sabato 16 gennaio 2010

COME E' FACILE GIUDICARE!

CONDIVISIONE AL GRUPPO BIBLICO "VANGELO E YOGA"
del capitolo 7 del vangelo di Matteo

Gesù era un profeta itinerante, girava di villaggio in villaggio.
Anche noi, andiamo di casa in casa a leggere la Parola di Dio e ascoltare le nostre parole. Il nostro gruppo biblico è un gruppo itinerante.


NON GIUDICATE!

E' così umano giudicare! Così istintivo, così connaturale al nostro essere...

Si giudica per invidia o gelosia.
Ma si giudica, sbagliando, anche per non rimanere indifferenti.

Si giudica con atteggiamento di superiorità.
Ma si giudica, sbagliando, anche per non cadere continuamente nei tranelli dei più furbi.

Giudicare una persona per quello che dice o per quello che fa,
ci pone sul piedistallo del Creatore. Chi sono io?

Giudicare se una scelta sia Bene o Male,
non è forse troppo pretenzioso?

La cultura occidentale tende a unificare razionalmente il pluralismo della Realtà,
dei modelli, delle idee, delle esperienze...
per arrivare alla Risposta, al Colpevole, alla Legge, al Modello.

Et...et

Si può emettere un giudizio sui fatti, anzi si deve.
Si può fare un'osservazione ad un collega di lavoro, anzi si deve.
Si può decidere di interrompere un rapporto se crea sofferenza, anzi si deve.
Si può fare qualsiasi scelta, senza giudicare.
Ma come è tremedamente difficile!

...PER NON ESSERE GIUDICATI!

Quanto influisce il giudizio degli altri sulle mie scelte, sul mio umore, sulla mia autostima?

LA PORTA STRETTA

Entrare per la porta stretta, scegliere la via più faticosa, avere pazienza, coraggio, andare controcorrente, ecc...
presuppone l'aver trovata la porta, la via.
E il trovare presuppone il cercare.
Perchè cercare? Per fare un piacere a Dio o per essere felici noi?

L'ascolto senza giudizio è dentro la porta stretta,
la correzione fraterna è dentro la porta stretta,
l'amicizia è dentro la porta stretta,
il paradiso è dentro la porta stretta...

Caro evangelista,
nessuno di noi può sapere se c'è più gente
buona o più gente cattiva,
se la via della perdizione è più trafficata di quella della vita,
se un cattolico è più cristiano di un musulmano,
o se i mafiosi pentiti si salveranno.
Solo al Padre spetta l'ultimo giudizio.
E nemmeno Gesù vuole prendergli il posto!

CHIEDETE E VI SARA' DATO
Mi manca quell'umiltà di chiedere, di accettare di avere bisogno dell'altro, e magari di quello che mi sembrava più stupido di me, più ignorante di me, più nero o più bianco di me.
Forse basta così poco per realizzare i nostri sogni...

venerdì 15 gennaio 2010

RAFAEL CORREA INSEGNA...



Mentre in Italia si torna indietro nel tempo e si multano prostitute e clienti (nella foto prostituta multata a Roma), in Ecuador il governo si pone all’ascolto delle associazioni delle lavoratrici del sesso. Loro non vogliono un trattamento speciale, ma semplicemente una normativa che tuteli i loro diritti come qualsiasi lavoratore. Questa è la via della legalità, che vuol dire anche lotta alla tratta degli esseri umani.



CORREA TENDE LA MANO AL MESTIERE PIU' VECCHIO DEL MONDO

di Alessandro Ingaria (tratto da peacereporter)

Esiste un paese in cui i politici incontrano le prostitute di giorno e con i pantaloni ben allacciati. E' l'Ecuador di Rafael Correa.

Il 13 settembre scorso il presidente dell'Ecuador e vari ministri del suo governo hanno pranzato con una dozzina di lavoratrici del sesso per conoscere la problematica della categoria. Dopo quell'incontro, la situazione per le donne che operano nel settore dell'offerta sessuale sta rapidamente cambiando. Il ministero della Giustizia e il ministero della Salute stanno lavorando congiuntamente con i rappresentanti della Redtrabsex, (Red de trabajadoras sexuales), rispettivamente per evitare discriminazioni per chi esercita il mestiere più vecchio del mondo e per elaborare un piano di prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale. In seguito alla riunione, avvenuta il 22 ottobre scorso tra la delegazione delle lavoratrici e il presidente dell'assemblea parlamentare, Fernando Cordero, è allo studio la modifica dell'articolo del codice penale ecuadoriano che sanziona con multe da sette a quattordici dollari e con la prigione da due a quattro giorni chi "staziona per molto tempo e senza motivo plausibile all'angolo della strada o in altro luogo non destinato al tempo libero degli abitanti". Articolo con il quale in numerosi casi la polizia minaccia e trattiene le lavoratrici sessuali.

