lunedì 10 agosto 2009

VOCE ALLE VITTIME DELLA TRATTA

Vi propongo una riflessione critica - da me rielaborata - di Claudio Magnabosco dell'associazione "Le ragazze di Benin City" con il quale sono in contatto. Mi ha scritto le sue perplessità sui numeri verdi, sugli interventi dello stato e di molte associazioni nei confronti delle vittime della tratta. Manca una sana autocritica. Non si ascoltano le ragazze coinvolte. Non si valorizzano i clienti.

UNA SANA AUTOCRITICA

I dati ufficiali ci dicono che solo una vittima su dieci ha tratto qualche benficio dall’applicazione di quanto previsto dall’articolo 18. É un dato assolutamente negativo che richiede da parte delle associazioni e degli enti interessati una forte autocritica: perchè i risultati sono così pochi?
Indicare la causa di tale insuccesso con l’incapacità delle vittime di percepire l’importanza delle regole proposte dai servizi è, a mio avviso, una banalizzazione; in realtà continuano a succedere cose terribili, violenze inenarrabili (l’ultima notizia: una minorenne in Piemonte è stata torturata a sangue, scalpata, quasi scarnificata...).
Oggi sono le mamam nigeriane a indicare alle ragazze la possibilità di chiedere asilo e domani sono sempre le maman già con passaporto italiano a poterle assumere come colf e badanti.

Lanciare numeri verdi non è di per se negativo, ma di nuovo bisognerebbe riflettere sui risultati a livello nazionale: 500 mila contatti in sei anni, solo 100 mila credibili, 50 mila interventi, dieci mila permessi di soggiorno, mille processi ai trafficanti...ecc. ecc.

Il maggior numero di ragazze che sono uscite dalla strada sono state accompagnate, motivate e sostenute da amici, ex clienti diventati amici, fidanzati, mariti. Non parlare di questa verità significherebbe perdere una risorsa che, invece, deve essere considerata ed integrata. Non i numeri verdi ma azioni concrete di sensibilizzazione possono trasformare i clienti stessi in risorsa, chiedendo loro non solo di telefonare al numero verde facendo qualche segnalazione anonima e imprecisa, ma di sostenere un'azione che gli operatori di strada non possono più fare: se in strada non ci sono le ragazze, nei luoghi chiusi le raggiunge solo il cliente.


Oggi l’articolo 18 è applicabile anche alle rumene, grazie ad una clausola che le considera bisognose di protezione anche se non più extracomunitarie; se per le rumene si può fare una deroga all’articolo 18, perchè non farla per le nigeriane e prevedere l’inserimento in percorsi di uscita e di inserimento sociale e lavorativo reali e non una semplice presa in carico per arrivare ai documenti ed essere poi abbandonate di nuovo sulla strada?

Come mai non si concretizzano progetti per trasformare ex vittime in operatrici o educatrici che possano motivare e sostenere le vittime nella difficile decisione di uscire?

Le buone intenzioni delle istituzioni non bastano, anzi servono a poco se non si confrontano: si dice che il fenomeno della prostituzione è cambiato, ma come mai i mutamenti lasciano intatta la realtà dello sfruttamento e come mai il mutamento non è legato alla affermazione della giustizia e della legge, agli efffetti delle normative, ma ad altro? L’ineficacia degli interventi diventa un elemento di complicità con le mafie e la microcriminalità che approffittano proprio di questa aleatorietà dei servizi.

Senza offesa per chi lavora e lavora certo con serietà, molte cose devono essere cambiate. Isoke e le sue amiche non hanno la forza di farsi ascoltare di più, ma da parte dei servizi non c’è nessuna intenzione neppure di provare ad ascoltare la loro voce.

Nessun commento:

Posta un commento