mercoledì 27 gennaio 2010

PERCHE' JAMES NON SI UCCIDE?

IL TERREMOTO SOMMERSO DEI SUICIDI DI OGGI

Il 27 gennaio del 1945, Primo Levi, dopo essere miracolosamente sopravvissuto all'inferno di Auschwitz, muore gettandosi dalla tromba delle scale della sua casa a Torino. Qualcuno parla di incidente, anche se la strada del suicidio non è poi così assurda. "Era molto stanco – dichiarò la moglie Lucia -, demoralizzato. Sapevo che Primo soffriva di depressione. Si era isolato. Credo fosse molto preoccupato per le condizioni della madre. Ha 92 anni ed è stata colpita da ictus cerebrale".
La depressione quindi esisteva già allora, connaturale alla nostra condizione umana. Eppure non riesco a sorvolare sopra l'ondata di suicidi che sta colpendo la nostra città di Padova. É un terremoto silenzioso, che rende orfani molti figli. Un virus senza vaccino. Crisi post partum, licenziamenti, delusioni amorose, insuccessi scolastici e lavorativi... come è possibile togliere l'esperienza del fallimento nella vita di un uomo o una donna, per garantire la felicità piena?
Non è il fenomeno dell'immigrazione a destabilizzare la sicurezza del cittadino. E non è l'intervento militare e nemmeno la crescita del PIL a infondere una generale percezione di benessere. Il Costa Rica, per fare un esempio, è il Paese al mondo dove la gente si considera più felice, eppure non girano armi e neppure geep dell'esercito. Possiamo immaginare dunque una campagna elettorale che prometta di risolvere il problema dei suicidi attraverso una terapia concreta per essere felici?
In effetti questo fenomeno sta diventando un disordine sociale, perchè sconvolge familiari e parenti della vittima, a volte intere comunità, e, attraverso la ripercussione mediatica, stimola le persone in crisi a fare altrettanto, per imitazione.
Forse fa parte del nostro DNA occidentale, ma non di quello di James, operaio nigeriano in cassa integrazione con moglie e quattro figli a carico. In questi giorni non si dispera e, caricato il borsone di calze e fazzoletti, suona i campanelli della periferia alla ricerca di qualche euro. "Non è facile!" mi ripete in inglese. Ma, nonostante tutto, sorride canticchiando "No problem".
É un fattore culturale quindi, che risalta maggiormente nel nostro contesto multietnico. Il giorno in cui un padre africano si ucciderà in seguito ad un licenziamento o a un qualsiasi fallimento, allora potremmo dire che si sarà perfettamente integrato nella nostra società! Se è questo quello che vogliamo, ci stiamo incamminando verso un futuro di morte. Se con umiltà ci mettiamo alla scuola di altre visioni della vita e della realtà, attraverso il dialogo con persone di altre culture, forse impareremo a convivere serenamente con i normali e naturali fallimenti della vita, senza farne una tragedia.



Dice il saggio: "Non ci sono demoni, gli assassini di milioni di innocenti sono gente come noi, hanno il nostro viso, ci rassomigliano. Non hanno sangue diverso dal nostro, ma hanno infilato, consapevolmente o no, una strada rischiosa, la strada dell'ossequio e del consenso,
che è senza ritorno".

(Primo Levi, «La ricerca delle radici»)

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