mercoledì 10 marzo 2010

DENTRO AL MITO NON ESISTE CONFRONTO

A Padova, si sta parlando molto (anche a vanvera) sulla vicenda di don P. S., prete diocesano molto seguito e stimato, non solamente per la questione che lo ha portato al centro della stampa locale (ovvero la sua presunta parternità) ma soprattutto, e per fortuna, per il metodo della sua predicazione, così baciata dal successo.

Il mio intervento di ieri, in un editoriale de Il Mattino di Padova, che voleva far riflettere sulla dipendenza da qualsiasi leader e sui principi della filosofia di S., mi ha fatto intuire la portata del fenomeno. Ho ricevuto abbastanza e-mail e sms per capire come i sostenitori e amici di don P. si stanno prodigando per difenderlo appassionatamente. Ma ho anche ricevuto messaggi in sintonia con la mia posizione.

Di seguito troverete:
1. Il mio articolo "Dentro al mito non esiste confronto" (che il quotidiano purtroppo ha sostituito con un titolo più commerciale e ad effetto)
2. 2 lettere e 1 sms
3. L'articolo dell'amico don Pietro Milan, apparso oggi, sempre su Il Mattino di Padova.

1. DENTRO AL MITO NON ESISTE CONFRONTO

"Il nostro mito ci è sempre nascosto,
sono coloro che vivono in un orizzonte diverso
a svelarcelo" (Raimond Panikkar)


La scuola di pensiero sulla quale si fonda la predicazione di don P. S. è certamente interessante e garantisce un successo indiscusso, perchè risponde ai bisogni concreti di molte persone coinvolte in diverse forme di malattia, unendo spiritualità e psicologia, musica e Sacra Scrittura. Magari altri preti avessero il coraggio di tentare strade nuove pur di risvegliare molti fedeli apatici e insoddisfatti! Ma non è questo il punto. Ogni strada è buona purchè non si imponga come La Strada. Ovvero dentro al "mito S." è possibile il confronto?
Conosco i suoi testi di riferimento, alcuni anni fa glieli chiesi e lui, con gelosia e affetto, me li diede assieme a questo semplice avvertimento: "Attento a non credere a tutto quello che dicono!"
In effetti non credo che farsi male alla mano destra o a quella sinistra, in seguito ad un incidente stradale, abbia un diverso significato. Ma nello stesso tempo sono profondamente convinto che molte malattie siano la conseguenza di traumi psicologici ed emotivi. Proprio come ci insegna la saggezza popolare: "Non arrabbiarti, altrimenti ti viene un tumore al fegato!" oppure "Dalla paura mi è venuto un infarto!" Se allarghiamo però gli orizzonti e pensiamo alle malattie o alle catastrofi naturali che tuttora causano la morte di molti esseri umani, dall'ultimo tsunami in Chile alla malaria in Camerun, dal terremoto ad Haiti alla diarrea in Somalia, non possiamo automaticamente ricondurre tutto il male alla sfera psicologica e razionale dell'individuo.
La pace, il perdono, e quindi la salute, non è sempre il frutto di un cammino volontaristico di perfezione individuale; molto spesso è un continuo percorso comunitario che si incrocia con la fragilità della natura e si arricchisce nella relazione con altre persone o esperienze. A volte è addirittura accettazione di un mistero inconoscibile, più grande di noi.
In secondo luogo, che la medicina moderna sia fortemente animata da interessi economici, e che le sue terapie siano studiate per finanziare le case farmaceutiche, è verissimo. Ma nella proposta di Spoladore, non c'è sempre qualcuno che ci guadagna?
Usare le scoperte scientifiche o le tecniche del marketing per insegnare agli altri a non lasciarsi ingannare da medici istituzionalizzati o dal marketing stesso è il lavoro di qualsiasi azienda competitiva. La candela comprata nella sede di Usiogope non costa forse quanto una scatola di aspirine?
Infine, quale soddisfazione si prova nel "trovare la verità" dopo un corso con don P., mentre il proprio partner o i propri amici diventano gli ignoranti da convertire, i persecutori da evitare? "Se non frequenti il corso base non puoi capire!" Non è pericoloso sperimentare il paradiso mentale estraniandosi dalla realtà? O trascinare le persone care dentro il recinto del proprio benessere autocentrato? La liberazione reale dai mali non coincide con una percezione soggettiva di libertà, legata alla sfera delle emozioni. Tagliare il cordone ombelicale originario per poi formarne un altro con una guida, una dottrina, un comportamento, sposta semplicemente ma non risolve il problema.
Credo infatti che la dipendenza da qualsiasi leader, onesto o falso che sia, è pur sempre una forma di schiavitù, una droga che certo non finanzia organizzazioni criminali o che porta alla morte, ma che lascia i rispettivi seguaci dei fanatici bambini, con l'eterna illusione di essere diventati adulti e felici.