E a fianco di una richiesta di maggior rispetto per le donne che esercitano questo lavoro, Redtrabsex sta incentivando progetti di formazione per microimprese al fine di offrire delle opportunità alle donne non più convinte di questo lavoro. E' comune che chi si prostituisce per vivere, lo faccia dovendo mantenere figli e parenti, senza alternative di sussistenza. L'obiettivo finale della Redtrabsex è di eliminare la discriminazione sociale e la repressione della polizia nonché permettere alle lavoratrici del sesso di accedere ai programmi di sicurezza sociale riservati ai lavoratori. E anche dar loro una scelta.
La coordinatrice nazionale della rete delle lavoratrici sessuali, Elizabeth Molina, è un fiume in piena di entusiastico vigore. Questo ha raccontato a PeaceReporter, che l'ha raggiunta telefonicamente.

L'incontro con il presidente Rafael Correa?
La delegazione ricevuta dal presidente rappresenta 17 organizzazioni locali distribuite in 14 province e riunisce più di 18.000 donne che esercitano lavoro sessuale. L'incontro con Rafael Correa è un momento storico in quanto nessun presidente aveva mai incontrato una nostra rappresentante e tantomeno aveva mai preso in considerazione le proposte provenienti dal basso. Non vogliamo nessun trattamento speciale, ma solo che le cose siano per legge e per diritto come per gli altri cittadini. Vogliamo poter essere attori del cambiamento della nostra condizione sociale. Vogliamo che il lavoro sessuale sia riconosciuto come ogni altra occupazione al fine di poter beneficiar di tutti i diritti dei lavoratori e poter accedere all'assicurazione sociale e sanitaria.

L'associazione opera solo nelle grandi città o anche nelle zone meno abitate?
La forza della rete è di avere organizzazioni locali in tutto il paese. In questo momento siamo coinvolti in vari tavoli di discussione, dal ministero dell'Inclusione sociale ed economica, rappresentato dal sottosegretario nazionale Lourdes Portaluppi, sino alle municipalità delle grandi città e delle piccole provincie.


Dopo questa apertura del governo nazionale restano problemi con le municipalità locali?
Il problema maggiore si verifica quando le autorità locali revocano le autorizzazioni a quei bar o discoteche in cui queste donne lavorano, costringendole a battere i marciapiedi. A Quito, il sindaco Paco Moncayo ha fatto chiudere tutti i locali lungo la via 24 de mayo e ora le donne sono costrette a esercitare per strada. Un episodio che dimostra l'insensibilità delle autorità locali e che sottopongono le lavoratrici alle vessazioni della polizia...

Vessazioni da parte della polizia?
La polizia nazionale, che dovrebbe difendere i cittadini, calpesta i nostri diritti, ci violentano, ci taglieggiano, ci minacciano. O si paga o ci mettono dentro, per quattro, otto giorni, e senza poter avvertire la famiglia, i figli. Che dipendono da noi in tutto e per tutto. Non è una critica all'istituzione la mia, ma ai singoli che agiscono così. Per questo motivo, abbiamo chiesto l'abrogazione dell'articolo del codice penale che permette la detenzione e tale argomento sarà messo in discussione a fine mese dal parlamento nazionale. Quando abbiamo raccontato i problemi con la polizia al Presidente, lui si è dimostrato molto dispiaciuto che funzionari dello stato si comportino in questo modo. Si è parlato anche di corsi di formazione ai membri delle forze dell'ordine affinché proteggano le lavoratrici sessuali come gli altri cittadini.

E i rapporti con la delinquenza?
La Red de trabajadoras sexuales protegge i diritti delle donne adulte e consenzienti ed è contraria allo sfruttamento della prostituzione minorile e alla tratta illegale delle donne.

DUE FRASI DEL GIORNO

CHI SU

"Silvio, io lavoro con te, non per te" (Gianfranco Fini)

CHI GIU'

"L'etica della Chiesa Cattolica non è esclusivamente o prevalentemente confessionale" (Benedetto XVI)

INTERCULTURA A SCUOLA

DALL'ESPEREINZA ALLE NORMATIVE

...perchè il diverso, l'ultimo, l'emarginato sono ciascuno in ognuno di noi...

di Laura Tussi (fonte: www.ildialogo.org)


