mercoledì 22 luglio 2009

SIAMO ALTRI AGLI OCCHI DEGLI ALTRI

Il problema di Malinowski era il seguente: come avvicinarsi all’Altro se questo non è soltanto un assioma o un’astrazione, bensì un uomo concreto appartenente a una razza diversa, con credenze e valori diversi dai nostri, con cultura e costumi propri?
Prestiamo attenzione a un fatto: il concetto di "Altro" viene il più delle volte definito dal punto di vista dei bianchi, degli europei. Ma ecco che sto attraversando un villaggio montano dell’Etiopia, inseguito da una frotta di bambini che mi additano divertiti gridando: Ferenczi! Ferenczi! Il che significa appunto: forestiero, diverso. Un esempio di degerarchizzazione del mondo e delle sue culture. E’ vero che diversi sono gli Altri, ma per quegli Altri sono proprio io l’Altro.
In questo senso ci troviamo tutti nella stessa barca.

Noi tutti abitanti del nostro pianeta siamo Altri agli occhi degli Altri: io ai loro occhi, loro ai miei.

Al tempo di Malinowski e nei secoli precedenti, l’uomo bianco, l’europeo parte prevalentemente a scopi di conquista, vuole dominare nuovi territori, catturare schiavi, commerciare o convertire. Molte volte sono spedizioni sanguinose: la conquista dell’America da parte di Colombo e poi dei coloni bianchi, la conquista dell’Africa, dell’Asia, dell’Australia.

Malinowski parte per le isole del Pacifico con uno scopo diverso: per conoscere l’Altro. Per conoscere i suoi vicini, i costumi e le lingue, per vedere come vive. Vuole vedere e sperimentare tutto questo in prima persona, sperimentare per poi testimoniare.
Eppure un progetto a prima vista così ovvio si rivela rivoluzionario, sovversivo. Esso infatti mette a nudo la più o meno manifesta debolezza (o forse semplicemente la peculiarità) di ogni cultura. Tale debolezza si fonda sul fatto che gli appartenenti a una cultura e i suoi corifei difficilmente riescono a comprendere gli omologhi di un’altra cultura.
Qualche tempo dopo il suo arrivo nelle Isole Trobriand, l’autore di Coral Gardens constata che gli abitanti bianchi che vivono laggiù da molti anni non solo non sanno alcunché della popolazione locale e della sua cultura, ma ne hanno un’immagine del tutto falsa, contrassegnata da disprezzo e arroganza.
Allora Malinowski, a dispetto di tutte le consuetudini coloniali, pianta la tenda nel bel mezzo di un villaggio e dà inizio alla sua coabitazione con la popolazione locale. Non sarà un’esperienza facile. Nel suo Giornale di un antropologo menziona molto spesso le difficoltà vissute, il malessere, lo scoramento, la depressione.
Quando si viene strappati dalla propria cultura si paga un prezzo altissimo.
Per questo è molto importante possedere un’identità ben definita e avere coscienza della sua forza, dei suoi valori, della sua maturità. Solo così l’uomo può confrontarsi senza paura con le altre culture. In caso contrario egli si nasconderà nella sua tana, si isolerà timorosamente dagli altri.
Tanto più che l’Altro è lo specchio in cui io mi guardo o sono guardato, la superficie riflettente che mi smaschera e denuda, e indubbiamente questo noi vorremmo evitarlo.

(testo tratto da Ryszard Kapuściński )


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