sabato 28 febbraio 2009

MARTIN, LE RONDE E LA GIUSTIZIA IN AFRICA

(pubblicato su "Il Mattino di Padova" sabato 28 febbraio)


Davanti a un african shop di via Avanzo, Martin, 26 anni, ghanese, non sembra affatto preoccuparsi dell'arrivo delle ronde, che potrebbero ulteriormente disturbare i traffici illeciti di molti abituali frequentatori della stazione e dintorni. “Non hai paura delle ronde?” gli chiedo in tono provocatorio. “Solo di Dio ho paura” mi risponde immediatamente, tenendo la bottiglia di birra in mano. La proposta di coinvolgere i cittadini stessi a sorvegliare alcune zone “calde” della propria città, in aggiunta al servizio normalmente svolto dalle Forze dell'Ordine, sembrerebbe un invito alla partecipazione e alla corresponsabilità, così come accade in molte civiltà non ancora occidentalizzate. “Anche in Africa, nel villaggio dove sono nato e cresciuto – prosegue il ghanese - le leggi vengono fatte rispettare dagli abitanti stessi. La polizia esiste, ma arriva sempre dopo, quando la giustizia è già stata fatta!”
Mentre parla, Martin apre il suo portafogli, estrae una foto di qualche anno fa e me la mostra: “Vedi, questi uomini per terra sono stati giustiziati dalla gente del villaggio perchè hanno rubato, rapito e ucciso molte persone. I loro cadaveri sono rimasti lì, sulla piazza centrale, per alcuni giorni perchè tutti, compresi i bambini, potessero capire la lezione. Chi non rispetta le leggi verrà punito. Tra loro purtroppo c'era anche mio zio”.
Rimango particolarmente scosso dal suo racconto e dai metodi educativi adottati nel suo villaggio, ma credo di intravvedere alcune differenze tra i due sistemi culturali. Nell'Africa dei villaggi, dove il bene della comunità è più importante del bene del singolo individuo, dove la famiglia non si riduce a stretti legami di sangue, lo schiaffo di un padre o le botte di un vicino di casa feriscono e insegnano di più di una manganellata del polizziotto di turno. Nell'Italia delle città sempre più multietniche, delle relazioni familiari in crisi, dell'individualismo e dello sradicamento, si è perso quello spirito comunitario tra inquilini di uno stesso condominio o residenti di una via o di un intero quartiere.
“Secondo te, da quali motivazioni saranno mossi i volontari che formeranno le ronde?” Martin abbassa la testa per qualche secondo, poi mi risponde: “Mi sento indignato dal comportamento di alcuni miei fratelli africani che hanno rovinato la nostra reputazione. Ma ho paura che la rabbia di molti cittadini padovani non porti a nulla, se non a ulteriore violenza. La vera battaglia non è tra padovani e stranieri ma tra onesti e delinquenti”. Parole saggie di un vero panafricano, che si disperdono nel vento dell'ignoranza e si confondono tra i rumori assordanti di propagande passeggere e di eccezioni che confermano pregiudizi. Se un volontario potrà dare una lezione a un immigrato incivile, potrà una maestra dare uno schiaffo ad un alunno maleducato? Martin sorride e mi saluta con una pacca sulle spalle.

giovedì 19 febbraio 2009

VIAGGIO IN CAMERUN


Lungo le strade di terra rossa...
incontrare e incontrarsi...
dal 31 maggio al 15 giugno 2009

Promotori e accompagnatori
-Federico Bollettin, scrittore e operaio, ha frequentato l'Istituto Interculturale di Montreal (Canada), collabora come opinionista per “il Mattino di Padova”, ed è membro del consiglio direttivo di Macondo ONLUS.
-Eliot Ngounou, comerunese, laureato in matematica, mediatore culturale nella Riviera del Brenta (VE), lavora come operaio al mercato agroalimentare di Padova ed è membro del consiglio direttivo di Migramente, associazione interculturale.
- Macondo ONLUS, associazione per l'incontro e la comunicazione dei popoli, con sede a Pove del Grappa (VI), reg. reg. veneto cod. VI0224, visita il sito www.macondo.it

Scopo del viaggio
Lo scopo del viaggio è, prima di tutto, quello di conoscere uno stato africano, non-raccontato dal mondo occidentale, con uno sguardo che cerca di vedere oltre la prospettiva assistenzialista.
Il Camerun gode attualmente di una situazione politica tranquilla, priva di guerre di religione o lotte civili.
Inoltre sarà l'occasione per continuare il rapporto di collaborazione con un gruppo di giovani di un villaggio per la realizzazione del “progetto Ngambè Tikar” che prevede la costruzione di una casa, sede per le associazioni locali (Association des Jeunes pour le Dèveloppement e Association pour l'enfance desheritee et handicapee).

Requisiti fondamentali
Spirito di adattamento
Sufficiente maturità relazionale
Svuotamento delle proprie verità per accogliere il “diverso” fuori e dentro di sé

Programma del viaggio
Domenica 31 maggio: Partenza da Venezia alle 9.50 e arrivo all'areoporto di Douala alle 19.25, sistemazione presso un istituto missionario francese “Procure Generale des Missions Catholiques” (+237.3422797).
Lunedì 1 giugno Visita alla città, al mercato e al porto. Incontri di carattere culturale all'università, momenti di condivisione. Douala by night.
Martedì 2 Partenza per la costa, a Limbè, e sistemazione presso l'hotel Seme (www.semebeach.com). Recapito telefonico +237.77934546
Mercoledì 3 Giornata in spiaggia, tra sabbia color nero e acqua minerale limpidissima.
Limbè by night
Giovedì 4 Camminata nei villaggi di pescatori e ritorno a Douala
Venerdì 5 Partenza per Yaoundè e intervista alla radio RTS www.cameroonvoice.com
Sabato 6 Visita alla città e partecipazione ad una festa di matrimonio
Domenica 7 Partenza per Ngambè Tikar, arrivo e sistemazione. Recapito telefonico di P. Jacques Yanga, +237.99334060
Lunedì 8 Saluto del capo del villaggio e incontro con i giovani dell'associazione “Association des Jeunes pour le Dèveloppement” per organizzare i lavori
Martedì 9 Visita all'ospedale, alla segheria e ai luoghi di disboscamento
Mercoledì 10 Viaggio dentro alla foresta e incontro con una comunità di pigmei
Giovedì 11 Vita in famiglia
Venerdì 12 Vita in famiglia e serata di festa
Sabato 13 Ritorno a Douala
Domenica 14 Verifica finale dell'esperienza e alle 22.40 partenza dall'areoporto di Douala
Lunedì 15 Arrivo a Venezia alle 9.00

Note tecniche
-Il gruppo sarà composto da 12 persone max, per facilitare gli spostamenti e la comunicazione tra i partecipanti. L'iscrizione terminerà all'esaurimento dei posti.
-Il prezzo complessivo dell'esperienza è di 1400 euro (volo + assicurazione + visto + vitto e alloggio + spostamenti interni)
-É obbligatorio il vaccino contro la febbre gialla da inserire dentro al passaporto.
-Saranno previsti 2 incontri di preparazione a Padova, tra marzo e maggio.

JEAN-MARC ELA, MORTO IN ESILIO

La morte del teologo e sociologo africano, p. Jean-Marc Ela, avvenuta il 25 dicembre scorso, non ha avuto molta risonanza se non a livello locale, in Camerun, suo Paese natale, e su qualche sito internet continentale.
Dal 1995 Ela viveva in volontario esilio in Canada (insegnava sociologia all'Università di Laval, Montreal): se fosse rimasto a Yaundé, probabilmente sarebbe stato ucciso, come il suo collega gesuita p. Engelbert Mveng, assassinato qualche mese prima da una setta segreta legata ai poteri per "impossessarsi" magicamente delle sue capacità intellettive e, fattualmente, del suo cervello.
La sua feconda opera teologica – ricordiamo qui La mia fede di africano, Il grido africano, Ecco il tempo degli eredi e Ripensare la teologia africana (sintesi sistematica del suo pensiero, del 2003) – è stata tutta tesa all'inculturazione in Africa del messaggio cristiano e alla liberazione dell'uomo africano dalla dipendenza culturale ed economica dell'Occidente.
Rimproverava alla Chiesa del suo Paese di aver adottato un modello di fede che ignora le necessità dei popoli africani. Chiamò la sua ricerca la "teologia sotto l'albero" convinto com'era che non fosse da insegnare nel chiuso delle aule universitarie, ma ad un pubblico vasto e anche illetterato.
Scompare con lui un grande studioso e un grande profeta. Egli è stato conosciuto soprattutto fuori dal suo Paese. In Camerun i vescovi gli hanno sempre tagliato la strada impedendogli di insegnare all'Università Cattolica o nei vari seminari. Visse in Camerun immerso completamente nella vita dei più poveri.
I suoi libri sono sorsate di ossigeno evangelico, una finestra aperta sull'Africa. Se n'è andato il giorno di Natale del 2008 e fino alla fine ha lavorato e studiato per l'Africa. Aveva compiuto 72 anni. I suoi libri resteranno preziosi per lunghi anni. La chiesa cattolica ufficiale che esalta gli obbedienti non ha detto una parola per un profeta di questo spessore umano ed evangelico.

Nei prossimi giorni riporterò su questo blog alcuni suoi recenti interventi.

martedì 17 febbraio 2009

LA VITA VIENE DALLA TERRA di Frei Betto

Dobbiamo cancellare molte idee dalla nostra testa. Per esempio, l'idea che noi esseri umani siamo al di sopra della natura. Un'idea che deriva da una lettura errata del libro del Genesi. Molti di noi hanno appreso a catechismo che Dio creò il mondo in sette giorni e che il sesto giorno creò l'uomo e la donna perché amministrassero quello che aveva creato nei primi cinque. Non abbiamo tenuto presente il significato dei nomi di Adamo e di Eva. Adamo significa terra, Eva significa vita. Cosa vuol dire con questo la Bibbia? Che la vita umana viene dalla terra, che non ci troviamo al di sopra di essa. Noi siamo emersi dalla creazione divina o, detto altrimenti, da 14 miliardi di anni di evoluzione dell'universo. Tutto quello che c'è nel nostro corpo in termini di atomi, i quali formano le nostre molecole che a loro volta costituiscono le nostre cellule, è esattamente uguale a quello che c'è in questa vegetazione: si tratta degli stessi atomi che costituiscono le molecole di questo palco, gli stessi atomi che compongono tutte le stelle dell'universo. Perché questo miracolo della vita di ciascuno di noi sia stato possibile, si è resa necessaria un'evoluzione di 14 miliardi di anni. In questo processo l'essere umano è recentissimo: se noi racchiudessimo l'evoluzione dell'universo in un anno, dal primo gennaio al 31 dicembre, la vita apparirebbe il 9 settembre: l'universo si sarebbe evoluto per otto mesi per generare questo miracolo chiamato vita. L'ossigeno è un gas mortale: i grandi transatlantici hanno vita breve perché si ossidano. Ma in natura è avvenuto questo miracolo: le cellule hanno imparato a trarre vita da un gas mortale. Perché è proprio l'ossigeno che ci alimenta. È come se qualcuno traesse salute dal fumare crack! E in questo processo evolutivo concentrato in un anno, la vita umana apparirebbe l'ultimo minuto del 31 dicembre, circa 8 milioni di anni fa. Il nostro problema è che noi separiamo quello che non è mai esistito separato: non c'è l'essere umano da una lato e la natura dall'altro, l'essere umano è un essere naturale.