Il fenomeno migratorio sembra lasciare poco spazio alla riflessione teorica, per l'urgenza dei problemi sociali e la vivacità del dibattito politico in cui è inserito.
Come sostiene Morin, l'educazione interculturale nella scuola deve comprendere un’etica della comprensione planetaria.
Gli anni ‘90 hanno visto il diffondersi nella scuola italiana del nuovo paradigma dell'intercultura che concepisce la diversità come risorsa positiva, come valore e opportunità di crescita nel confronto, nello scambio, in un arricchimento reciproco, con cui interagire nella logica della convivenza costruttiva.[1]
In un primo momento sono intervenute alcune importanti circolari del Ministero della Pubblica Istruzione che hanno sollecitato e supportato l'innovazione progettuale delle scuole in tema di educazione interculturale, prevenzione del razzismo e dell'antisemitismo e l'inserimento scolastico degli alunni stranieri, tramite disposizioni amministrative, indicazioni e orientamenti di carattere pedagogico e culturale.
Dalla seconda metà degli anni ‘90, queste disposizioni sono gradualmente diventate pratica progettuale nelle scuole italiane, per effetto di una crescente e strutturale presenza di bambini e ragazzi stranieri che ha posto in evidenza le molteplici differenze culturali, linguistiche, religiose, rendendo urgente l'incontro e il confronto aperto.
Attualmente si sono moltiplicati e diffusi i progetti e le esperienze interculturali realizzati dalle scuole, che stanno divenendo momenti ordinari della programmazione scolastica.
Tuttavia, da alcune ricerche locali si coglie una forte esigenza degli operatori scolastici di essere sostenuti nei progetti di accoglienza e di educazione interculturale, con adeguati strumenti di formazione, supporti didattici e organizzativi, attraverso modelli di riferimento per sperimentare, modificare, innovare ed affrontare le incombenti difficoltà..
Sempre più spesso si tratta di educazione alla cittadinanza, alla pace, ai diritti umani, alla comunicazione e alla gestione dei conflitti dove l'educazione alla comprensione e l'insegnamento della condivisione fra gli uomini costituiscono la condizione e la garanzia della solidarietà intellettuale e morale dell'umanità.
Argomentare l'approccio interculturale nell'educazione e nella scuola significa che è possibile formarsi alla comprensione della propria e altrui cultura.
Educazione interculturale significa attivare processi di comprensione fra donne e uomini, formando alla comprensione e condivisione della propria cultura e dell'esperienza dell'altro, nel favorire l'interscambio tra soggetti e saperi.
Intercultura è un termine che contiene in sé un processo e un programma, dove inter significa interazione, scambio, apertura, solidarietà e reciprocità, sottolineando il processo di confronto, di scambio e di cambiamento reciproco, e cultura indica il riconoscimento dei valori, dei modi di vita, delle rappresentazioni simboliche a cui si riferiscono gli esseri umani come individui e società, proponendo un senso più ampio, non limitato alle forme alte del pensiero e dell'azione, ma esteso all'intero modo di vivere, di pensare e di esprimersi nell'ambito del gruppo sociale.
La scuola, in una società multiculturale, può svolgere un ruolo importante nella formazione di cittadine e di cittadini dall'identità planetaria.
L'educazione interculturale e la sensibilizzazione alla comprensione hanno il compito e l'impegno di aiutare a gestire e stabilire relazioni, incontri e scambi con le differenze introdotte negli spazi di vita quotidiani, dove gli altri sono interdipendenti e prossimi, grazie alle molteplici forme degli spostamenti, delle comunicazioni a distanza e delle relazioni quotidiane.
L'educazione interculturale subentra ufficialmente nella scuola italiana nel 1990 quando tale definizione entra nel mondo educativo tramite le normative ministeriali.
Dagli inizi degli anni ‘90, quando nella scuola italiana cominciano ad entrare bambini e ragazzi di altre nazionalità, gli insegnanti si rendono conto che queste presenze esprimono esigenze, problemi, bisogni e molto altro insieme, dove i volti, i colori della pelle, i silenzi, i linguaggi non verbali, le frasi in lingue incomprensibili esprimono disagi e problemi aperti.
Gli alunni immigrati sono evocatori di stati d'animo, idee note e incerte, storie personali e riferimenti culturali collocabili all'interno di matrici di senso differenti, esprimendo incapacità comunicative e bisogni linguistici.
L'incontro con le differenze linguistiche, culturali, religiose, somatiche non è un fatto sporadico e casuale, ma un elemento quotidiano e normale negli ambiti educativi, nei luoghi di aggregazione, nei servizi sociali e sanitari, a cui occorre rispondere nella solidarietà e nell’accoglienza, oltre il pregiudizio e la discriminazione.
L'interesse crescente per le culture degli altri, in una pluralità di attenzioni, costituisce il nucleo iniziale della pedagogia interculturale, composta di pratiche scaturite da interrogativi sempre più crescenti, da incertezze sulle scelte e dalla ricerca di percorsi didattici finalizzati alla risposta di esigenze specifiche, favorendo l'incontro tra l'infanzia e l'adolescenza del qui e dell'altrove.
Una circolare ministeriale del 1990 tratta per la prima volta congiuntamente i temi dell'inserimento degli alunni stranieri nella scuola, in una prospettiva di educazione interculturale, fornendo principi innovativi importanti, come le indicazioni per l'accoglienza e l'integrazione degli alunni immigrati, ponendo l'argomento dell'educazione interculturale per tutti e volta all’accoglienza di tutti.
In una circolare ministeriale del 1994 viene delineato il tema del dialogo interculturale e della convivenza democratica, come impegno progettuale della scuola, in termini di società multiculturale, di prevenzione del razzismo e dell'antisemitismo, in Europa e nell'intero pianeta, dove vengono introdotti concetti quali il clima relazionale e la promozione del dialogo, fornendo indicazioni sulla valenza interculturale di tutte le discipline e delle attività disciplinari trasversali.
Di conseguenza, educare all'intercultura significa costruire la disponibilità a conoscere e a farsi conoscere nel rispetto dell'identità di ciascuno, in un clima di dialogo e solidarietà.
Si riafferma il principio che l'educazione interculturale non riguarda solo alcune materie, ma sussiste una dimensione dell'insegnamento che accompagna il percorso formativo ed orientativo attraverso tutte le discipline scolastiche.
Il regolamento contenente le norme in materia di autonomia scolastica afferma che gli obiettivi nazionali dei percorsi formativi riconoscono e valorizzano le diversità per la realizzazione del diritto di apprendimento e di crescita educativa di tutti gli alunni e che viene garantito e valorizzato il pluralismo culturale e territoriale.
Le coordinate di politica educativa alle quali le istituzioni scolastiche devono fare riferimento, per realizzare in autonomia i propri progetti di accoglienza, di integrazione e di educazione interculturale sono sufficientemente articolate e fondate su chiare scelte pedagogiche, tracciando un modello di scuola integrativo, interculturale e attento al riconoscimento e alla valorizzazione di lingue, culture e diversità, dove l’altro risulta sempre fonte di arricchimento culturale reciproco.
Laura Tussi


