sabato 17 gennaio 2009

KING, LULA E OBAMA

ORA TOCCA A NOI!

[...]E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho un sogno. E' un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali. Io ho un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza. [...] Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho un sogno, oggi!
(Parte del discorso pronunciato da Martin Luther King a Washington il 28 agosto 1963)


Sono felice e con la coscienza tranquilla. Ho fatto tutto quello che potevo e ho girato il Brasile con un messaggio di integrazione nazionale e di sviluppo regionale. [...] Io penso che il Brasile stia vivendo un momento magico di consolidamento del processo democratico. [...] Sono grato in questo momento alle persone che si sono fidate di me, al popolo brasiliano che in vari momenti è stato indotto ad avere dei dubbi contro il governo. Ma il popolo sapeva distinguere quello che era vero da quello che era falso. [...] Continueremo a governare il Brasile per tutti ma continueremo a dare più attenzione a coloro che hanno più bisogno. I poveri avranno la preferenza del nostro governo.
(Parte del discorso pronunciato da Luiz Inacio Lula da Silva a Brasilia il 30 ottobre 2006, alla vittoria del suo secondo mandato alla presidenza del Brasile.)


[...]In queste elezioni si sono viste molte novità e molte storie che saranno raccontate per le generazioni a venire. Ma una è nella mia mente più presente di altre, quella di una signora che ha votato ad Atlanta. Al pari di molti altri milioni di elettori anche lei è stata in fila per far sì che la sua voce fosse ascoltata in questa elezione, ma c'è qualcosa che la contraddistingue dagli altri: Ann Nixon Cooper ha 106 anni.

È nata a una sola generazione di distanza dalla fine della schiavitù, in un'epoca in cui non c'erano automobili per le strade, né aerei nei cieli. A quei tempi le persone come lei non potevano votare per due ragioni fondamentali, perché è una donna e per il colore della sua pelle. Questa sera io ripenso a tutto quello che lei deve aver visto nel corso della sua vita in questo secolo in America, alle sofferenze e alla speranza, alle battaglie e al progresso, a quando ci è stato detto che non potevamo votare e alle persone che invece ribadivano questo credo americano: Yes, we can. Nell'epoca in cui le voci delle donne erano messe a tacere e le loro speranze soffocate, questa donna le ha viste alzarsi in piedi, alzare la voce e dirigersi verso le urne. Yes, we can. Quando c'era disperazione nel Dust Bowl (la zona centro meridionale degli Stati Uniti divenuta desertica a causa delle frequenti tempeste di vento degli anni Trenta, NdT) e depressione nei campi, lei ha visto una nazione superare le proprie paure con un New Deal, nuovi posti di lavoro, un nuovo senso di ideali condivisi. Yes, we can. Quando le bombe sono cadute a Pearl Harbor, e la tirannia ha minacciato il mondo, lei era lì a testimoniare in che modo una generazione seppe elevarsi e salvare la democrazia. Yes, we can. Un uomo ha messo piede sulla Luna, un muro è caduto a Berlino, il mondo intero si è collegato grazie alla scienza e alla nostra inventiva. E quest'anno, per queste elezioni, lei ha puntato il dito contro uno schermo e ha votato, perché dopo 106 anni in America, passati in tempi migliori e in ore più cupe, lei sa che l'America può cambiare. Yes, we can. Oggi abbiamo l'opportunità di rispondere a queste domande. Questa è la nostra ora. Questa è la nostra epoca: dobbiamo rimettere tutti al lavoro, spalancare le porte delle opportunità per i nostri figli, ridare benessere e promuovere la causa della pace, reclamare il Sogno Americano e riaffermare quella verità fondamentale: siamo molti ma siamo un solo popolo. Viviamo, speriamo, e quando siamo assaliti dal cinismo, dal dubbio e da chi ci dice che non potremo riuscirci, noi risponderemo con quella convinzioni senza tempo e immutabile che riassume lo spirito del nostro popolo: Yes, We Can. Dio vi benedica e possa benedire gli Stati Uniti d'America.

(Parte del discorso pronunciato da Barak Obama a Chicago il 5 novembre 2008)


Ora di dadi sono stati lanciati! E non dobbiamo chiederci cosa ha fatto M. Luther King, cosa sta facendo Lula o cosa farà Barak Obama. Dobbiamo chiederci che cosa ciascuno di noi farà per rafforzare le basi popolari della governabilità del proprio Paese. Non illudiamoci che sarà una persona, da sola, a cambiare le sorti di questo mondo.

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