VIOLENZA ALLE DONNE

In un contesto di insicurezza (in parte reale, in parte enfatizzata dai media e da settori della politica), di continua emergenza e paura per azioni terroristiche e per le contraddizioni provocate dalla nuova dimensione dei flussi di immigrazione, nel dibattito pubblico la matrice della violenza patriarcale e sessuale è stata spesso riferita a culture e religioni diverse dalla nostra. Molte voci però hanno insistito giustamente sul fatto che anche la nostra società occidentale non è stata e non è a tutt'oggi immune da questo tipo di violenza. E' anzi possibile che il rilievo mediatico attribuito alla violenza sessuale che viene dallo "straniero" risponda a un meccanismo inconscio di rimozione e di falsa coscienza rispetto all'esistenza di questo stesso tipo di violenza, anche se in diversi contesti culturali, nei comportamenti di noi maschi occidentali.
Si è parlato dell'esigenza di un maggiore ruolo delle istituzioni pubbliche, sino alla costituzione come parti civili degli Enti Locali e dello Stato nei processi per violenze contro le donne. Si è persino messo sotto accusa un ipotetico "silenzio del femminismo" di fronte alla moltiplicazione dei casi di violenza.
Noi pensiamo che sia giunto il momento, prima di tutto, di una chiara presa di parola pubblica e di assunzione di responsabilità da parte maschile. In questi anni non sono mancati singoli uomini e gruppi maschili che hanno cercato di riflettere sulla crisi dell'ordine patriarcale. Ma oggi è necessario un salto di qualità, una presa di coscienza collettiva. La violenza è l'emergenza più drammatica.
Una forte presenza pubblica maschile contro la violenza degli uomini potrebbe assumere valore simbolico rilevante. Anche diffondendo e firmando questo Appello, convocando nelle città manifestazioni, incontri, assemblee, per provocare un confronto reale.
Siamo sempre più convinti che un filo unico leghi fenomeni anche molto distanti tra loro ma riconducibili alla sempre più insopportabile resistenza con cui la parte maschile della società reagisce alla volontà che le donne hanno di decidere della propria vita, di significare e di agire la loro nuova libertà: il corpo femminile è negato con la violenza. E invece viene anche disprezzato e considerato un mero oggetto di scambio (come ha dimostrato il recente scandalo sulle prestazioni sessuali chieste da uomini di potere in cambio di apparizioni in programmi tv ecc.). Viene rimosso da ambiti decisivi per il potere: nella politica, nell'accademia, nell'informazione, nell'impresa, nelle organizzazioni sindacali. Lo sguardo maschile non vede ancora adeguatamente la grande trasformazione delle nostre società prodotta negli ultimi decenni dal massiccio ingresso delle donne nel mercato del lavoro.
Proponiamo e speriamo che finalmente inizi e si diffonda in tutta Italia una riflessione pubblica tra gli uomini, nelle famiglie, nelle scuole e nelle università, nei luoghi della politica e dell'informazione, nel mondo del lavoro, una riflessione comune capace di determinare una svolta evidente nei comportamenti quotidiani e nella vita di ciascuno di noi."
Per controfirmare l'Appello : info@maschileplurale.it

Coscienza Maschile è una esperienza promossa da Progetto "nazionale" la ragazza di Benin City, La strada delle rose (Cremona e Verona), Cattiviragazzi (Pavia); referente claudio.magnabosco@gmail.com (Aosta)

sabato 14 febbraio 2009

I MEDICI RIFIUTANO DI FARE LA SPIA

A Padova ho sentito con grande piacere che i medici e gli infermieri, di fatto, si rifiutano di segnalare alla Questura la presenza di clandestini tra i loro pazienti, secondo il recente provvedimento. E' un gesto di grande umanità. Di fronte al dolore e alla malattia siamo tutti uguali, aldilà di pezzi di carta e timbri con marche da bollo.
Sono fiero dell'ospedale civile di Padova che, in più occasioni, si è rivelato "luogo di grande civiltà". Certo, non mancano aspetti da migliorare, come le lunghe attese per una visita che portano a preferire le cliniche private, gestite dagli stessi medici dell'azienda pubblica. Ricordo un episodio di alcuni anni fa, quando un ragazzo nigeriano, Jude, è stato sottoposto a cure costosissime (risonanza magnetica per un'aneorisma cerebrale) pur essendo clandestino.
Quando vedo che dal mio stipendio vengono trattenuti molti soldi per le tasse e so che vengono spesi per questi obiettivi, allora lo accetto volentieri perchè divento sostenitore di interventi sociali dal carattere evangelico. Nella parabola del Buon Samaritano il sacerdote e il levita non si sono fermati a soccorrere il malcapitato per paura di sporcarsi di sangue e diventare quindi impuri, anteponendo l'osservanza di una legge liturgica all'obbligo di soccorso. I medici e gli infermieri di Padova si stanno comportando invece come il samaritano che privilegia il bene della persona e trasgredisce il precetto giudaico. In effetti, provenendo dalla Samaria, non era un giudeo e quindi aveva altri principi da osservare, per fortuna. Per fortuna non esistono applicazioni assolute di principi universali. Quel moribondo ha trovato la salvezza proprio perchè ha incontrato un uomo con un diverso codice civile di quello che vige nella regione dove è stato derubato e picchiato. Che strano! Ma è proprio così...

martedì 10 febbraio 2009

SOCIAL FORUM DI BELEM

Il FORUM di Belém ha avuto un indubbio protagonista: i popoli indigeni dell'America Latina, che con 44 milioni di persone e 22 macro-etnie, rappresentano il 10% del continente ispano-brasiliano. Essi ci hanno ricordato la tragica data del 1492, quando iniziò il saccheggio globale e si inventò la teoria delle razze per giustificare l'etnocidio, la tratta degli schiavi e la persecuzione operata dagli stati repubblicani, dopo l'indipendenza dalle monarchie europee (inizi del XIX secolo). I rappresentanti dei popoli indigeni hanno diffuso una nota "Lotta globale per la Madre Terra contro la Mercificazione della Vita", che contiene molte delle tematiche discusse al SOCIAL FORUM.
Ne estraggo una sintesi telegrafica, sulla quale mi riprometto di tornare con alcune considerazioni in un altro momento.
Noi Popoli Indigeni Originari pratichiamo e proponiamo: l'unità tra Madre Terra, società e cultura. Educare la madre terra e lasciarsi educare da lei. Educazione all'acqua come diritto umano fondamentale e non la sua mercificazione. Decolonizzare il potere col "Comandare ubbidendo", autogoverno comunitario, Stati Plurinazionali, Autodeterminazione dei Popoli, unità nella diversità come altre forme di autorità collettiva. Unità, dualità, equità e complementarietà di genere. Spiritualità dal quotidiano e dal diverso. Liberazione da ogni dominazione o discriminazione razzista/etnicista/sessista. Decisioni collettive sulla produzione, mercato ed economia. Decolonizzazione delle scienze e tecnologie. Espansione della reciprocità nella distribuzione di lavoro, di prodotti, di servizi. Da tutto questo produrre una nuova etica sociale alternativa a quella del mercato e del profitto coloniale/capitalista.
Apparteniamo alla Madre Terra non siamo padroni, saccheggiatori, né venditori di lei ed oggi arriviamo ad una crocevia: il capitalismo imperialista ha dimostrato essere non solo pericoloso per la dominazione, sfruttamento, violenza strutturale ma anche perché ammazza la Madre Terra e ci porta al suicidio planetario che non è né "utile" né "necessario."

lunedì 9 febbraio 2009

CERCASI TRE CULLE

Sono nate tre gemelle a Padova,
da una coppia di pakistani che,
dopo due anni di sterili tentativi,
sono ricorsi alla fecondazione artificiale.
Tra qualche giorno le neonate usciranno dall'ospedale
e andranno a vivere al Portello con i loro genitori.
Tre bocche da sfamare,
tre corpi da vestire,
tre culle da comprare.
Se avete una culla, un passeggino o del vestiario accantonato da qualche parte,
o conoscete qualcuno che potrebbe regalarlo o prestarlo,
mettetevi in contatto con me al 329.1746567,
e farete un grande gesto di solidarietà.

sabato 7 febbraio 2009

EMERGENZA DEMOCRATICA ED ECCLESIALE

Carissima/o,
siamo in piena emergenza democratica e in pieno fondamentalismo ecclesiale, con invasioni di campo indebite e dannose all’annuncio evangelico.
Sento il bisogno di collegarmi con te, come altre volte, per trovare il modo di assumere e di esprimere la nostra responsabilità cpmune.
Il negazionismo non riguarda solo la Shoà, ma nella Chiesa riguarda anche il Concilio. Può essere l’occasione buona, come ha scritto Raniero La Valle, per riaprire il Concilio Vaticano II, invece di citarlo in qualche occasione. Hai in mente una modalità praticabile?
L’affermazione assoluta dei principi, senza alcun rapporto con i limiti della nostra umanità, porta alcuni che parlano a nome e rappresentano il Vaticano ad affermare una propria ideologia di Dio, che allontana dall’annuncio del Vangelo. Gesù sempre si è incontrato con le persone in carne ed ossa presentando un Padre dentro alla loro vita quotidiana.
Per affermare in astratto il principio della vita si eliminano le persone e la Chiesa è sentita sempre più come una nemica con cui fare i conti e scontrarsi nella società. In nome del principio astratto della vita diventiamo il paradigma di un’umanità senza misericordia. È una caratteristica costante di una Chiesa dove la verità non viene fatta con amore e perdono, ma soltanto con la definizione e l’affermazione.
Come sempre Avvenire tiene i toni e rinfocola gli atteggiamenti da crociata.
Che fare? Nella generalità dei casi, anche di fronte a queste emergenze, sono poche le persone che nella Chiesa discutono, fraternamente certo, ma sinceramente, tanto meno si espongono.
Riguardo a quanto sta succedendo nella prevaricazione di Governo sento forte la necessità di essere chiaro nei confronti di chi nella Chiesa si arroga il potere di rappresentarci e far sentire non solo la preoccupazione, ma anche il chiaro dissenso e opposizione nei confronti di scelte e di leggi che si accaniscono contro i più poveri e i più sfortunati (vedi immigrati) e nei confronti di comportamenti antiistituzionali che mettono a repentaglio l’ordinamento repubblicano e che mettono a rischio la convivenza civile e democratica.
Vedi utile ed opportuno ricollegarci a stretto giro di posta?
Aiuto! Ciao.
Albino Bizzotto (Beati Costruttori di Pace)


Carissimo Albino,
condivido le tue riflessioni, la tua sofferenza e indignazione per la situazione attuale che stiamo vivendo, come Chiesa “Popolo di Dio” in Italia. È una sensazione diffusa, presente in molti credenti, in molti laici, in molti intellettuali, in molte donne e uomini di buon senso. Gli ostacoli che secondo me impediscono singoli preti, animatori e responsabili e le relative comunità cristiane ad esporsi chiaramente sulle questioni attuali che tradiscono l'autentico messaggio evangelico sono due:
1)La paura di esprimere pubblicamente le proprie idee molto spesso in opposizione alle linee ufficiali del magistero, rischiando di perdere il posto e i relativi vantaggi economici, di essere scomunicati e ridotti allo stato laicale, di perdere inoltre la stima e l'affetto di molti fedeli praticanti.
2)L'incapacità di collaborare attorno ad obiettivi comuni e condivisi, rinunciando ad ogni forma di protagonismo e narcisismo, intrisa nel ruolo di presidenza, che ci è stato inculcato da una formazione clericale.