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[1] Favaro G., Capirsi Diversi. Interculturalità ed educazione alla comprensione, in Intercultura. Riflessioni ed esperienze di educazione interculturale in ambito scolastico. EMI, Bologna 2004

giovedì 14 gennaio 2010

IL BEL PAESE DEI PARADOSSI

Secondo Ilvo Diamanti, intervistato oggi pomeriggio a Radio2, l'Italia (ma non solo) si trova in una situazione paradossale rispetto al rapporto con gli immigrati. Secondo i dati riportati dalla Caritas Nazionale, nelle regioni dove si manifesta verbalmente più intolleranza, razzismo, xenofobia...sono più attive ed efficienti le iniziative, le associazioni, le istituzioni che promuovono una reale integrazione e che offrono aiuti agli stranieri in difficoltà.

SCIOPERO DEGLI STRANIERI

PRIMO MARZO 2010: SCIOPERO DEGLI STRANIERI

UN'ALTRA INIZIATIVA NATA DAL BASSO CONTRO IL RAZZISMO

Stranieri non tanto dal punto di vista anagrafico, ma perché estranei al clima di razzismo che avvelena l'Italia del presente. Autoctoni e immigrati, uniti nella stessa battaglia di civiltà.

E' nato il blog: http://primomarzo2010.blogspot.com/

IL VUDU AD HAITI

UNA PROFONDA SPIRITUALITA' AFRICANA
di Alessandro Grandi


Una tradizione tramandata da generazioni. Dall'Africa ad Haiti, sulla rotta degli schiavi.


“Io ci credo e lo pratico e come me molte persone lo fanno qui a Haiti”. Rosine, una donna di circa 40 anni, partecipa da sempre ai riti vudu.
La trovo, molto presto al mattino, che aspetta gli altri fedeli ai bordi di una casetta costruita in lamiera con davanti un grande spiazzo sterrato, per iniziare la preghiera.
Mi guarda stupita del fatto che io non sia stato accompagnato da nessuno. Infatti per partecipare a certi riti bisognerebbe essere accompagnati o quantomeno invitati.

Dopo pochi minuti di attesa, quando il sole inizia ad alzarsi in cielo, da un sentiero ripidissimo e piuttosto fangoso, arrivano una ventina di persone. Quasi tutte donne. Vestite con abiti sgargianti, come se stessero per andare ad una festa, portano con loro dei doni. “Vedi quello che hanno nei sacchetti sono i doni per i nostri dei. Soprattutto qui nella zona di Port au Prince esiste questa usanza. Il Vudu è una miscela di religioni, di credenze e effettivamente c’è anche una componente magica. Ma non di magia. E’ una questione assolutamente spirituale. Chi pensa che siamo degli stregoni è solo uno stupido” ci tiene e sottolineare.

Dopo avermi chiesto abbastanza gentilmente di allontanarmi, inizia il rito insieme agli altri seguaci. Cantano canzoni in creolo e in un dialetto incomprensibile. Nella maggioranza dei casi gli houngan (i preti vudu) sono contenti se delle guide portano i turisti a vedere i riti. Così facendo sperano che una volta tornati nei loro paesi diffondano il fatto che il vudu è una tradizione positiva.

Il Vudu è uno dei culti maggiormente screditati al mondo. La stragrande maggioranza delle persone crede che il Vudu sia una sorta di grande contenitore di superstizione, magia, incantesimo, che gioca molto sulla fantasia e sull’ignoranza delle persone. Ma sbaglia alla grande. Il Vudu è una religione ricchissima di tradizione e soprattutto molto antica.

“Vedi come siamo fatti? Siamo tutti africani. La nostra cultura proviene dall’Africa” dice Elizabeth, una ragazza molto giovane e bella che ha avuto la possibilità di studiare qui nella capitale Port au Prince, e che, pur non partecipando ai riti Vudu, li conosce molto bene. “Queste sono le tradizioni che ci tramandiamo da generazioni. Siamo il primo esperimento al mondo di alterazione territoriale. Il nostro popolo è un misto di nazionalità. Siamo tutti figli degli schiavi africani che vennero portati qui a lavorare per conto degli spagnoli e dei francesi. Non ci centriamo molto con i caraibici. Infatti i Taino ( la popolazione che viveva ad Haiti nel periodo precolombiano) assomigliavano molto ai Maya. Noi siamo fuori luogo”.

