vestiti e a rammendare. Un giorno, frugando tra le poche cose della mia valigia, trovai una piccola agenda di qualche anno prima nella quale era ancora annotato un numero di cellulare italiano e a fianco di quel numero c’era un nome: Florindo. Acquistai 5 euro di credito e chiamai quel numero e con mia grande sorpresa qualcuno rispose, era proprio lui che grazie a Dio aveva mantenuto lo stesso numero per tutti quegli anni. Quella luce che vedevo così lontana (la Speranza), da quel giorno iniziò a cambiare direzione e si avvicinava sempre di più il Sogno di tornare a vivere per davvero.
Ci sentivamo anche due o tre volte al giorno, iniziai a sorridere, a uscire, ripresi ad andare in Chiesa, e soprattutto ripresi i contatti con la mia famiglia in Nigeria.
Il 15 agosto di quell’anno alle 9 di mattina Florindo mi chiamò e mi disse: “Sono appena partito da Udine, domani mattina presto conto di essere a Madrid, tieniti pronta”. Duemila chilometri in macchina da solo, 23 ore di guida quasi senza dormire, una pazzia fatta solo per me.
Il primo incontro fu proprio alla Stazione di Atocha. In ottobre Florindo ritornò (questa volta in aereo) e affittò un appartamento tutto per me, all’attico di un condominio di 5 piani. Era nuovo e grandissimo, tre camere, tripli servizi, soggiorno, cucina e due terrazze immense e anche la piscina comune in giardino. Tutto per me… ma non mi sono dimenticata di quella mano misericordiosa, quell’amica che mi ospitò quando non avevo nulla… e la invitai a vivere con me nella nuova casa.

2004–2006: Quasi tre anni che sono serviti per ricostruire tutti i miei documenti …, anni nei quali ho però subito un intervento chirurgico in conseguenza della tante violenze passate. Ora non potrò più essere mamma, uno dei tanti segni incancellabili che “quei bastardi” mi hanno lasciato. Un episodio che però ho vissuto serenamente perché al mio fianco avevo l’uomo che amavo e che amo.
Anni nei quali, con quella macchina da cucire sgangherata, ero riuscita a farmi una clientela che apprezzava i miei vestiti e il mio lavoro di sarta. Così sono riuscita a guadagnarmi i primi soldi tutti veramente miei.
Il 27 ottobre 2006, presso il Comune di Parla (Comunidad de Madrid), io e Florindo abbiamo coronato il nostro sogno d’amore …
Poco più di un mese dopo sono finalmente tornata in Italia, a Udine… nella stessa città da dove, più di sette anni prima, un manipolo di “bestie umane” mi aveva prelevato a forza e mi aveva fatto “sparire”. Ma ora la Chanty era tornata e per prima cosa ha voluto ricominciare da dove era stata interrotta… sono ritornata a studiare, ho dato tutti gli esami che mi mancavano per prendere la laurea breve (novembre 2007). Un documento che per me ha un valore e un significato unico, che va al di là del semplice titolo di studio.

2010: Ci sono voluti più di sei anni di serenità, di cure amorevoli, di preghiere continue per avere il coraggio di raccontare, di buttare fuori il dolore che mi tenevo dentro ormai da troppo tempo. …
Anche a distanza di anni, capita che venga assalita da ricordi spiacevoli, mi sveglio nel cuore della notte di soprassalto, ma poi allungo la mia mano e accarezzo il viso dell’unico uomo che abbia saputo donarsi a me senza mai chiedere nulla in cambio. Il mio unico amore…

Maris Davis
(ci ha lasciati il 16 luglio 2011)