2.LE REAZIONI

Caro (don) Federico,
Ho sempre avuto simpatia nei tuoi confronti.
Nonostante io ti abbia visto solo una volta di persona, in occasione della tua prima messa, mi è rimasto il ricordo di una persona buona.
Ed ho sempre rispettato le tue scelte: molto meglio un sacerdote che lascia la strada per intraprenderne un'altra, che scegliere la via del sotterfugio, della doppia vita etc.
Quindi simpatia, dicevo, ma anche stima ed ammirazione, per la giovane età della tua scelta vocazionale, ma anche e soprattutto per la capacità di saper prendere certe decisioni.
Ora però, caro Federico, leggo il tuo intervento sul Mattino e resto deluso.
Innanzitutto, non mi sembra che Don P. sia intervenuto scrivendo ai giornalisti quando tu hai deciso di lasciare il sacerdozio e quando tutti i giornali scrivevano di te.
E poi, mi chiedo, cosa ti spinge ad affermare ciò che affermi?
Ecco, non mi aspettavo che anche tu cadessi nel calderone del chiacchiericcio e nel pastone della carta stampata, parlando un po’ a vanvera. Anzi, mi sarei aspettato un intervento a sostegno di Don P., se non altro per solidarietà verso chi, come te, ha il coraggio di rompere con gli schemi tradizionali.
Ho frequentato anch’io i corsi di Don P. e vado molto volentieri a sentire i suoi concerti e, quindi, penso di poter aver titolo per trovare il tuo intervento totalmente fuori luogo.
Chissà, ci sarà qualche astio latente ancora da digerire. Altrimenti non mi spiego l’intervento da una persona come te.
La “vita è dura per gli artisti”, dice un mio collega. Ed è così, e sarà sempre così. Da ciò, invidie, gelosie ed altri sentimenti di avversione. Come così probabilmente sarà anche per te.
Don P. non solo è un artista (uno tra i più famosi ed ascoltati musicisti di musica religiosa), ma ha anche delle doti superiori ad altri. E’ quindi normalissimo ci sia chi vede in lui un punto di riferimento e che ha tagliato il cordone ombelicale senza accorgersi di averne creato un altro.
Ma non è per tutti così, credimi.
E quand’anche fosse, caro Federico, nella società moderna, dove sono venuti meno i veri riferimenti e dove basta un qualsiasi mago o santone perché la gente veda in loro una guida, avere come guida Don P. è sicuramente un bene.
Ti allego, a tal proposito, un mio intervento sul forum on line del Gazzettino.
Buona vita.

N.


Ciao Federico, mi è piaciuto il tuo articolo sul Mattino,
sono d'accordo con quello che dici.
In questi giorni pensavo che lo S. dei primi concerti piaceva anche a me,
poi quando ha cominciato a diventare un "mito" con seguaci anche un po'
fanatici non mi è più piaciuto.
Ancora una volta mi pare di capire che i miti prima o poi cadono
e quello che veramente resta sono la vita reale e le relazioni con le persone.
Ciao.
B.


Ciao fede...Ho cercato di non pensarci e andare oltre... Ti prego, dimmi che quelle cose che ci sono sul mattino non vengono tutte da te... Non prenderla come un'offesa ma pensavo che proprio tu che hai dovuto subire e subisci tuttora il giudizio della gente, avresti capito cosa vuol dire essere additati e calunniati...in un modo che nessun essere umano merita. Scusami.
B.