La cultura vudu haitiana ha subito, già a partire dall’inizio del 1800 (nel periodo della rivolta degli schiavi) una specie di demonizzazione.
Questa religione invece ha origini antichissime. Si ipotizza infatti che il vudu nasca dalle religioni animiste africane basate sull’ adorazione degli spiriti.
Gli schiavi portati ad Haiti dagli spagnoli dalle coste africane del Benin, e del Congo portarono con loro anche le credenze religiose.
I riti vudu praticati ancora oggi, e tollerati, solo qui ad Haiti anche dalla religione cattolica (il culto ufficiale dell’isola), sono la unificazione delle varie credenze animiste africane e costituiscono la base del patrimonio culturale e religioso di Haiti.
Molto spesso ci si ritrova davanti a simboli vudu anche per strada.
Statuette raffiguranti gli dei, le classiche bamboline, che da noi si crede abbiano il potere di fare male a qualcuno solo puntandogli addosso degli spilloni (mentre non solo altro che il tramite fra il mondo dei vivi e quello dei morti), bottiglie colorate e piene di lustrini che servono nei riti, e tutto quello che serve per poter effettuare una messa vudu.

Prendere parte ad una cerimonia vudu, molto spesso, può risultare parecchio faticoso. Bisogna tener presente che non si tratta di una rappresentazione di una commedia popolare ma di una vera e propria religione che conta migliaia di seguaci e che quindi deve essere trattata con rispetto. Come una qualsiasi fede al mondo.

Gli schiavi africani, che provenivano da differenti tribù, ritrovavano le loro radici in questa credenza. Negli anni della colonizzazione di Haiti gli schiavi, per mantenere i loro culti, sostituirono i loro feticci sacri con le icone della cristianità.
Furbescamente per nascondere il loro culto ai colonizzatori che non vedevano di buon occhio queste pratiche, gli haitiani, operavano un vero e proprio scambio di icone; ad ogni santo della religione cristiana fu associato, con le debite modifiche, uno spirito del Pantheon (il grande regno degli dei).
Ad esempio gli Iwa, che sono entità inferiori rispetto al Gran Met (il solo dio in cui credono gli adepti vudu), sono gli spiriti che vengono invocati con canzoni e preghiere. Di loro fanno parte il Baron, il signore dei morti, i Marasa che rappresentano l’unione tra giorno e notte, l’Erzuile Dantor, che viene associato a venere dea dell’amore e molti altri ancora.

E così via fino ai giorni nostri. “ E’ giusto mantenere le tradizioni” dice ancora Elizabeth, “anche se talvolta possono sembrare cruente e pagane”.
Alessandro Grandi

mercoledì 13 gennaio 2010

CONSIGLI PER UN CONSUMO CRITICO

Il movimento Gocce di Giustizia (nato a Vicenza) propone uno Sportello Elettronico del Consumo Critico.

Come orientarsi nella scelta di un consumo responsabile, per poter fare una spesa etica, giusta e sostenibile e per poter essere attori ("consumattori") del nostro consumo?

MANDATE UNA E-MAIL A: sportelloconsumocritico@goccedigiustizia.it

DOMANDE DOPO CENTO MILA MORTI AD HAITI


DOMANDA: Dove doveva scatenarsi un devastante terremoto?

RISPOSTA: Ad Haiti, il paese più povero delle Americhe.

PERCHE'?

Perchè tanta ingiustizia?

Caso o castigo,

provvidenza o punizione?

Per colpa di chi?

Ha ancora senso farsi domande, cercare risposte?

martedì 12 gennaio 2010

BOTTA E RISPOSTA

EGITTO-BOSSI

L'Egitto denuncia il razzismo italiano dopo i fatti di Rosarno.
Umberto Bossi denuncia la violenza in Egitto contro i cristiani copti.
E la maglietta di Calderoli, qualcuno se la ricorda?
Botta e risposta. Di chi sarà l'ultima parola?
Tutti condannano la violenza,
usando violenza.
La guerra non si vince con la guerra.
Quando vogliamo siamo il Paese civilizzato, sviluppato, che va in giro ad esportare democrazia.
Quando vogliamo indietreggiamo al misero occhio per occhio dente per dente, "Se non ci lasciano costruire la chiesa cristiana là, allora niente moschea qui in italia!"

Come si usa definirsi un tale comportamento?

SULLA SCUOLA SOLO PROPAGANDA

LE LEGGI CI SONO GIA' (ANCORA PER POCO), L'IMPORTANTE E' APPLICARLE

La riforma che il ministro Gelmini cerca in tutti i modi di far passare come innovatrice, moderna, migliorativa... ("Brava! Quante leggi giuste sta facendo questo governo!") c'era già ed è datata 1999. La legge c'era, ma non sempre è stata applicata. Una legge sulla composizione delle classi scolastiche che eviti la ghettizzazione e favorisca la reale integrazione... c'era già. Bastava applicarla, o controllare che venisse applicata. Ecco due articoli che evidenziano la questione.


