martedì 16 marzo 2010

SULLA PEDOFILIA NELLA CHIESA

AMARE E LASCIARSI AMARE DALLA DONNA

Ricordurre tutto il fenomeno dei preti pedofili al ruolo marginale della
donna, religiosa e laica, all'interno della Chiesa Cattolica, mi sembra
riduttivo. L'articolo della prof.ssa Lucetta Scaraffia, apparso qualche giorno
fa sull'Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, potrebbe sembrare
un tentativo (malriuscito) per distogliere lo sguardo, di molti fedeli
scandalizzati, dal problema centrale. I fatti degli ultimi anni non possono non
riportare la questione sul celibato obbligatorio dei preti e ancor più sulla
visione negativa della sessualità che sottosta alla dottrina cattolica. Il noto
teologo Hans Küng, su Le Monde del 5 marzo, reclama “l’abrogazione della regola
del celibato, radice di tutti i mali”.
Ieri mattina, su Radio 24, ho ribadito l'importanza, per un prete, di trovare
il proprio equilibrio affettivo-sessuale, che permetta quindi di svolgere
serenamente il ministero pastorale. Non voglio nemmeno imporre il matrimonio,
eppure in altre confessioni cristiane è addirittura obbligatorio sposarsi prima
di ricevere l'ordinazione. Il problema è che la repressione crea devianza,
bloccare cioè le proprie pulsioni e i propri sentimenti causa, prima o poi,
un'esplosione incontrollabile.
«Le donne infatti, sia religiose che laiche – sostiene l'editorialista
dell'Osservatore Romano - sarebbero per natura più portate alla difesa dei
giovani in caso di abusi sessuali, evitando alla Chiesa il grave danno che
questi colpevoli atteggiamenti le hanno procurato».
E' comunque funzionale alla logica maschilista, pensare alla donna come il
rimedio, fosse anche il migliore, per riparare gli atroci danni compiuti da
uomini celibi. Riconsegnare valore, dignità, parola alla donna nella Chiesa
significa portarla "sopra l'altare", significa amarla e lasciarsi amare da lei.
Se i preti potessero amare e lasciarsi amare dalla donna, probabilmente la
Chiesa si arricchirebbe di un maggior spirito materno, di buon senso e di
delicatezza. Per amare, però, occorre ricollocarsi tutti sullo stesso livello,
seduti in cerchio attorno al fuoco, come avviene in alcune tribù indigene.
Purtroppo, i retaggi culturali del passato, intoccabili in nome di una
Tradizione Divina, continuano a influenzare e determinare le scelte della
Chiesa che si trova invece a vivere oggi, in questa attuale società. Il
celibato imposto, ma soprattutto la repressione dei sentimenti e di una sana
sessualità, porta il celibe per obbedienza, a vivere spesso relazioni ambigue,
che compromettono la serenità della predicazione. Rivedere alcune norme
disciplinari della dottrina cattolica e ripensare al suo ruolo in questa
società, richiede inevitabilmente il contributo autentico e autorevole di tutti
i soggetti direttamente coinvolti. Ma la svolta sembra ancora lontana!

(pubblicato oggi su Il Mattino di Padova)

lunedì 15 marzo 2010

INCONTRO CON "LA PAROLA" DI VICENZA

PERSONE LIBERE E RESPONSABILI NEL MONDO

L'incontro di ieri pomeriggio con l'associazione "La parola" di Vicenza, composta da omosessuali credenti, è stato molto bello e arricchente. Ho respirato un clima familiare, fin da subito.
Da quando incontro persone omosessuali, il mio istinto (condizionato dalla cultura dominante), mi spinge inconsciamente a verificare se le loro facce e i loro comportamenti, sono particolarmente "diversi" da quelli delle persone eterosessuali.
Ebbene no. Il tuo collega di lavoro "normale", il tuo vicino di casa "normale", il tuo fratello... potrebbe essere omosessuale. E allora che problema c'è?!

Dovevo proporre una riflessione sul tema: "Cristiani liberi e responsabili nella Chiesa di Dio" che poi invece ho modificato con "Persone libere e responsabili nel mondo".

E di persone libere e responsabili ce le avevo proprio davanti ai miei occhi, lì, sedute attorno ad un tavolo. Cosa potevo insegnare loro?

Libere di amare, di ascoltare la propria coscienza, i propri sentimenti. Di non lasciarsi condizionare dalla mentalità dominante. E soprattutto di agire senza paura. Liberi di considerarsi credenti, amici di Gesù nonostante abbiano sperimentato una chiesa troppo lenta rispetto alle scoperte scientifiche. Non è il sole a ruotare attorno alla Terra. L'omosessualità non è una malattia!

Io e loro a condividere le difficoltà di compiere scelte coraggiose. E la bellezza di sentirsi responsabili delle proprie decisioni. Non da soli, non vittime incomprese, non eroi martiri. Persone in cammino, fragili, ma sincere, vere. Amanti.

