mercoledì 28 ottobre 2009

SULLA TEOLOGIA FEMMINISTA

intervista a GERMAN GUTIERREZ

Vuoi spiegarci cosa significa la nuova lettura della Bibbia da parte del movimento femminista ed anche da parte dei movimenti indigeni? Vi è stata una rottura epistemologica con la lettura della Bibbia della teologia della liberazione?

Inizialmente ci ci fu una lettura della Bibbia alla ricerca di una parola di speranza nei confronti della discriminazione che subivano le donne. Pertanto si trattava di una lettura biblica con l’obiettivo di estrapolare dalla Bibbia contenuti di liberazione per la lotta delle donne. Egualmente fecero gli indigeni, le comunità nere, i contadini e, più recentemente, le comunità gay. Inizialmente si cercava di trovare nella parola della Bibbia una risposta alle necessità di un gruppo determinato di popolazione. Con il passare degli anni questi gruppi si resero conto che non potevano continuare a leggere i testi biblici, o non potevano continuare a studiare la teologia, con l’interesse di un gruppo determinato mantenendo l’epistemologia europea o l’epistemologia sistematica e universalista dei teologi della liberazione. Scoprirono per esempio che la teologia della liberazione aveva le sue basi nelle scienze sociali di matrice strutturalista, in una concezione economica universalista, che ostacolava una lettura più autentica rispetto alle necessità che ogni gruppo aveva. Fu così che si passò dalla teologia femminista della liberazione alla lettura della Bibbia con gli occhi delle donne, alla ricerca di una epistemologia nuova, di un nuovo criterio di lettura dei testi e di una riflessione teologica più adeguata e appropriato alla realtà delle donne. Si resero quindi conto che la loro teologia non era solo un’applicazione di una teologia universale di liberazione critica alla problematica delle donne, ma vi era una epistemologia femminista, una maniera di vedere il mondo da parte delle donne differente da quello degli uomini. Di conseguenza negli anni ’90 hanno preso il loro posto con una teologia femminista non come “sezione femminile” di una teologia della liberazione già definita negli anni ’60 e ’70, ma come un’altra teologia liberatrice che dialoga con la teologia della liberazione classica, che però identifica con alcuni tratti di patriarcato e di universalismo della ragione che esse non accettano perché pensano che vi sia una razionalità femminile altra rispetto ad una maschile. Così fecero anche gli indigeni e le comunità nere.

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