1. Dal tetto del 30% fissato per classe per gli studenti stranieri saranno esclusi i nati in Italia e che sono circa il 37%.

E' quanto ha dichiarato il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini intervenendo oggi, su Rai Tre, a '1/2 h', il programma condotto da Lucia Annunziata.

"Gli studenti stranieri che saranno in sovrannumero nelle classi - ha detto la Gelmini - potranno essere trasferiti da un plesso scolastico all'altro: a questo scopo, il ministero dell'istruzione sta pensando a prevedere convenzioni con gli enti locali che si occuperanno degli spostamenti logistici".

''Mi fa piacere constatare che il provvedimento sul tetto del 30% all'interno delle classi per i bambini immigrati - ha proseguito il ministro - sia stato valutato non secondo un'ottica ideologica, ma sulla base dell'esperienza, suggerito tra l'altro da dirigenti scolastici, insegnanti che operano soprattutto nelle periferie delle grandi città".

''Si tratta di una misura di buon senso volta all'integrazione e alla convivenza civile - ha spiegato la Gelmini. Le classi costituite da immigrati, al contrario a volte possono trasformarsi in classi-ghetto. L'esodo poi di molti studenti italiani dalle scuole pubbliche alle scuole private perche' non ci sono le condizioni di un buon apprendimento - ha concluso il ministro dell'Istruzione - e' qualcosa sul quale bisogna riflettere e il governo deve poter avanzare delle soluzioni''.

2. Scuola, un tetto per gli stranieri? La legge (inapplicata) c'era già

Un tetto massimo alla presenza degli stranieri nelle classi c'era già e risale al 1999, quando fu varato il regolamento attuativo del testo unico sull'immigrazione (il dpr 394 del 31 agosto '99) che prevede, all'articolo 45, che la ripartizione degli alunni stranieri nelle aule va effettuata "evitando comunque la costituzione di classi in cui risulti predominante la presenza di alunni stranieri". Insomma si parla, seppur implicitamente, di un tetto del 50%. Un limite più alto di quello fissato dal ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini. A ricordare la regola già esistente, ancora in vigore, ma di fatto disattesa, è il mensile Tuttoscuola.

Il regolamento fu emanato dal governo D'Alema che, all'epoca, comprendeva i ministri Luigi Berlinguer, Rosy Bindi, Livia Turco, Pierluigi Bersani. In effetti sia Livia Turco che Luigi Berlinguer non hanno osteggiato il tetto della Gelmini, anche se hanno posto rilievi e raccomandazioni sull'applicazione. I contenuti della norma di allora ricordano molto da vicino quelli della circolare di qualche giorno fa. Anche nel regolamento del 1999, ad esempio, ci sono interventi a favore dell'inserimento e dell'apprendimento dell'italiano. "Il collegio dei docenti- si legge- definisce, in relazione al livello di competenza dei singoli alunni stranieri, il necessario adattamento dei programmi di insegnamento" e ancora "il consolidamento della conoscenza e della pratica della lingua italiana può essere realizzata altresì mediante l'attivazione di corsi intensivi di lingua italiana sulla base di specifici progetti, anche nell'ambito delle attività aggiuntive di insegnamento per l'arricchimento dell'offerta formativa".

Il tetto, dopo il '99, nonostante la normativa esistente, comunque non è stato rispettato. Lo dimostrano i casi della scuola Carlo Pisacane di Roma dove, nonostante gli appelli della ormai ex dirigente Donatella Trani, negli anni passati, non si è mai raggiunto un accordo con gli enti locali per evitare il concentramento di stranieri. Oggi la preside è un'altra e rimarrà in carica fino a settembre, quando la scuola sarà accorpata ad una vicina media. La successiva dirigente, Flora Longhi, dovrà risolvere il problema di quel 90% di alunni non italiani alla primaria. Lo stesso si dovrà fare alla scuola elementare Radice di Milano dove oggi c'è una prima tutta composta di stranieri e dove c'è un italiano ogni ventiquattro stranieri.

11 gennaio 2010

DOPO GLI SCANDALI IN IRLANDA...

UNA SVOLTA DENTRO LA CHIESA SUI NUMEROSI CASI DEI PRETI PEDOFILI

Ci sono persone che hanno commesso lo stesso crimine e che vengono trattate in due modi diversi, secondo due leggi diverse, da due tribunali diversi. Non sto parlando del nostro premier e di un normalissimo cittadino italiano, ma di preti pedofili e laici pedofili, che sono stati trattati finora con due misure diverse. Coperti, i primi, nell'assoluto silnezio, secondo quanto segue: "L´imposizione dell´assoluta segretezza impedisce, di fatto, alla magistratura civile qualsiasi forma di conoscenza e quindi d'intervento concreto, sia nella fase inquirente che in quella giudicante. In qualsiasi paese di Stato di diritto, la competenza su queste materie è affidata al diritto penale. La Chiesa, in base a un artificio giuridico, ha ritenuto di riservare a sé tale competenza. Nel documento, per esempio, si dice che le vittime di abusi sessuali devono denunciare, entro un mese, il sacerdote colpevole al vescovo del luogo o al Sant´Uffizio. E solo a loro, pena la scomunica. Un meccanismo perfetto che ha avallato l´impunità di numerosi sacerdoti pedofili che, se scoperti, vengono solo trasferiti in altra diocesi".