3. L'OPINIONE di don Pietro Milan (cooperatore festivo)

Dal caso di don S.
ai preti impreparati al dialogo


In un comunicato ufficiale sul caso S. la Curia di Padova parla di dolore e di sconcerto. Di dolore lo posso anche capire, ma di sconcerto no, questo non riesco proprio a comprenderlo. E poi, sconcerto per che cosa? Perché don P. avrebbe un figlio? A dar credito a voci bene informate, non sarebbe l’unico sacerdote della Diocesi a trovarsi in una simile situazione. Solo che secondo una prassi collaudata riconoscere un figlio per un sacerdote comporterebbe l’allontanamento dal proprio ministero. Meglio allora non riconoscere ufficialmente nessun figlio e magari essere trasferiti ad altro luogo e ad altro incarico, meglio ancora se fuori Diocesi.

Il problema così travalica il semplice caso S., anche se il grido di dolore che sale dalla Curia padovana si guarda bene dall’affrontare gli interrogativi più vasti che il caso, qualora fosse comprovato, comporta e come sempre riduce il tutto a una semplice questione individuale. Lo scandalo vero, infatti, non riguarda le eventuali defezioni alla legge del celibato, ma caso mai il modo prevalentemente negativo con cui si è educato e si continua ancora a educare al celibato. Lo scandalo consiste nella obbligatorietà e nella severità della legge del celibato e nell’ossessivo gridare allo scandalo ogniqualvolta un prete, quando finalmente affronta la vita, scopre di non esservi tagliato. Lo scandalo caso mai consiste nella devastazione umana di una educazione spiritualistica che comprime fino quasi a negarla ogni affettività e nella grande sofferenza con cui molti preti, non solo quelli che lasciano ma anche molti di quelli che continuano convintamente ad esercitare il loro ministero, si sono riappropriati e si riappropriano della loro umanità.

La Curia di Padova, si dice, ha aperto un’indagine sull’insegnamento di don P. Era ora. Ma sarebbe anche ora che si aprisse un’indagine su tanti altri insegnamenti. Sembra infatti che al momento, ma già da tempo è così, la preoccupazione predominante sia quella di «riempire i buchi», così che nessuna parrocchia rimanga senza prete. Che cosa poi e in che modo i preti insegnino, questo sembra molto meno importante.

A girare per le chiese della Diocesi capita a volte di imbattersi in celebrazioni e predicazioni che coinvolgono e fanno effettivamente riflettere, ma può anche capitare di imbattersi in proclami ossessivi, deliranti, oppure in sciatterie e parastregonerie che fanno venire la voglia di uscire di chiesa. La realtà è che la nostra tradizione veneta ha a lungo proposto come modello i preti del fare, del costruire, del restaurare (il così detto male della pietra), e ancora dell’amministrare, dell’organizzare, salvo poi non sapere come rendere effettivamente educative le strutture e le iniziative realizzate.

Ci troviamo così di fronte a molti preti che oltre a fornire i propri catechisti di un testo e di una guida, non sono poi in grado né di accompagnarli, né di consigliarli né di formarli, incapaci essi stessi di fare catechismo. Ci troviamo di fronte a una vasta fascia di preti che non avendo continuato a curare nel tempo la propria formazione teologica, biblica, etica e pastorale, sono ormai incapaci di proporre una catechesi adeguata per quei laici che cercano un sostegno alla propria ricerca di fede. Non parliamo poi del dialogo con le generazioni più giovani. E questo è, purtroppo, il punto di arrivo di una deriva durata oltre due decenni, in cui a partire dall’alto è predominata la paura di affrontare i problemi o forse anche la speranza che il dilazionarne la soluzione potesse automaticamente risolverli.

Come meravigliarsi, allora, se la gente va in cerca di guru, di apparizioni, di guarigioni, di emozioni, magari anche di identità chiuse e paurose? Che cosa viene offerto loro in alternativa di valido e di costruttivo?

3 commenti:

  1. 09-05-2010 Festa delle Mamme

    Affido a te, in questo spazio, un pensiero delicato ed una preghiera intensa per sostenere e regalare forza e coraggio al bambino (di cui parli nel tuo intervento-lettera del Mattino 03 04 2010) ed alla sua mamma.

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  2. «Voi non fatevi chiamare rabbì, perché uno solo è il vostro didàskalos (maestro) e voi siete tutti fratelli. E non fatevi chiamare kathegetài» (colui che indica la strada).

    "Un albero buono non può dare frutti cattivi, né un albero cattivo dare frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto è tagliato, e gettato nel fuoco. Voi dunque li riconoscerete dai loro frutti. [...] E allora dichiarerò loro: "Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi tutti operatori di iniquità"." (Mat 7:15-23)

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