sabato 16 maggio 2009

LE PRATICHE FALLIMENTARI DI INTEGRAZIONE

Riporto alcune riflessioni di Bruno Amoroso, co-direttore della rivista Interculture. Troppo "alte" forse per chi governa il nostro paese, intento piuttosto a ricevere voti in campagna elettorale. Il nuovo ddl sull'immigrazione e sulla presunta sicurezza, è di un livello molto basso, scadente oltre che discriminatorio, perchè affronta il fenomeno dell'immigrazione come un problema e non come una realtà da accettare, anche da chi non vuole accoglierla come ricchezza.
Ho paura che misure restrittive non faranno altro che aumentare la rabbia e l'odio tra tutti.
Le pratiche di integrazione sono state finora fallimentari, come osserva Amoroso. Ne nasce quindi una auto-riflessione sul rapporto con l'altro, il diverso.


[...] "L'interesse per l'intercultura si è esteso in Europa per il crescere di comunità di provenienza da altri paesi dentro i confini degli Stati nazionali. Avvertire un problema non è di per sé garanzia di corrette interpretazioni e soluzioni.
Il nostro radicamento in forme di pensiero acquisite con la pratica di integrazione ritenuta necessaria per consentire anche ad altri di accedere alla superiorità dei nostri sistemi ha prodotto una interpretazione particolare dell'intercultura. Questa è concepita come un metodo di trasmissione dei nostri valori e sistemi ad altre culture e comunità. L'idea base è il travaso da un recipiente pieno, il nostro, a un recipiente vuoto, il loro, pronto a lasciarsi riempire dai nostri contenuti. L'ipotesi che forme e valori possano essere diversi e che questo debba influenzare le forme di organizzazione della convivenza viene respinta come un abbassamento del livello di qualità della nostra esistenza, giusta e quindi non negoziabile, piuttosto che un suo possibile arricchimento.


Qual è il bilancio di queste pratiche di integrazione? Il bilancio è fallimentare, come dimostrano gli eventi recenti verificatisi in paesi che hanno introdotto pratiche diverse e con diversi livelli di efficienza. Gli approcci adottati possono ridursi schematicamente a quattro:

1)Inserimento: si tollera l'altro con le sue peculiarità culturali, ma lo si considera “straniero”, cioè diverso a titolo permanente ed irriducibile. Questa pratica è stata utilizzata spesso in vari paesi per esigenze di occupazione in settori particolari dell'industria, o per i rifugiati politici in situazioni di emergenza, ma ha funzionato solo fino a quando si è trattato di presenze limitate numericamente e nel tempo.

2)Assimilazione: si accetta l'altro, ma non la sua “diversità”; lo si riceve senza discriminazioni ma a condizione che rinunci alle sue specificità ed adotti al più presto i valori ed i comportamenti della società di accoglienza. Queste pratiche adottate in numerosi paesi europei (Francia, Inghilterra, Belgio ecc...) negano la diversità e comportano quindi una compressione di valori e di culture diverse. Le identità represse riemergono poi sotto forma di nostalgia e di rancore, dando luogo ad esplosioni di ira, specialmente se sopravvengono delusioni per aspettative non realizzatesi e promesse tradite. I fatti di Londra e Parigi possono spiegarsi così.

3)Integrazione: è un processo nel quale ci si preoccupa di difendere i valori fondamentali della società di inserimento, e si punta ad un graduale inserimento dei “nuovi venuti”. L'insediamento prolungato produce effetti di reazione e di rivolta che, contrariamente alle previsioni, tendono ad accentuarsi con la seconda e terza generazione di emigrati (Paesi nordici).

4)Il melting-pot, cioè la coabitazione tra gruppi etnici nazionali diversi, ciascuno dentro i propri ambiti culturali e spaziali, ma imponendo a tutti il rispetto delle leggi e procedure imposte dallo Stato e dettate dalla cultura dominante. Pratica tipica degli stati Uniti e Canada, ma che va diffondendosi in Europa. Il carattere instabile di queste costruzioni sociali è dimostrato dal permanere del razzismo nelle società che la praticano". (prof. Bruno Amoroso)

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