Perchè non organizzare una marcia, una manifestazione o un'assemblea generale, un vero e proprio Ecclesia Social Forum intitolato: “L'esodo del popolo di Dio dalla schiavitù alla libertà”?
Mi son sempre chiesto perchè un Alex Zanotelli da Napoli, un Luigi Ciotti da Torino, un Andrea Gallo e un Paolo Farinella da Genova, un Albino Bizzotto da Padova e un Giuseppe Stoppiglia da Vicenza, un Vitaliano dalla Sala da Avellino e un Giorgio de Capitani da Lecco ..., non si sono mai messi insieme, con i loro amici e sostenitori?
Mi chiedo continuamente perchè le comunità ecclesiali di base, guidate da un Franco Barbero di Viottoli a Pinerolo (To), da un Enzo Mazzi dell'Isolotto e da un Alessandro Santoro delle Piagge a Firenze, da un Giovanni Franzoni di san Paolo a Roma e dagli animatori della comunità del Cassano a Napoli ..., non si mettono insieme?
Perchè i movimenti animati da Vittorio Bellavite di Noi siamo Chiesa, da Fabio Colazzina e Luigi Bettazzi di Pax Christi, da Ettore Masina di Rete Radiè Resch, da Arturo Paoli di Oreundici..., non hanno mai sfilato insieme?

Mi son sempre chiesto perchè tutte queste persone, che stimo moltissimo e che fortunatamente mantengono ancora vivo lo spirito autentico del Vangelo nella nostra Italia, parrocchia del papa, non si sono mai messe insieme almeno una volta sfilando in Piazza san Pietro? Ci sarà un obiettivo in comune, aldilà di metodologie differenti, per il quale riunirsi tutti assieme e collaborare efficacemente? Alzando la voce, se serve, e acquistando visibilità davanti all'opinione pubblica? Il rinnovamento parte dal basso, certo, ma ha bisogno oggi, più che mai, di manifestare comunitariamente i suoi germogli davanti agli occhi di molte persone sull'orlo della crisi e dell'abbandono.

Sogno una manifestazione guidata da Carlo Maria Martini e Peppino Englaro, pubblicizzata da Giovanni Avena di Adista e da Giovanni Sarubbi di Il Dialogo, da Fabio Fazio e Corrado Augias di Rai 3, motivata da biblisti come Ortensio da Spinetoli, Giuseppe Barbaglio, Alberto Maggi, Mauro Pesce, commentata dai vaticanisti Luigi Sandri e Marco Politi, sostenuta spiritualmente da Lorenzo Milani, Primo Mazzolari, Giovanni Vannucci, Ernesto Balducci e Tonino Bello che attendono con impazienza di risorgere nelle nostre decisioni profetiche.
E le donne? Oltre alle donne che umilmente si nascondono dietro agli uomini sopra citati e che li arricchiscono umanamente e affettivamente, chiamerei Antonietta Potente dalla Bolivia e la teologa Caterina Jacobelli.
Sicuramente ho tralasciato altri personaggi carismatici, conosciuti e apprezzati dai cristiani credenti, liberi e responsabili, di tutta Italia, ma non per questo meno autorevoli e attivi sul piano della giustizia, della libertà e della democrazia.

Mi rivolgo a chi può mettersi ancora la stola dell'istituzione e ha paura di perdere sostentamento, notorietà e stima. A loro dico: pensate al bene del popolo di Dio! Mi rivolgo a chi non può o non vuole mettersi la stola dell'istituzione e crede di non avere più autorevolezza. A loro dico: mettete da parte la rabbia e rimanete fedeli alla vostra coscienza e alla vostra autentica vocazione. Mi rivolgo a chi ha una certa età ed è sganciato ormai da anni da incarichi istituzionali e si sente forse più libero di esprimersi, a loro dico: create continuità, accogliendo quelle diversità per voi difficili da accettare. Lottare per i diritti degli immigrati, degli emarginati e dei “diversi” dovrebbe includere l'impegno ad accettare modi diversi di vivere la propria sessualità anche all'interno del ministero presbiterale. Lo dico per esperienza personale e nella fedeltà a me stesso e a Dio. In questo momento non ha più senso difendere il proprio orticello, per quanto importante ed essenziale sia. Occorre alzare lo sguardo ed unirsi attorno ad un obiettivo comune, tralasciando questioni personali, con la stessa costanza e tenacia che ha caratterizzato la battaglia di Peppino Englaro.

Fraternamente,
Federico Bollettin di Padova

giovedì 5 febbraio 2009

IDENTITA' E PLURALISMO RELIGIOSO

Alcune domande ci interpellano sempre di più:

* Che ne è dell'identità religiosa di fronte alla sfida del pluralismo religioso?
* E' possibile ispirarsi a tradizioni religiose diverse?
* Si può vivere all'interno di più tradizioni religiose?
* Quali sono le sfide che il pluralismo religioso lancia all'insieme delle varie tradizioni religiose dell'umanità?

Queste questioni aperte verranno affrontate in un seminario di approfondimento

a Casalecchio: Casa per la Pace
via Canonici Renani, 8 (ex Filanda)
Domenica 15 febbraio 2009
ore 15.00 – 18.00

condurranno il seminario:
Arrigo Chieregatti
Università di Bologna - direttore dell'edizione italiana di INTERCULTURE,
rivista dell'Istituto Interculturale di Montreal

Marco Del Corso
associazione Macondo per l’incontro e la comunicazione tra i popoli

"Come non si può ridurre la persona all'individuo, la comunità alla collettività, l'identità all'identificazione, il pluralismo alla pluralità, così non è possibile ridurre la religione all'istituzione e all'organizzazione. In sintesi, non si può ridurre la Realtà e la Vita alla razionalità, anche se quest'ultima ha un posto importante."
(Robert Vachon fondatore dell'Istituto Interculturale di Montreal)

mercoledì 4 febbraio 2009

PARADOSSI SULLA VITA E SULLA MORTE

“La medicalizzazione della società ha posto fine all'epoca della morte naturale” scriveva Ivan Illich alcuni anni fa. E continua: “Oggi l'uomo più protetto dalla possibilità di stabilire la scena della propria morte è il malato in condizioni critiche”. L'attuale paradosso al quale stiamo assistendo con insofferenza è che chi non vuole morire viene continuamente minacciato, come l'indiano di Nettuno bruciato per divertimento da un gruppo di ragazzi, o il fidanzato della ragazza molestata a Padova che è stato aggredito e pestato a sangue: “Ho avuto paura di morire”, ha raccontato alla polizia. Chi vuole morire, o meglio passare ad una vita migliore, viene volutamente ostacolato. Sia da coloro che cercano di difendere un'ideologia ormai tramontata e continuamente tradita da frasi come queste, che compaiono sui necrologi, “Ne danno il triste annuncio..., è scomparsa all'affetto dei suoi cari...”, sia da coloro che, per propaganda, rinnegano le proprie abitudini quotidiane antievangeliche. La morte, secondo l'insegnamento cristiano, non è forse il passaggio ad una nuova vita? Ricordo inoltre quello che disse la presidente di un Cav (Centro Aiuto alla Vita) ad una madre equadoregna rimasta nuovamente incinta e indecisa se continuare la gravidanza oppure no: “In nome di Dio ti ordino: non uccidere!” Chi siamo noi per parlare in nome di Dio?
Il consigliere comunale di Lecco che si è sdraiato sul cofano per impedire la partenza dell'ambulanza che trasportava Eluana, si sarebbe sdraiato sulle rotaie, quattro anni fa, per impedire ai treni di trasportare carri armati e mine anti-uomo in Iraq?
Paradossi, incoerenze, ipocrisie hanno desacralizzato il sacro silenzio che dovrebbe rivestire ogni scelta libera e responsabile, contrastata e sofferta, di vita o di morte.
Da troppi anni Eluana è già stata condannata dalla Vita a non-vivere o a sopravvivere in uno stato vegetativo permanente. Negli ultimi mesi è stata condannata dall'Autorità a non morire, proprio come un condannato nel braccio della morte di Guantanamo. Sarebbe un oltraggio per l'autorità se egli si togliesse la vita prima del termine prescritto. Sarebbe un oltraggio al delirio di onnipotenza di alcune istituzioni, perdere il controllo della vita e della morte di una persona, soprattutto se la situazione è di dominio pubblico.
La morte arriva quando meno ce lo aspettiamo, è “come un ladro” ci avvisa la Bibbia, da qui l'invito a non aggiungere giorni alla vita ma Vita ai giorni. Eluana probabilmente risorgerà in tutti coloro che hanno la salute ma non vogliono vivere, che hanno la libertà ma non se ne rendono ancora conto.

lunedì 2 febbraio 2009

IL CULTO DELLA VIOLENZA

(dall'articolo di Miriam Mafai su Repubblica del 2 febbraio 2009)

Questo non è razzismo. Forse, se possibile, è ancora peggio. È puro e semplice culto della violenza. E non si corrono rischi quando la violenza non si esercita tra bande rivali ma nei confronti di chi è del tutto indifeso. La vittima allora può essere una donna che torna a casa, da sola, una sera, o una coppia appartata nella sua macchina, o un barbone italiano o straniero che dorme per terra appena protetto da una coperta o da un paio di cartoni. Un divertimento? Pare proprio di sì, un divertimento o una emozione, esaltata dai pianti della donna violentata o dalle grida di un barbone cui viene dato fuoco, dalla sofferenza di un debole che non può reagire.
Nel nostro mondo, insomma, l'aggressività, la violenza, la forza, o per lo meno una certa dose di aggressività, di violenza, di forza vengono generalmente considerate necessarie, indispensabili per avere successo.
I ragazzi di Nettuno che hanno dato fuoco a un barbone, i giovani rumeni che hanno aggredito una coppietta, chiuso l'uomo nel bagagliaio della macchina e violentato la sua ragazza, il giovane romano figlio di una famiglia di lavoratori che "per divertisse" ha violentato una ragazza conosciuta a Capodanno, ci fanno paura, ma sono figli di questa cultura. È la nostra cultura, quella che caratterizza la nostra società, che in qualche modo abbiamo costruita, che disprezza e irride alla mitezza, alla pazienza, alla solidarietà, alla debolezza, alla sobrietà.

domenica 1 febbraio 2009

PROSTITUZIONE A PADOVA


Intervista a Diega Carraretto, presidente dell'associazione Welcome di Padova,
comunità di accoglienza per ragazze vittime della tratta.