Ma ecco la svolta, forse. Si spera, in nome di Dio.

Il card. Claudio Hummes assicura che "D'ora in poi oltre ad essere sottoposti al giudizio delle leggi ecclesiastiche, saranno consegnati anche ai tribunali civili per essere giudicati e condannati dopo un regolare processo. Per i preti pedofili, quindi, oltre alle pene ecclesiastiche - vale a dire immediata riduzione allo stato laicale e scomunica dalla Chiesa cattolica - saranno comminate anche le punizioni previste dai Codici penali ordinari". (da Repubblica del 12 gennaio)

DOV'E' FINITA LA SPERANZA?

Continuano a invaderci notizie di morte. Sui quotidiani locali continua il bollettino di guerra. Dalle vittime della strada ai suicidi: ogni giorno sembra uguale. Dove è finita la speranza?
Nelle nuove riforme ad personam?
Nelle proprie scelte quotidiane?

POCHI FRONZOLI O GIRI DI PAROLE

"Tutto è scoppiato perchè sono diventati inutili"

Enzo Ciconte su Rosarno.

(Scrittore e politico italiano, docente di Storia della criminalità organizzata a Roma Tre)

SE QUELLI SONO UOMINI...

NEI GHETTI D´ITALIA QUESTO NON È UN UOMO

di Adriano Sofri

Di nuovo, considerate di nuovo
Se questo è un uomo,
Come un rospo a gennaio,
Che si avvia quando è buio e nebbia
E torna quando è nebbia e buio,
Che stramazza a un ciglio di strada,
Odora di kiwi e arance di Natale,
Conosce tre lingue e non ne parla nessuna,
Che contende ai topi la sua cena,
Che ha due ciabatte di scorta,
Una domanda d´asilo,
Una laurea in ingegneria, una fotografia,
E le nasconde sotto i cartoni,
E dorme sui cartoni della Rognetta,
Sotto un tetto d´amianto,
O senza tetto,
Fa il fuoco con la monnezza,
Che se ne sta al posto suo,
In nessun posto,
E se ne sbuca, dopo il tiro a segno,
“Ha sbagliato!”,
Certo che ha sbagliato,
L´Uomo Nero
Della miseria nera,
Del lavoro nero, e da Milano,
Per l´elemosina di un´attenuante
Scrivono grande: NEGRO,
Scartato da un caporale,
Sputato da un povero cristo locale,
Picchiato dai suoi padroni,
Braccato dai loro cani,
Che invidia i vostri cani,
Che invidia la galera
(Un buon posto per impiccarsi)
Che piscia coi cani,
Che azzanna i cani senza padrone,
Che vive tra un No e un No,
Tra un Comune commissariato per mafia
E un Centro di Ultima Accoglienza,
E quando muore, una colletta
Dei suoi fratelli a un euro all´ora
Lo rimanda oltre il mare, oltre il deserto
Alla sua terra - “A quel paese!”
Meditate che questo è stato,
Che questo è ora,
Che Stato è questo,
Rileggete i vostri saggetti sul Problema
Voi che adottate a distanza
Di sicurezza, in Congo, in Guatemala,
E scrivete al calduccio, né di qua né di là,
Né bontà, roba da Caritas, né
Brutalità, roba da affari interni,
Tiepidi, come una berretta da notte,
E distogliete gli occhi da questa
Che non è una donna
Da questo che non è un uomo
Che non ha una donna
E i figli, se ha figli, sono distanti,
E pregate di nuovo che i vostri nati
Non torcano il viso da voi.

Repubblica 10.01.2010

domenica 10 gennaio 2010

LA RIVOLTA DEI NUOVI SCHIAVI

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MAFIOSI E LEGHISTI

ACCOMUNATI DALLA XENOFOBIA

Cos'hanno in comune un mafioso e un leghista razzista? L'odio verso gli immigrati. La paura per il diverso. Un forse senso di identità localistico che non prevede l'arrivo di intrusi. Capaci di intromettersi nelle sporche regole del gruppo dominante.

Anche i mafiosi sognano il federalismo. "Vogliamo comandare a casa nostra!"

GESU' DISCEPOLO DI GIOVANNI

GESU' SI FORMA ALLA SCUOLA DI GIOVANNI IL BATTEZZATORE

E' forse scandaloso pensare che Gesù sia stato discepolo di Giovanni il battezzatore?
Gesù e Giovanni hanno trascorso molto tempo assieme. Poi Gesù ha preso una strada diversa. Mentre Giovanni aveva creato il suo "Centro di Spiritualità" in mezzo al deserto, vicino al fiume Giordano, Gesù preferiva girare di villaggio in villaggio (evitando le grandi città), là dove la gente abitava, lavorava, amava, soffriva. Comunque si stimavano a vicenda, si sono arricchiti spiritualmente da entrambi.

