martedì 29 dicembre 2009

GESU' VISTO DA UNO PSICHIATRA

UNA SINTESI DI LUIGI DE PAOLI

La famiglia e il lavoro

I dati sulla vita del bambino Gesù sono insufficienti per dedurre quale influenza abbia avuto la famiglia sulla sua crescita. Non è figlio di una famiglia benestante, ma di lavoratori e pertanto non è avviato agli studi ma al lavoro con la materia. Sin da bambino è addestrato dal padre a trattare specialmente il legno, che diventa così un “oggetto transizionale” attraverso il quale impara che non si costruisce se non si smantella e che un fusto d’albero se non è tagliato, inciso o scolpito rimane
un oggetto sempre simile a se stesso e non può arricchirsi di nuove funzioni.

Dopo aver vissuto trenta anni assieme a fratelli e sorelle a Nazareth, decide di abbandonare il lavoro, la famiglia e il proprio villaggio. La rottura è significativa non essendo ammissibile che un figlio disconosca l’autorità del capofamiglia e il suo potere pressoché assoluto sui figli, anche sposati.
Grazie alla stabilità delle relazioni con gli oggetti interni (in primis i genitori), che sono la fonte della stima e dell’amore, l’umore è improntato alla serenità e al desiderio di godere la vita. Dai suoi “detti” e dalle parabole non traspaiono sentimenti di inadeguatezza, autocommiserazione, o espressioni di trionfo maniacale o vendicativo.
L’abitudine alla concretezza e alla negoziazione quotidiana lo portano a valorizzare il lavoro di pescatori, seminatori, vignaioli, pastori, mercanti, gabellieri, centurioni, costruttori, massaie. Quello che conta per un artigiano come lui è il risultato, non l’intenzione. I “buoni” e i “cattivi” sono distinguibili in base ai frutti generosi che generano, non in base alle loro “radici” (culturali o
confessionali), che sono insignificanti se l’albero è improduttivo (Lc 6,43-45).

Ha parole molto dure per i ricchi che vivono sfruttando, ma anche per i parassiti, che “nascondono le loro monete d’oro sotto terra”. Capovolge la filosofia economica basata sull’accumulazione, che suscita solo rivalità, e propone la solidarietà per alleviare coloro che portano fardelli troppo pesanti.
Allo stesso tempo stigmatizza la dabbenaggine “delle vergini stolte” che vanno incontro alla festa della vita contando sulle risorse altrui o su aiuti dal Cielo.
Si tiene lontano da ogni forma di speculazione teologica. Non si occupa delle verità intellettuali, che sono frutto di mediazioni e, come tali, sono manipolabili e sfruttabili dai potenti e dai loro cortigiani. Richiama gli uditori ai casi concreti che la vita pone davanti a loro o al senso nascosto di parabole tratte dalla vita quotidiana.
Da persona psichicamente matura non si lascia sedurre da lusinghe frequenti e fallaci: l’onnipotenza e la sottomissione. La forza dell’Io e la stima basica di sé lo rendono indipendente dall’altrui approvazione. Rifiuta di delegare la propria coscienza all’autorità religiosa e di appoggiarsi sulle stampelle del sacro.
Il fatto che la sua mente conquisti un elevato livello di libertà non dipende da una qualche “natura divina”, ma dal fatto che egli conduce una vita coerente con la propria condizione umana, scevra da atteggiamenti sia di “superman” che di “servo”. Non sa, né afferma di essere “una persona divina”, “incarnazione di Dio”, “Figlio di Dio”, “nato da Vergine”, “preesistente al mondo”,“ Signore”.

Delude le attese di chi spera che egli sia il leader politico che libera la terra della Palestina dall’oppressore romano e dagli esosi gabellieri. Appena la folla lo cerca per avere benefici, si ritira in luoghi appartati per meditare e pregare. Si sottrae alle investiture idealizzanti, in realtà subdole e sataniche, che provengono da ascoltatori frustrati che cercano una riabilitazione facendo ricorso a figure onnipotenti. Si prende gioco di coloro che lo attendono a Gerusalemme come Messia
presentandosi a cavallo di... un asinello. Quando Pietro gli dà il titolo di Messia invitandolo a scansare i conflitti con le autorità lui lo tratta da indemoniato: “Satana, vattene via da me” (Mc 8,33).

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