Come è mutato il fenomeno della prostituzione negli ultimi anni?
Per quanto riguarda le ragazze nigeriane non ci sono stati grandi cambiamenti, diversamente da quanto è capitato per le ragazze che provengono dai Paesi dell'Est. I loro sfruttatori hanno cercato nelle zone rurali, in campagna, ragazze con un livello di scolarizzazione molto basso e quindi molto più fragili e manipolabili. Ad esempio a Padova sono arrivate molte zingarelle minori dalla Romania. Miseria economica e miseria culturale hanno contribuito a far perdere la percezione dello sfruttamento nella mente della ragazza stessa. Non si sente più nè schiava, nè vittima. Inoltre l'entrata in Unione Europea di alcuni Paesi dell'Est ha favorito l'immigrazione e impedito l'espulsione.
In secondo luogo è cambiata la modalità di gestione delle ragazze da parte dei loro protettori, a volte fidanzati. Piano piano la violenza fisica è scomparsa per lasciar spazio a compromessi e situazioni di divertimento e di apparente libertà, un paradiso rispetto alla condizione sociale e familiare presente nei loro paesi di provenienza! Ecco come si spiega la non accettazione da parte di queste giovani ragazze di aderire a programmi di reinserimento sociale. Questi, infatti, richiedono il rispetto di regole quotidiane che vanno a mettere in discussione il loro bisogno di libertà assoluta, presunta libertà che poi ricade in realtà nel diventare vittime della stessa, creando un circolo vizioso.
Infine si sta verificando il grande esodo dalle strade verso luoghi chiusi, con tutte le conseguenze che questo fenomeno comporta.

Cosa ne pensa delle retate e delle varie ordinanze contro i clienti?
Non sono contraria alle misure forti, anzi. Il cittadino è stanco e disperato ed è giusto ascoltarlo e rispondere concretamente al suo disagio. Purtroppo le politiche sociali sono arrivate in ritardo, anche se bisogna dire che il fenomeno della tratta legata all'immigrazione è presente da non molti anni nel nostro territorio. Dico soltanto che assieme alla forma repressiva occorre un piano sociale che tenti di ridare sicurezza al cittadino, come del resto sta già facendo il comune di Padova. Non la ragazza sulla strada ma il cittadino è il vero protagonista del proprio territorio, e come tale deve essere ascoltato e compreso nei suoi reali bisogni e disagi.
Visti i cambiamenti che continuano ad evidenziarsi rispetto al fenomeno prostituivo (da outdoor ad indoor, da percezione dello sfruttamento ad assenza della percezione con presunta contrattualità), ritengo che la sola multa al cliente non basti a dare una risposta incisiva alla situazione attuale e al bisogno di sicurezza del cittadino. Quindi, di fronte all’evoluzione del fenomeno è necessaria un’altrettanta evoluzione della modalità d’intervento delle Forze dell’Ordine e del privato sociale.

Quali direzioni dovrebbero quindi prendere le nuove misure d’intervento?
Ho appena detto che la repressione degli ultimi anni ha spostato il fenomeno della prostituzione dalla strada nei luoghi chiusi, in appartamenti situati in qualunque parte della città. Di conseguenza gli interventi degli operatori sociali e delle Forze dell'Ordine dovranno raggiungere questi luoghi attraverso forme di mediazione dei conflitti territoriali. Ascoltando nuovamente le richieste dei cittadini. Ma in questo caso sarà il cittadino stesso a collaborare e segnalare la presenza di “prostituzione sommersa” nel proprio quartiere. Non potrebbe essere l'occasione giusta per una razionalizzazione degli interventi?
Inoltre gli interventi messi in atto per aiutare queste donne dovrebbero essere visti come opportunità non solo per le donne stesse, ma anche per il cittadino, poiché la denuncia della loro situazione di sfruttamento fornisce elementi fondamentali alle Forze dell’Ordine per contrastare le organizzazioni criminali e la microcriminalità, creando una ricaduta sociale sulla sicurezza di tutti i cittadini.
Certo, tutte queste strategie sarebbero inefficaci senza una sostanziale riforma della giustizia.

Vi è un coordinamento tra i vari soggetti?
Certo. Ogni mese si riunisce un tavolo di lavoro operativo con le istituzioni e il privato sociale. Inoltre esiste già da tempo una collaborazione tra le varie associazioni attraverso la rete. Questo tavolo di coordinamento gestito dal Comune di Padova sta cercando di entrare in diretto contatto con la realtà territoriale attraverso la realizzazione di azioni di mediazione dei conflitti. L’obiettivo è quello di aprire uno spazio di ascolto, dialogo e confronto in cui il cittadino abbia la possibilità di diventare protagonista. A tal fine è stato attivato degli specifici numeri di telefono a cui segnalare situazioni di disagio rispetto alla presenza della realtà prostituzionale nel proprio quartiere. I numeri a cui far riferimento sono: 049/8752638 (dalle 10.00 alle 18.00) e 345/3584338 (dalle 10.00 alle 22.00).
E questo sarà il futuro per quel che riguarda la questione sicurezza nel nostro territorio.

LETTERA SU "BIANCO E NERA"

Caro Federico, e per me anche don Federico,
sono una mamma, non più tanto giovane, e sono anche una catechista (parola che non mi piace, ma purtroppo usata..) della comunità dei frati cappuccini di Vicenza. Ho appena finito di leggere il tuo libro, molto bello, vivo, pulsante di vita, e voglio dirti grazie, un grazie dal cuore per tanti motivi: è un libro vero, con parole uscite dal cuore e non da concetti, ma per questo non istintivo, ma maturato, frutto di un lungo, sofferto eppur liberante dialogo interiore; ho ammirato il tuo coraggio non solo della tua scelta, ma particolarmente dell’analisi del tuo modo di relazionarsi con le persone, dal tuo cercare fino in fondo di essere te stesso, e di vivere il vangelo in verità; e ho imparato tante cose….Mi ha colpito molto anche il racconto della tua maturazione per imparare ad “accogliere” la diversità, perché non ti sei fermato alla superficie ma hai scavato dentro alle nostre paure e ai nostri sensi di superiorità; anche per questo te ne sono grata….
Non entro in merito alle posizioni della Chiesa, perché so che sarei molto più polemica di te; ti trascrivo invece le parole di Giovanni Vannucci , un frate Servo di Maria che quasi trenta e più anni fa scriveva:
“La distinzione fra ateo e credente non è una distinzione di linguaggio, ma di essenza, cioè l’uomo avido di potere, anche se è religioso, anche se è Papa, è ateo, perché desidera qualcosa che è fuori dell’onda di Dio. L’uomo desideroso di successo, di affermazione di se stesso, di ricchezza, che cerca di strutturare il suo Ordine come una potenza terrena, o che cerca di rendere la Chiesa una potenza che ha la dialettica e la politica propria degli altri stati, quest’uomo non è religioso, perché cerca il potere e chi cerca il potere, proprio strutturalmente, ontologicamente, è ateo; mentre chi cerca di servire, chi ama l’uomo e si impegna a dare all’uomo la possibilità di crescere nella verità, nella conoscenza e nella libertà, costui, anche se dice di essere ateo, ontologicamente è credente.”
Ecco io mi considero atea di fronte alla nostra Chiesa, perché credo in un Dio che è amore senza etichette o ruoli.
Caro Federico, con questo libro mi hai donato tante cose importanti e profonde, non da ultimo l’immagine dell’essenza pura di un amore fra un uomo e una donna, il sogno di Dio.
Concludo con il mio augurio più sincero, con la mia preghiera perché tu possa continuare la tua strada camminando sempre il sentiero della verità, con te stesso e con gli altri, e dell’amore.
A te e a tutta la tua meravigliosa famiglia un abbraccio di bene profondo e la benedizione di pace profonda.
Anna

venerdì 30 gennaio 2009

MATRIMONI MISTI - INTEGRAZIONE ASSICURATA


( di Federico Bollettin da "Il Mattino di Padova" di venerdì 30 gennaio 2009)



L'amore non ha confini, nè culturali nè territoriali. É come il vento, libero di soffiare dentro qualsiasi struttura sociale e modello mentale. Mani sempre più multietniche si scambiano anelli d'oro nella sala del municipio o dentro ad una chiesa e sfilano orgogliose nelle piazze e lungo le strade, vincendo quel pizzico di vergogna, ultimo retaggio del campanilismo veneto “donne e buoi dai paesi tuoi”.

Le recenti statistiche effettuate dal Comune confermano il notevole aumento di matrimoni misti celebrati a Padova. Dal 1997 al 2006 la percentuale si è quadruplicata passando dal 4,85% al 19,23% del totale dei matrimoni con almeno un coniuge di cittadinanza straniera. Del resto se aumenta la presenza di stranieri nella nostra città, di conseguenza cresce la probabilità matematica che il proprio partner non parli bene il dialetto veneto o l'italiano. Sono più frequenti i casi in cui è la donna ad essere straniera e in quanto tale diventa attore principale per una reale integrazione, fa da anello di congiunzione e da sintesi. Nel linguaggio biblico il termine “conoscere” significa amare, si conosce bene soltanto chi si ama. Per amore si può apprendere più facilmente e più velocemente.

Oltre a non avere confini, l'amore non ha fini, ed è difficile perciò individuare le motivazioni che spingono un padovano ad intrapprendere una relazione affettiva con una persona straniera e successivamente a sposarla, e viceversa. Attrazione fisica, bisogno di stabilità, ricerca di particolari valori, soluzione alle precedenti delusioni familiari, pura coincidenza. “Mi piace e basta!” rimane la risposta più gettonata. Se ha uno scopo, per l'extracomunitario potrebbe essere quello di ottenere i documenti, per l'italiano risolvere il problema della solitudine. Il fatto sta che il rapporto si gioca effettivamente sulla base del carattere personale che viene sì condizionato dalla cultura di provenienza ma che la trascende. “All'inizio mi sembrava impossibile poter dividere la mia vita con una donna moldava – afferma Marco, operaio di professione – poi mi sono accorto che avevamo molti aspetti in comune. Anzi ho riscoperto il valore della famiglia”. La fedeltà e l'onestà, la responsabilità e il rispetto sono valori universali, propri di qualsiasi cultura che non sia però espressione di ideologie totalitarie o fondamentalismi religiosi. Pregiudizi e luoghi comuni da entrambe le parti assegnano spesso etichette che, generalizzando, considerano tutte le donne rumene false, le nigeriane prepotenti, le latinoamericane infedeli, e così via. Per le straniere invece le donne italiane sono troppo autoritarie, ansiose e gelose. Nell'immaginario comune la coppia mista è quella formata principalmente da una persona di pelle bianca e un'altra di pelle nera. Eppure, andando oltre l'apparenza dello sguardo fisico, può esserci più diversità tra due persone dello stesso colore della pelle.