Gesù non è nato Messia, ma lo è diventato anche grazie all'incontro con Giovanni. Da lui ha imparato molte cose. Da lui è stato battezzato. Se anche Gesù ha ascoltato qualcun'altro, ha imparato da qualcun'altro, si è messo alla scuola di un altro profeta... è possibile che certi uomini (maschi) oggi non vogliano imparare niente da nessuno/a?

CHI SONO GLI INCIVILI?

DUE MODI DIVERSI DI CONCEPIRE LA STESSA REALTA'

Le immagini che vengono lanciate in tv, sulla condizione degli immigrati a Rosarno, possono essere recepite in due modi completamente diversi:

1. "Guarda in che condizioni vivono! Sembrano degli animali! Che tornino nei loro Paesi, qui c'è posto solamente per le persone civili!"

2. "Guarda come sono costretti a vivere coloro che fanno quei lavori che gli italiani non vogliono più fare! Un Paese civile dovrebbe garantire certi diritti!"


L'OPINIONE DI ROBERTO SAVIANO
"La rivolta di Rosarno è la quarta degli africani in Italia contro le mafie. Mi piace sottolineare che gli africani vengono in Italia a fare lavori che gli italiani non vogliono più fare e a difendere diritti che gli italiani non vogliono più difendere.”

Tg3, 8 gennaio 2010

DOPO I FATTI DI ROSARNO

SENZA ALIBI

Gli africani ci hanno sbugiardati. La rabbia scoppiata a Rosarno non ci lascia alibi. Non siamo diversi dal resto del mondo, checché ne dicano coloro che pensano che i guai del sud hanno solo un nome: malavita organizzata.
Siamo stati bravi a indignarci davanti alle immagini dei Sem Terra che reclamavano il loro diritto di sopravvivere e di rincorrere le loro aspirazioni, chiedendo un piccolo pezzo di terra a latifondisti che manco si ricordavano di avere, ricevendo come risposta botte, morsi dei cani e, non di rado, delle pallottole. Ci siamo indignati davanti allo strapotere del ricco che nega la vita dignitosa ai poveri, siamo inorriditi quando abbiamo saputo che molti contadini lavorano in fazende in stato di schiavitù e lì lo Stato non entra. Il ricco cattivo e il povero buono, da noi non può accadere. Noi siamo brava gente.

Ci siamo arrovellati in ottusi ragionamenti che gli immigrati sono importanti, servono a curare i nostri anziani, mantengono l’economia del nordest, per contro si rispondeva che sono delinquenti, rubano, sono in mano alla criminalità.
I politici sono divisi tra il buonismo cattolico, l’affarismo imprenditoriale e la xenofobia.
Malgrado questo ho avuto vicini di casa macedoni con cui sono andato d’accordo, abbiamo chiacchierato e ci siamo aiutati, i miei figli hanno dei compagni di classe argentini, rumeni, marocchini, moldavi, brasiliani. Vivono in case dignitose, lavorano. Probabilmente sono anche più ricchi di me. Insomma, tra la gente normale, il problema immigrazione non esiste. Esiste ben altro, esiste una classe politica che ha fatto della xenofobia il suo cavallo di battaglia per poter rimanere ben attaccata alle poltrone romane che, a quanto pare, tanto schifo non fanno. E per mantenere il suo status, incurante di aver capito per primo qual era la domanda che veniva dalla sua gente (una burocrazia semplice, un livello decisionale più vicino alla gente), per essere certa di non perdere le poltrone, ha preferito non dare risposte concrete, ma seminare la paura, scaricando le frustrazioni di coloro che vogliono rappresentare verso il più debole: il povero. Che poi oggi il povero abbia un colore della pelle diverso e parli altre lingue è un particolare. Se è donna è povero due volte. Se è minore lo è tre.
Il povero non interessa a nessuno. È debole, indifeso, alla mercè di ogni soluzione.
Serve al sindaco di turno in assenza di notorietà a mettersi in luce con qualche idea idiota; serve a fare la cresta sull’affitto; serve a vendere l’invendibile; serve per avere del lavoro schiavo; serve a giovani annoiati per passare la serata sparando al negro.

Gli africani ci hanno sbugiardati. Non è contro la mafia che hanno scatenato il finimondo, ma contro un’economia basat a sullo schiavismo, contro uno Stato che non ha mai voluto vedere. Non contro le aziende della malavita, ma a quelle normali, quelle che magari hanno un’etica diversa e producono biologico. Non è una novità, lo sappiamo da molto che molti braccianti del sud sono sfruttati. Lo abbiamo sempre saputo che usavano le donne sottopagate per questi lavori. Ora si sono aggiunti gli africani, molto più ricattabili, soprattutto da quando la legge 94/2009 ha paragonato i clandestini ai delinqenti. Poveri e senza diritti, questo è uno dei risultati della legge 94/2009.
Che cosa ci possiamo aspettare da questo governo? Credo che non andranno al di là dell’applicazione di questa infame legge. Puniranno i clandestini. E le aziende che li avevano sfruttati? Porteranno la legalità pure lì o lasceranno che assumino altre donne? C’è il PIL in gioco.

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