Grazie alle coppie miste e alle amicizie interetniche, l'integrazione è assicurata. Si tratterà di capire quali siano i compromessi per non annullare o appiattire le diversità culturali, ma per renderle preziose occasioni. E accettare che non esiste una cultura predominante che assorba integralmente le minoranze senza contaminarsi e arricchirsi.

martedì 27 gennaio 2009

APRIAMO GLI OCCHI!


... E TIRIAMO FUORI LA LINGUA!


Migliaia di notizie ci piombano addosso continuamente, ma soltanto alcune meritano attenzione e credibilità. Sulla rete ormai c'è tutto, possiamo trovare il pensiero di chi non trova spazio nelle televisioni o sui giornali. Notizie che screditano istituzioni potenti e politici corrotti. Perchè non siamo massa, folla da stadio. E neppure eterni bambini disposti a mentire in cambio di una caramella. Siamo adulti, liberi e responsabili. Con il diritto di pensare e di decidere.

SIAMO TUTTI CLANDESTINI

Siamo tutti clandestini,
precari e viventi
con un contratto a tempo determinato,
nei confronti di tutti,
anche di noi stessi.
Questa terra ci ospita come eterni stranieri,
come perenni pellegrini.
"Nudo uscii dal ventre di mia madre
e nudo vi ritornerò".
Le montagne, per fortuna, sono ancora più forti dell'uomo
che vuole scalarle a tutti i costi.
"Siete troppo curiosi
voi occidentali"
mi ripete mia moglie africana.
A Lampedusa attualmente
di clandestini ce ne sono 1800.
Stretti, ammassati come bestie,
in attesa di essere schedati, espulsi, rimpatriati o ridistribuiti.
Cosa cercano in Italia?
Vorrei salire su quei barconi
abbandonati lungo le coste di un benessere fittizio
e compiere il viaggio inverso.
"La terra è la nostra madre",
si può vendere o comprare la propria madre?

GIORNATA DELLA MEMORIA

"Sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera,
può suonare Bach e Schubert,
e poi, il mattino dopo,
recarsi come niente fosse al proprio lavoro
ad Auschwitz"
George Steiner

VIDEO CONGO. clicca qui

Questo video, di alcuni mesi fa, mostra un tragico paradosso: il sottosuolo del Congo è probabilmente il più ricco del pianeta, eppure come si fa a morire ancora di fame quando si è seduti su una montagna d'oro?

giovedì 22 gennaio 2009

VIAGGIATORI ETICI


Quando l'errare non è un errore. Il nuovo trend si chiama "Turismo etico" e il viaggiatore etico dovrebbe chiedere piuttosto "chi sostiene in vostro hotel"? e informarsi - prima di partire per l'Africa, l'Asia, le Americhe e per tutti il luoghi in cui l'industria del turismo ha spopolato ai danni della gente - se l'albergo prescelto faccia parte di una multinazionale o di un gruppo locale. I viaggiatori etici in fondo non sono molti ma sono invece tantissimi i popoli che vivono in luoghi turistici, senza che l'andirivieni di gente danarosa abbia migliorato la loro condizione. Sono quei popoli che vengono ritratti nelle baracche fotografate, a mo' di avventura, dai turisti, durante il piccolo tour in pullman con vista sulla povertà. Un invito a riflettere, non soltanto a viaggiare.


Essere ospitati nelle famiglie è un'esperienza fantastica. Così come lo è stato per molti giovani durante i viaggi in Camerun nel 2003 e nel 2007. Gli africani dei villaggi sono ancora molto ospitali, non chiedono soldi in cambio, e sono disposti a cedere il proprio letto a uno straniero sconosciuto. Lezione esemplare in questi tempi di paura e diffidenza. Certo, non hanno nulla da perdere, tutto da guadagnare.


Se penso a quelle situazioni mi assale un po' di rabbia. Gli africani che incontro a Padova spesso hanno perso quel senso di gratuità che li caratterizza. Non ci ha forse caratterizzato tutti alcuni decenni fa? Forse è il nostro ambiente che li plasma e li trasforma. Non sono disposti a fare niente per niente. Forse vedono i bianchi come persone dalle quali ricevere e basta, ingannandoli quando serve. Dopo tutto quello che i nostri antenati hanno fatto a loro! Ma l'africano non è così. Lo potrete sperimentare durante un viaggio in Africa, lontano dalle città e dalle antenne paraboliche. C'è il fango ma anche la gratuità. Non c'è l'elettricità e nemmeno l'egoismo. Per chi verrà in Camerun questa estate non mancheranno incontri arricchenti ed emozioni uniche.


lunedì 19 gennaio 2009

LETTERA DA NGAMBE' TIKAR

Dopo un po' di tempo di attesa è arrivato un "segnale di fumo" dal villaggio di Ngambè. Del resto è molto difficile comunicare con Internet! Il testo è in francese e ve lo lascio tradurre, soltanto una frase vorrei evidenziare: l'estate prossima saremo accolti calorosamente.

Chère Cecilia, je suis très ravi de recevoir l'e-mail de l'association "Macondo" .
Je viens à peine de le reccvoir. Je partage tout à fait les mots d'amitié et de fraternité que vous m'adressés . Quant à votre visite soyez en rassurés, vous serez accueillis chaleureusement. Vous pouvez vous y préparer tranquilement.
Par rapport au projet je n'ai pas encore toutes les données chiffrables , mais je veillerai de les en avoir très prochainement et vous en ferai part . D'ici là recevez le souhait de tous les meilleurs voeux de cette année qui commence à peine. Je renouvelle les sentiments d'amitié et de fraternité en Eglise-Famille de Dieu à tous les membres de votre association.
Père Jacques YANGA,
Cssp.Curé de la Paroisse Saint François d'Assise Ngambè-Tikar .
téléphone +23799334060

domenica 18 gennaio 2009

IL DOVERE DELLA VERITA'

Con dolore la Sinistra Cristiana dichiara la propria impotenza, come del resto è di tutti, di fronte alla tragedia della guerra su Gaza. È giusto fare manifestazioni di protesta, presidi, appelli e cortei, è necessario che i governi esercitino una risoluta pressione su Israele, ma non è possibile fare molto di più. Il problema supera infatti le attuali capacità della politica e forse della stessa cultura dell’Occidente. È il problema del rapporto di Israele con le nazioni, ed è quello dei rapporti delle grandi potenze mondiali, e segnatamente degli Stati Uniti, con i popoli “non allineati” e i soggetti politici non obbedienti. Perché i palestinesi possano vivere, Israele non perda se stesso, l’Occidente ritrovi la strada e ci sia la pace, tali rapporti devono essere radicalmente cambiati.
Resta però il dovere della verità, la cui efficacia politica, benché ignota ai più, è superiore a quella della propaganda e della menzogna. Tale dovere comporta che niente sia taciuto delle cose che pur nel diluvio delle informazioni restano nascoste.
(Raniero la Valle)

Perché una cosa sia chiara a tutti: l’unica speranza di porre fine alla barbarie in Palestina sta nella presa di posizione decisa dell’opinione pubblica occidentale, nella sua ribellione alla narrativa mendace che da 60 anni permette a Israele di torturare un intero popolo innocente e prigioniero nell’indifferenza del mondo che conta, quando non con la sua attiva partecipazione. Ma se gli intellettuali non fanno il loro dovere di denuncia della verità, se cioè non sono disposti a riconoscere ciò che l’evidenza della Storia gli sbatte in faccia da decenni, e se non hanno il coraggio di chiamarla pubblicamente col suo nome, che è: Pulizia Etnica dei palestinesi, mai si arriverà alla pace laggiù. E l’orrore continua. Essi, di quegli orrori, hanno una piena e primaria corresponsabilità.
(Paolo Bernard)

Forse sarebbe ora di ascoltare chi la vede diversamente da noi senza sparargli in viso.
Forse sarebbe ora di imparare dalla storia e non diventare carnefici dopo essere stati vittime.
Forse sarebbe ora di appoggiare chi vuole la pace e non vendere armi o finanziare chi vuole la guerra.
Forse sarebbe ora di vedere film ebraici come ''Walzer con Bashir'' e capire quanto solo un israeliano possa osare dire certe cose senza essere tacciato di antisemitismo.
Forse sarebbe ora di chiederci SE siamo democratici (allora anche Hamas ha vinto le elezioni...) e se stiamo al gioco solo se ci conviene...
Forse sarebbe ora di togliere il diritto di veto all'ONU...
Forse sarebbe ora di dire che l'integralismo, sia esso musulmano, cristiano, ebraico, induista, ateo, comunista, fascista, altri non è che odio.
Forse sarebbe ora di cambiare, a partire da noi stessi, per l'umanità.
Forse.
(Sherabdorje)

sabato 17 gennaio 2009

KING, LULA E OBAMA

ORA TOCCA A NOI!

[...]E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho un sogno. E' un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali. Io ho un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza. [...] Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho un sogno, oggi!
(Parte del discorso pronunciato da Martin Luther King a Washington il 28 agosto 1963)


Sono felice e con la coscienza tranquilla. Ho fatto tutto quello che potevo e ho girato il Brasile con un messaggio di integrazione nazionale e di sviluppo regionale. [...] Io penso che il Brasile stia vivendo un momento magico di consolidamento del processo democratico. [...] Sono grato in questo momento alle persone che si sono fidate di me, al popolo brasiliano che in vari momenti è stato indotto ad avere dei dubbi contro il governo. Ma il popolo sapeva distinguere quello che era vero da quello che era falso. [...] Continueremo a governare il Brasile per tutti ma continueremo a dare più attenzione a coloro che hanno più bisogno. I poveri avranno la preferenza del nostro governo.
(Parte del discorso pronunciato da Luiz Inacio Lula da Silva a Brasilia il 30 ottobre 2006, alla vittoria del suo secondo mandato alla presidenza del Brasile.)


[...]In queste elezioni si sono viste molte novità e molte storie che saranno raccontate per le generazioni a venire. Ma una è nella mia mente più presente di altre, quella di una signora che ha votato ad Atlanta. Al pari di molti altri milioni di elettori anche lei è stata in fila per far sì che la sua voce fosse ascoltata in questa elezione, ma c'è qualcosa che la contraddistingue dagli altri: Ann Nixon Cooper ha 106 anni.

È nata a una sola generazione di distanza dalla fine della schiavitù, in un'epoca in cui non c'erano automobili per le strade, né aerei nei cieli. A quei tempi le persone come lei non potevano votare per due ragioni fondamentali, perché è una donna e per il colore della sua pelle. Questa sera io ripenso a tutto quello che lei deve aver visto nel corso della sua vita in questo secolo in America, alle sofferenze e alla speranza, alle battaglie e al progresso, a quando ci è stato detto che non potevamo votare e alle persone che invece ribadivano questo credo americano: Yes, we can. Nell'epoca in cui le voci delle donne erano messe a tacere e le loro speranze soffocate, questa donna le ha viste alzarsi in piedi, alzare la voce e dirigersi verso le urne. Yes, we can. Quando c'era disperazione nel Dust Bowl (la zona centro meridionale degli Stati Uniti divenuta desertica a causa delle frequenti tempeste di vento degli anni Trenta, NdT) e depressione nei campi, lei ha visto una nazione superare le proprie paure con un New Deal, nuovi posti di lavoro, un nuovo senso di ideali condivisi. Yes, we can. Quando le bombe sono cadute a Pearl Harbor, e la tirannia ha minacciato il mondo, lei era lì a testimoniare in che modo una generazione seppe elevarsi e salvare la democrazia. Yes, we can. Un uomo ha messo piede sulla Luna, un muro è caduto a Berlino, il mondo intero si è collegato grazie alla scienza e alla nostra inventiva. E quest'anno, per queste elezioni, lei ha puntato il dito contro uno schermo e ha votato, perché dopo 106 anni in America, passati in tempi migliori e in ore più cupe, lei sa che l'America può cambiare. Yes, we can. Oggi abbiamo l'opportunità di rispondere a queste domande. Questa è la nostra ora. Questa è la nostra epoca: dobbiamo rimettere tutti al lavoro, spalancare le porte delle opportunità per i nostri figli, ridare benessere e promuovere la causa della pace, reclamare il Sogno Americano e riaffermare quella verità fondamentale: siamo molti ma siamo un solo popolo. Viviamo, speriamo, e quando siamo assaliti dal cinismo, dal dubbio e da chi ci dice che non potremo riuscirci, noi risponderemo con quella convinzioni senza tempo e immutabile che riassume lo spirito del nostro popolo: Yes, We Can. Dio vi benedica e possa benedire gli Stati Uniti d'America.

(Parte del discorso pronunciato da Barak Obama a Chicago il 5 novembre 2008)


Ora di dadi sono stati lanciati! E non dobbiamo chiederci cosa ha fatto M. Luther King, cosa sta facendo Lula o cosa farà Barak Obama. Dobbiamo chiederci che cosa ciascuno di noi farà per rafforzare le basi popolari della governabilità del proprio Paese. Non illudiamoci che sarà una persona, da sola, a cambiare le sorti di questo mondo.

giovedì 15 gennaio 2009

FILM SU ANNA POLITKOVSKAJA


Anna Stepanovna Politkovskaja (New York, 30 agosto 1958 - Mosca, 7 ottobre 2006) è stata una giornalista russa molto conosciuta per il suo impegno sul fronte dei diritti umani, per i suoi reportage dalla Cecenia e per la sua opposizione al Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.
Nei suoi articoli per Novaja Gazeta, quotidiano russo di ispirazione liberale, la Politkovskaja condannava apertamente l'Esercito e il Governo russo per lo scarso rispetto dimostrato dei diritti civili e dello stato di diritto sia in Russia che in Cecenia.
Il 7 ottobre 2006, Anna Politkovskaja viene assassinata nell'ascensore del suo palazzo, mentre stava rincasando. La sua morte, da molti considerata un omicidio operato da un killer a contratto, ha prodotto una notevole mobilitazione in Russia e nel mondo, affinché le circostanze dell'omicidio venissero al più presto chiarite.
Anna Politkovskaja, martire per la libertà d'informazione, ha molto da insegnarci. In un periodo in cui i mezzi d'informazione pubblica sono largamente manipolati da interessi politici particolari, come vediamo per l'occupazione israeliana a Gaza, chiediamo per i giornalisti il coraggio di riportare i fatti nella loro oggettività. Svelando, se occorre, giochi sporchi, accordi compromettenti, interessi individuali dannosi al bene comune. Ormai, chi ci racconta la verità?
Lunedì 19 gennaio 2009, alle 20.30, verrà proiettato per la prima volta in Italia, il documentario che svela i retroscena della morte della giornalista russa. Presso il centro culturale san Gaetano, in via Altinate a PADOVA. Introducono la serata Francesca Sforza, corrispondente da Mosca de La Stampa, e Rita Pennarolo, condirettore de La voce delle voci.

L'AFRICA IN GUERRA


Nonostante la guerra a Gaza ci stia impressionando, soprattutto per le scene di centinaia di vittime innocenti, nel mondo altre guerre continuano a spargere sangue. Non parliamo dell'Africa! L'Africa appare costantemente in guerra. Anche se la televisione non sempre ne parla, del resto i nostri occhi si abituano in fretta a scene ripetitive! Fame, profughi, crisi senza fine e soprattutto senza cause evidenti. Per spiegarli si fa spesso ricorso ad antichi retaggi di conflitti "ancestrali". La realtà è ben diversa: nelle guerre del continente si giocano - spesso con armi modernissime - lotte di potere e strategie di mercato. "Signori della guerra" e imprese, potenze straniere e politici locali si scontrano e si alleano, alternano violenza e trattative, pianificando strategie con l'uso di deliberate tecniche di consenso: l'appartenenza a un popolo, la lingua, la cultura, la religione diventano così strumenti per mobilitare le coscienze e legittimare le peggiori atrocità. E mentre il continente continua a cedere le proprie risorse a vantaggio di pochi, la guerra diventa parte di un sistema economico che si colloca in pieno all'interno dei processi di mondializzazione.

Gli africani stessi che incontro, mi parlano di guerre legate alla differenza di religione o di tribù. Balle! E anche se fosse, un conto è combattere con armi leggere, un conto è farlo con fucili, bombe e carriarmati. Il mercato delle armi non è mai in crisi, e fa comodo a qualcuno far nascere e alimentare conflitti. Altrimenti le armi scadono!

Vi invito a leggere il libro di Alberto Sciortino, "L'africa in guerra. I conflitti africani e la globalizzazione", Ed. Baldini Castoldi Dalai, 2008.

lunedì 12 gennaio 2009

LE PAROLE SEPOLTE DI UN CONTINENTE SCONOSCIUTO



di Pedro Miguel
Angolano, filosofo e antropologo, docente presso l’Università degli Studi di Bari

Quando i conquistatori sono giunti per la prima volta nel continente africano, l’Africa era già in piedi: mangiava, parlava, aveva la propria cultura. Un aspetto della sua cultura era il culto della parola. Ma appena giunti, i navigatori, gli scopritori, i conquistatori, pensando che la loro cultura fosse l’unica cultura degna di questo nome, cominciarono a distruggere la cultura africana per imporre la loro. Così facendo, sacrificarono anche le parole africane, che vennero sepolte. Ma l’africano non si rassegnò alla perdita delle sue parole e negli anni ’60 cominciò a manifestare apertamente il proprio dissenso, a reagire contro la soppressione delle sue parole. I capi africani cominciarono nuovamente a parlare: Hailé Selassié, Kwame Nkrumah, Léopold Sedar Senghor, Agostino Neto, Amilcar Cabral. Questi autori cominciarono a protestare finché finalmente giunsero le sospirate indipendenze. Essi credevano che con l’indipendenza politica le parole africani avrebbero ripreso vita e forza, ma dovettero ben presto ricredersi. Al tempo della lotta per l’indipendenza i capi propugnavano i valori tradizionali africani: ospitalità, rispetto della parola, rispetto dell’anziano, del bambino, solidarietà, condivisione. Il popolo condivideva i loro discorsi, li applaudiva, li seguiva. Ma. una volta raggiunta l’indipendenza, molti capi africani cambiarono discorso. Accantonarono i valori tradizionali africani e assunsero i valori del mondo occidentale, non quelli positivi, ma quelli della minoranza occidentale corrotta: individualismo, egoismo, corruzione, mancanza di condivisione, ecc.
Così oggi la parola dei miti, la saggezza ancestrale, i proverbi, i racconti rischiano di essere nuovamente sepolti, con l’aggravante della connivenza degli africani. L’Africa perde le sue parole con la connivenza degli stessi africani.
Che fare allora? Bisogna fecondare un terreno nel quale le parole africane possano svilupparsi e crescere. Questo terreno può essere solo quello che ha sempre caratterizzato il popolo africano: la democrazia universale. Sembra decisamente fuori luogo parlare di democrazia in Africa, ma così non è e voglio brevemente illustrare quest’aspetto.
La democrazia è il valore che è stato maggiormente sottolineato anche in Occidente nel corso del XX secolo, che ha visto la nascita e la morte del fascismo, del nazismo, lo scoppio di due guerre mondiali, il crollo dell’ideologia sovietica. Uno dei principali eventi dell’Europa del XX secolo è stato certamente quello della ripresa e del consolidamento della democrazia.
Non è certamente facile parlare di democrazia nel contesto africano e soprattutto di questi tempi. Anzitutto, perché si potrebbe obiettare che la democrazia è un concetto occidentale e che è in qualche modo una sorta di imposizione in Africa. In secondo luogo, perché si dubita della possibilità di instaurare la democrazia in paesi poveri. Prima di rispondere a queste due obiezioni, indico brevemente ciò che io intendo per democrazia. Nel volume Democrazia degli altri, Amartya Sen, premio Nobel per l’economia (1998), così definisce la democrazia: «La democrazia è la partecipazione popolare alle discussioni dei problemi di governo». Perciò, la democrazia non è solo il governo della maggioranza. Non si può ridurre la democrazia unicamente alle votazioni pubbliche, perché le votazioni possono essere truccate, le informazioni diffuse sbagliate. In base alla definizione di Amartya Sen, la democrazia esiste in tutti i tempi, presso tutti i popoli. In Europa la democrazia è nata nell’antica Grecia e poi è stata spazzata via dal dispotismo. In America è stata introdotta con la Rivoluzione americana del 1776 e con la successiva Costituzione americana. In Europa è stata brevemente ripristinata con la Rivoluzione francese e con la relativa Costituzione del 1791. In India, nel XVI secolo, il grande imperatore Moghul proclamava la democrazia e favoriva il dialogo fra le religioni, quando a Roma si bruciava Giordano Bruno nel Campo dei fiori. Nel XII secolo, il filosofo ebreo Maimonide, costretto a scappare da un’Europa intollerante, venne accolto dal mondo arabo allora certamente più democratico e tollerante. Nel mondo africano esistono vari esempi di democrazia. Nella sua autobiografia, Il lungo cammino verso la libertà, parlando del suo villaggio, Nelson Mandela scrive: «Ognuno aveva la facoltà di parlare; il bambino ascoltava questi discorsi. Era la democrazia nella forma più pura. Poteva esservi una gerarchia di importanza fra gli oratori, ma tutti venivano ascoltati». Quindi democrazia come partecipazione popolare alle discussioni che riguardano il governo di un villaggio, di una famiglia, di un paese. Fortes e Pritchard nel volume African Political Systems affermano che le strutture dello stato africano presuppongono che re e capi governino in base al consenso. Parlando delle riunioni dei villaggi in Sierra Leone, mons, Biguzzi afferma che in quelle riunioni si disseppelliscono le parole che sono state sepolte anche con la convivenza degli africani. Ora quelle riunioni non dovrebbero coinvolgere solo gli africani, ma anche il mondo occidentale. Forse ricorderete il mito greco nel quale si parla di un re che aveva abituato i suoi cavalli a mangiare carne umana. Ogni volta che in città giungevano stranieri e immigrati, il re li arrestava e li dava in pasto ai suoi cavalli. Ma, venuti a meno gli stranieri e gli immigrati, i cavalli, ormai abituati a mangiare carne umana, cominciarono a mangiare i membri della corte, i famigliari del re e infine lui stesso. Ciò significa che non esiste un mondo indipendente da un altro. Siamo tutti nella stessa barca e tutti direttamente coinvolti, come ha dimostrato ancora una volta lo tsunami, che non ha ingoiato solo abitanti del Terzo Mondo, ma anche abitanti del Primo Mondo che erano andati a godersi le spiagge del Terzo Mondo. Il dilemma non è fra tradizione e passato, progresso e futuro, ma fra indipendenza-autonomia e dipendenza-omologazione. Ritornare alle proprie radici non significa contemplare e magnificare il passato, ma ritornare alla vita. Le radici di una pianta non sono il suo passato ma sono la sua vita. Lo spazio di democrazia che è sempre esistito in tutte le culture e in tutti i tempi è lo spazio nel quale circolano i problemi della famiglia, del villaggio. Occorre ricuperare questi spazi per poter disseppellire le parole sepolte dal mutismo delle culture che non hanno voluto ascoltare altre culture.

martedì 6 gennaio 2009

L'AFRICA SULLE STRADE



Il mal d'Africa mi spinse, alcuni anni fa, a fermarmi lungo le strade della mia città per incontrare le ragazze nigeriane vittime della tratta. Da allora la mia vita è cambiata. Adesso ho l'Africa in casa, quando guardo mia moglie e le mie figlie. Questa meravigliosa esperienza sta diventando ricchezza, non solo per me.
Ieri sera sono andato a trovare Jessica su invito di un amico, conosciuto da poco. Dovevo fare da intermediario e capire quali potrebbero essere i prossimi passi per rendere il rapporto felice e stabile. La relazione tra due persone di differente cultura non è semplice, occorrono ulteriori strumenti e maggior pazienza. Ma non tardano ad arrivare soddisfazioni e benessere.

La motivazione principale che frena molte ragazze ad uscire dalla tratta è la paura. “É indispensabile fermare le politiche repressive considerando che le retate, gli arresti, gli avvii nei CPT, i rimpatri sono un'ingiusta persecuzione e alimentano il clima di paura nel quale le vittime della tratta non possono maturare la scelta di fidarsi di operatori, enti, forze dell'ordine, istituzioni.” afferma Isoke Aikpitanyi, nigeriana, ex-vittima della tratta (nella foto).

Jessica mi disse che è stanca di “scopare”, ma deve finire di pagare il debito alla mamam. Poi potrà cominciare una nuova vita e farsi una famiglia. Le auguro di cuore che il suo sogno possa realizzarsi.

lunedì 5 gennaio 2009

IL MAL D'AFRICA




"L’Africa mi ha messo in contatto con le mie emozioni più profonde…. Esiste il mal d’Africa, io l’ho provato ed è qualcosa di lacerante… uno strappo che ti lascia una nostalgia infinita, il senso del paradiso perduto. Beninteso, quella era un’Africa serena, non piagata da guerre civile, fame e malattie.



A Ngambè Tikar (nella foto) la natura è generosa: la giungla offre banane, cacao, c’è il mais, l’ananas, i pesci sui fiumi e animali da cacciare. Non fa freddo, ci sono le due stagioni e in giungla tutto cresce velocemente: vi sono anche 3 raccolti l’anno. Ci sono serpenti velenosi (il mamba verde: ne ho visto uno schiacciato lungo la strada battuta del villaggio).



La gente costruisce ancora i tam tam, la domenica è vestita benissimo, pulitissima e coloratissima. Ho assistito ad una messa della Vigilia in cui l’atmosfera era festosa e tutti ballavano e cantavano con quel senso del ritmo che scorre loro nel sangue….



Vicino al villaggio ce n’è un altro di pigmei: quelli un po’ più grandi rispetto a quelli del Congo. Sono ahimè rovinati dall’alcol eppure a Ngambè Tikar dicono che quando devono finire qualche lavoro riescono a tenere lontana la pioggia perché hanno poteri magici…".

(Alessandra di Treviso, è stata a Ngambè Tikar nel 2000)




E' bello sapere che qualcun'altro è passato per il villaggio di Ngambè Tikar, e che quell'incontro ha lasciato un segno indelebile. Le parole sopra citate possono incoraggiare, coinvolgere e contagiare. Esiste davvero il mal d'Africa, ma non dell'Africa delle grandi città, costruite sul modello di quelle del Nord del mondo, tra smog e baraccopoli. Di quella dei villaggi, piuttosto, dove si respira ancora il calore della vera cultura africana, fino a quando non verrà contaminata completamente dal miraggio dello sviluppo occidentale moderno.
Lo so, ci sono anche i serpenti. Ma l'importante è non disturbarli!!!

sabato 3 gennaio 2009

PERCHE' UN VIAGGIO?


Perchè rischiare di fare un viaggio in Africa? Senza nessuno scopo umanitario preciso o l'indirizzo di un villaggio turistico sicuro? Cerco di interpretare i pensieri/sentimenti di alcuni: "Da una parte mi piacerebbe fare un'esperienza così forte, dall'altra ho paura, e poi non so cosa farò l'estate prossima."

Nella società del precariato, non abbiamo mai la certezza di quello che faremo il mese prossimo, per questioni di lavoro, di affetti, di impegni vari. Allora diventa importante darsi delle priorità. Se non sarà quest'anno sarà l'anno prossimo o più avanti. Ma l'importante è darsi un obiettivo e lottare per raggiungerlo. Per questo tipo di viaggio non ci sono pubblicità accattivanti o inviti insistenti. Del resto non ci sono vantaggi economici per nessuno! Ognuno è libero di decidere. Quello che posso dire è che sarà un'esperienza unica. Vivere a contatto con la gente locale, spostarsi di villaggio in villaggio, incantarsi davanti alla bellezza della novità...scoprirsi nudi o semplicemente rivestiti di essenzialità...

Vi aspetto DOMENICA 11 GENNAIO alle ore 16, al centro culturale ZIP, via Quarta Strada 7, zona industriale di Padova. Sarà presente anche Giuseppe Stoppiglia, presidente dell'associazione Macondo ONLUS, alla quale facciamo riferimento.

martedì 30 dicembre 2008

ATTRAVERSAMENTO


Finisce un anno, ne inizia un altro.

Come durante un viaggio, si lascia un luogo per raggiungerne un altro.

Si lascia la sponda di un fiume per raggiungerne un'altra.

Nuovi paesaggi, nuove avventure.

Tutto quello che abbiamo è trasportato da un barca,

in balia della corrente e dell'esperienza dei conduttori.

Non serve saper nuotare. Difronte alla forza dell'acqua selvaggia,

ognuno si scopre impotente.

Non resta che fidarsi, del ragazzino con i remi in mano.

Un ragazzo mai visto prima, gestisce il passaggio.

Tutta la nostra vita è nelle sue mani,

mani giovani e robuste.

Così nei passaggi importanti della vita,

qualcuno compare e poi scompare,

e noi continuiamo a viaggiare.

Grazie.

sabato 27 dicembre 2008

IL VIAGGIO INVERSO

Difronte ai continui sbarchi a Lampedusa,
cerco di capire cosa spinge molti stranieri, in particolare africani,
a raggiungere la terra italiana.
Nonostante la crisi,
il mito della ricca Italia continua a mietere le sue vittime.
Molte fabbriche stanno chiudendo, le bollette sono sempre più care,
il cibo che mangiamo non sappiamo da dove proviene e come è stato fatto,
il traffico delle città ci provoca stress e malattie,
le relazioni sono sempre più fragili, basate sull'apparire e sugli interessi individuali.
Cosa trovano allora di tanto idilliaco
in questa nostra società?
Ultimamente, non escludo l'ipotesi di andare a vivere in Africa,
in un villaggio del Camerun o della Nigeria.
Con tutta la mia famiglia.
Ma come, se tutti vogliono venire qua!
Sogno il viaggio inverso.
Dal benessere fittizio alla povertà felice,
più umana e socializzante.
Idealista? Sognatore?
Non solo. Si tratta invece di studiare il modo migliore per vivere,
che non sempre si può comprare con il denaro
o appartiene esclusivamente alla società occidentale.
Ma come potrò spiegarglielo ai disperati che hanno attraversato il mare,
con la speranza di iniziare una nuova vita?
Non importa,
per ora l'importante è che me ne renda conto io.

sabato 20 dicembre 2008

IL FIGLIO DELLA SPERANZA


I.

L'emozione infuocava l'aria;

davanti ai tam-tam e ai tamburi muti

gli stregoni inquieti attendevano

la buona novella.

I danzatori impazienti e taciturni

attendevano la stessa buona novella:

l'Africa intera

deve mettere al mondo un figlio;

il figlio della speranza

il figlio dei sogni ancestrali

sogni divenuti incubi

sogni che come nati, sono subito morti

trafitti da lacrime di disperazione.


II.

Il mondo libero, il mondo prigioniero

la ragione

la giustizia

la libertà stessa

attendevano la nascita

con un sentimento di incredulità pesante, pesante;

questo figlio atteso così a lungo

è il figlio della debolezza disarmata

è il figlio di secoli

di umiliazione ininterrotta;

il figlio dei giorni senza sole

il figlio delle notti senza stelle

il figlio del sangue nero versato a fiumi

per niente, per un niente

dalla bestialità umana.


XIII.

Domani, Africano sarà fatto

con le nostre mani le nostre mani d'Africani

la nostra forza di domani

è la nostra debolezza di ieri

con la forza della sua debolezza

con la sua unità di granito,

l'Africa che deve essere africana

che deve essere umana

agguerrita dalle mille sofferenze

dalle mille umiliazioni,

l'Africa riprenderà la sua fiaccola

mille volte millenaria

portatrice di luce alla civiltà umana

di cui è la culla

di cui sarà la culla.


( Camara Kaba 41, poeta anti-Apartheid)


Con queste parole, scritte alcuni anni fa ma ancora molto attuali,

attendiamo il figlio della speranza.

Mandela lo è stato per il Sudafrica,

Obama potrà esserlo per l'America, ma non solo.

E per l'Italia? Per le nostre città?

Qualsiasi gemito di novità presente dentro di noi,

nei nostri progetti e nei nostri sogni,

è il Dio che nasce continuamente.

Non deleghiamo ad altri la realizzazione della nostra felicità!

Auguri.

mercoledì 17 dicembre 2008

AFRICA E LUOGHI COMUNI


Quando si parla d'Africa il pensiero corre subito alle immagini drammatiche che i telegiornali ci riportano. Dove bambini col pancione vengono ripresi con le mosche sugli occhi, o uomini armati si esercitano dentro la foresta. L'Africa non è solo questo.

Non è neppure un insieme di virus e malattie che attende con impazienza l'arrivo di bianchi occidentali per entrare nei loro corpi. L'Africa non è paura, malattie e fame. Forse fa comodo a qualche associazione presentare soltanto i difetti del continente nero per riuscire a raccogliere più fondi possibile. Ma c'è chi vorrebbe lavare i panni sporchi a casa propria!

L'Africa non è solo bei paesaggi (nella foto le cascate sul mare di Kribì - Camerun).

Non è neppure soltanto musica a qualsiasi ora del giorno e della notte. E' molto di più.

Nei villaggi la gente è ancora molto ospitale. L'ospite è sacro e non va mai trascurato nè tanto meno rifiutato. Offerte e regali sono il benvenuto e l'arrivederci. C'è chi si priva del proprio letto e del proprio cibo per accogliere bene uno straniero arrivato da lontano. Sembra un altro mondo. Non c'è diffidenza, non ci sono cancelli nè porte chiuse a chiave. Spesso però le mete turistiche più ambite rimangono la savana del Kenya o le spiaggie di Zanzibar.

Eppure la vera Africa, quella che ti lascia addosso il suo famoso male, si trova nei luoghi più semplici e quotidiani, lontani da quei luoghi comuni che l'hanno etichettata come "sottosviluppata" o "terza" rispetto ad altri mondi.

Chi verrà in Camerun ne farà diretta esperienza.

venerdì 12 dicembre 2008

VIAGGIO NELLA SAVANA


La terza settimana, ormai carichi di forti emozioni, raggiungeremo la città di Ngaounderè, a nord del Cameroun, nella savana.
Dopo alcune interminabili ore di treno, arriveremo in un luogo caratterizzato da una forte presenza di musulmani, di varie etnie. Nomadi soprattutto, che allevano mucche scheletriche senza mangimi chimici. La carne è buona, sottoforma di gustosi spiedini da consumare nei locali affumicati che sorgono lungo le strade.


Ngaounderè è un concreto esempio di città dove regna, da secoli, una convivenza pacifica tra varie etnie e religioni. Doveroso sarà incontrare l'amido, il capo religioso e politico, nella sua tradizionale dimora. E se ad un certo punto, sulle insegne delle bancarelle troverete la scritta "torno subito" non preoccupatevi! Significa che sta per iniziare la preghiera nelle moschee (nella foto), ogni fedele col suo tappettino, in religioso silenzio.


Saremo ospitati in una scuola della chiesa evangelica luterana, diretta dal pastore Martin.
Con lui visiteremo il centro delle comunicazioni sociali, dove la radio raggiunge molte zone dell'Africa centro-orientale. E l'ospedale costruito e gestito con l'aiuto di una comunità norvegese, se non sbaglio.
Confido di poter organizzare un incontro con gli universitari e/o professori per confrontarci sugli aspetti dell'interculturalità.
Di spunti per la riflessione...non ne mancheranno!

giovedì 11 dicembre 2008

VIAGGIO NELLA FORESTA


La seconda settimana entreremo nel cuore della foresta camerunense, a 350 km a nord dalla capitale Yaoundè. Dopo una giornata di tragitto, immersi nel verde della natura, arriveremo a Ngambe Tikar, ospiti da alcune famiglie di amici, conosciuti nell'estate del 2007.

Dopo aver salutato il capo del villaggio e aver ricevuto il suo benvenuto ci recheremo nelle semplici case dove pernotteremo. Sperimenteremo l'ospitalità allo stato puro, un altro ritmo di vita e le aspirazioni e domande di un gruppo di giovani africani (nella foto mentre ci sfidano a calcio). Probabilmente inizieremo assieme i lavori per la costruzione di una sede per le associazioni locali. Insieme.

Sullo sfondo due grandi compagnie di legname (una è italiana) stanno pian piano disboscando la foresta, dicendo però di rispettare alcuni criteri etici. Vedremo!

L'ospedale del villaggio, in stile occidentale, è nuovo ma vuoto, mancano strumenti e personale. Ma perchè non valorizzare anche i metodi tradizionali di guarigione? Ho paura che con l'arrivo della medicina occidentale si perdano quelle conoscenze fondamentali radicate nella cultura tradizionale. Cosa vuol dire salute e benessere?

mercoledì 10 dicembre 2008

VIAGGIO NELLE CITTA'


La prima settimana visiteremo le due città più importanti del Cameroun: Yaoundè (nella foto) e Douala. La prima è la capitale politica, dove risiede il presidente Paul Biya nella sua maestosa villa. La seconda è la capitale economica, luogo di commercio, situato lungo la costa.

Il riferimento a Yaoundè sarà la famiglia di Eliot che vive in un quartiere in prima periferia, mentre quello a Douala sarà un istituto missionario, gestito da francesi, che ospita gruppi e persone per un "turismo alternativo".

Il primo impatto con le città più grandi ci costringerà a guardare diversi colori, annusare diversi odori, camminare in mezzo alla gente. Non ci saranno monumenti particolari da visitare, poichè l'arte tradizionale africana si esprime in altri ambiti come le maschere e la scultura, la musica e la danza, il racconto orale. Noteremo comunque i frutti della colonizzazione francese.

Non ci sarà nessun pericolo, l'importante è non esibire le proprie novità tecnologiche in mezzo alla folla in movimento. Così come facciamo in qualsiasi città di un altro Paese.

lunedì 8 dicembre 2008

PROGRAMMA GENERALE

Il viaggio in Camerun si sviluppa in tre settimane.
Dal 24 luglio al 14 agosto 2009.
La prima settimana sarà vissuta nelle due città principali (Yaoundè e Douala) e lungo la costa del Golfo di Guinea (Limbe).
La seconda dentro la foresta, ospiti di alcune famiglie del villaggio di Ngambè-Tikar, con il quale desideriamo costruire insieme un progetto.
La terza al nord, nella savana di Ngaoundere, a stretto contatto con la cultura musulmana e tradizionale dei pastori nomadi.
Stiamo valutando anche la possibilità di proporre soltanto due settimane a chi avesse maggiori difficoltà a partecipare all'intero viaggio.
Incontreremo molte persone e conosceremo varie realtà. Alla fine ci faremo un'idea abbastanza completa di un Paese africano come il Camerun.
Il prossimo incontro di preparazione è previsto per Domenica 14 dicembre alle ore 16,
presso il centro Z.I.P. , via IV Strada n°3,
zona industriale di Padova.

sabato 6 dicembre 2008

VIAGGIO DENTRO LA REALTA'

Kapuscinski trascorse a Lagos anche parte del 1967, nell'appartamento che aveva affittato e del quale scrisse che "viene continuamente svaligiato". Avrebbe potuto abitare in qualche tranquillo ed esclusivo quartiere dove vivevano già europei e diplomatici, ma questo lo avrebbe tenuto lontano da quella storia che egli voleva raccontare:
"Voglio abitare in una città africana,
in una casa africana,
altrimenti come posso conoscere questa città,
questo continente?"

Tuttavia la sua passione per l'Africa gli causò non pochi problemi di salute e, dopo un lungo periodo di malattia, chiese di rientrare a Varsavia:"L'autorizzazione a rientrare in patria arrivò e da Lagos mi ritrovai direttamente in un letto dell'ospedale di via Plocka".

Ryszard Kapuscinski (1932-2007), giornalista a Varsavia, corrispondente dall'Africa per l'agenzia Pap. E' considerato un maestro del giornalismo contemporaneo

mercoledì 3 dicembre 2008

VIAGGIO E NON-VIAGGIO

La globalizzazione sembra anche impedire l'esperienza del viaggio proprio nel momento in cui pare garantirla all'ennesima potenza. L'uniformità della configurazione degli spazi e delle culture, la rapidità del movimento, l'omogeneità tendenziale dei luoghi di andata e di ritorno possono anche ridurre il viaggio a un semplice spostamento, più o meno simile allo stesso sposatamento giornaliero per recarsi al luogo di lavoro o al luogo di svago.

Ci sono viaggi che non sono dei viaggi, pur essendoli in qualche modo. Sono viaggi: c'è un partire, un arrivare, un conoscere, uno scoprire. Eppure non sono viaggi: il partire non è mai un distacco da sè; l'arrivare è un rimanere a casa propria; il conoscere non porta molto lontano rispetto a se stessi; lo scoprire rimane all'interno delle possibilità dell'io. Viaggi dell'identico nell'identico. Semplici distrazioni, divertissement. Esperienze di svago, di conoscenza. Viaggi d'istruzione. Viaggi di conquista.

Questo viaggiare pur fisico, però, non parte davvero. E' un partire senza distacco. Si tratta di viaggi della conferma di sè. Occasioni della conferma. Viaggi di occupazioni.

(tratto da "Filosofia del viaggio" di Franco Riva, Città Aperta Edizioni)

E perchè non paragonare le esperienze forti della nostra vita ad un viaggio?
Dove si parte e ci si stacca di una parte di sè...
Naturale potatura, per un maggior raccolto.

martedì 2 dicembre 2008

VIAGGIO E CONSUMISMO

C'è anche un consumismo di esperienze di vita.
Sempre più persone sono alla ricerca di esperienze forti,
di emozioni e sentimenti nuovi.
E si trovano ad accumulare viaggi, attività, servizi.
Il consumismo del fare è una grande minaccia alla qualità dell'azione,
perchè non permette di coglierne la profondità e, di conseguenza,
conferire intelligenza a ciò che si è compiuto.
La quantità del fare è senza dubbio il cancro dell'azione profetica,
ossia quell'azione che rivela il cuore dell'umanità
e l'essenza dell'impegno etico.

(tratto da "La giustizia. Nuovo volto della pace", di Adriano Sella, Editrice Monti)

Un viaggio ben preparato,
sudato nel raccimolare i soldi per il biglietto,
sognato e desiderato da tempo,
permette di essere gustato fino in fondo.
Un viaggio senza pubblicità,
dove nessuno costringe nessuno,
dove ogni presenza è un dono.
Buon lavoro!

lunedì 1 dicembre 2008

VIAGGIO E PAURE

Se dovessi mettermi nei panni di chi, per la prima volta,
vorrebbe intrapprendere un viaggio in Africa,
mi farei molte domande. Tra curiosità e paure.
Dove andrò? Cosa farò? Riuscirò a cavarmela? Perchè voglio partire?
Inoltre, aggiungendo le preoccupazioni di genitori, amici e parenti, continuerei...
perchè proprio in Africa? Con tutte le malattie che ci sono!
Sequestri e atti terroristici. Miseria allo stato puro.
Non ci sono forse posti più belli, economici e interessanti da visitare?
Domande lecite, paure giustificate, risposte da costruire...

Per ogni viaggio importante, occorre prepararsi.
Valige, mappa, soldi... ma soprattutto motivazioni, domande, sogni.

Le paure più forti hanno a che fare con la nostra storia,
dalla gestione del cambiamento all'esperienza dell'autonomia,
dall'incontro con l'altro e il diverso al senso del tempo e dello spazio.

Domande lecite, paure giustificate, risposte da costruire...
L'Africa può diventare una grande palestra,
dove esercitarsi nell'arte della Verità,
con se stessi e con gli altri.