Grazie a tutto il gruppo.

sabato 13 marzo 2010

LE PARABOLE SUL REGNO DI DIO

IL GRUPPO BIBLICO "VANGELO E YOGA" SI INCONTRA, ACCOGLIE E SI LASCIA FECONDARE DAL CAP 13 DEL VANGELO DI MATTEO


Parlare in parabole era consuetudine nelle scuole rabbiniche. Racconti simili alle favole di Esopo o ai proverbi africani. Semplici nel linguaggio, misteriosi nell'interpretazione. Il messaggio non si comprende mai definitivamente e non si esaurisce nella parola scritta.

Gesù parla in parabole per descrivere il Regno di Dio e le comunità dei suoi discepoli le interpretano.
Prima sembrano rivolte ai missionari-predicatori e poi invece agli ebrei convertiti al messaggio di Gesù.

PRIMA
Il messaggio è questo: "Quando predicate (seminate), quando dovrete annunciare il mio messaggio di amore, di giustizia, di condivisione... non date giudizi sulle persone che incontrate, non spetta a voi farlo! Seminate senza pregiudizio, senza calcolo, senza escludere nessuno!"

DOPO
Il messaggio è questo: "Accogliere il messaggio di Gesù richiede una conversione, un cambiamento di vita in vista di un giudizio finale".

Il "prima" mi sembra più in sintonia con la logica del Dio di Gesù! Il "dopo" più con la logica degli uomini che, per ottenere qualcosa, devono mettere paura, dare delle scadenze, promettere un premio.

IL REGNO DI DIO: MALE E BENE CONVIVONO

Il grano cresce assieme alla zizzania. La separazione avviene dopo il raccolto.
I pesci buoni vivono assieme ai pesci cattivi. La separazione è opera del pescatore.
Bene e male due facce della stessa medaglia.
Male non è assenza di bene, forse è uno stadio necessario per arrivare al bene.

LA RELATIVIZZAZIONE (non il relativismo!) CHE DONA SERENITA'

Chi sono io per giudicare se una cosa, una scelta, una persona è giusta o sbagliata in assoluto?
Sbagliata e dannosa per me, giusta e necessaria per un altro.
Giusta oggi, sbagliata domani. Chissà!

"La malattia che all'inizio vivevo come fallimento, è diventata risorsa vitale".

"Un figlio che da una parte delude le aspettative dei genitori dall'altra esaudisce il sogno, ad esempio, della persona che ama."

"Non credo in un Dio giudice, il giudizio che uccide spesso ce lo diamo noi, l'inferno e il paradiso lo sperimentiamo già su questa terra."

"Siamo stati educati a porre tutto in contrapposizione. Bene e male, giusto e sbagliato, bianco e nero... e questo ci provoca tanta inutile sofferenza."

"Ci sono situazioni che vanno oltre la nostra possibilità di conoscenza. Affidarsi al mistero fa parte della nostra natura umana."

"La relazione con le persone diventa il metro di misura per dare senso a qualsiasi esperienza."

LA PARABOLA DI IVANO

Quando vado a funghi, raccolgo i funghi buoni e lascio vivere quelli non commestibili o velenosi. Non sono anch'essi necessari per l'ecosistema del bosco? Perchè qualcuno si permette di calpestare e distruggere i funghi che, al suo palato e alla sua salute, non sono buoni?

UN'INTERPRETAZIONE INTERESSANTE del cap.13

Gesù vuole condurre i suoi discepoli e alcuni della folla aldilà del lago di Tiberiade dove vivono popolazioni non ebree, giudicate pagane, impure, peccatrici. Vuole far attraversare il nuovo Mar Rosso, dalla schiavitù dei pregiudizi e del nazionalismo alla libertà della ricchezza delle diversità.
Un salto di qualità che non trova però accoglienza, neppure tra i suoi discepoli, ma incredulità. A Gesù non resta che sedersi e spiegare, attraverso delle parabole, l'importanza di non giudicare male una persona per il fatto che non appartiene alla stessa religione, nazionalità, cultura, ...orientamento sessuale...visione teologica...

venerdì 12 marzo 2010

FOTO E RACCONTI SUL VIAGGIO IN NIGERIA

LO STATO PIU' POPOLATO DELL'AFRICA
LO STATO DAL QUALE PROVENGONO MOLTI MIGRANTI DELLE NOSTRE CITTA'
UNO STATO RICCO DI CONDRADDIZIONI





(nella foto il quartiere Jabi ad Abujia)


SABATO SERA, ALLE ORE 21,
presso il Circolo culturale "Cameroes",
via Po, 56 Altichiero - Padova
(segui indicazioni Telenuovo)

racconterò del viaggio di famiglia in Nigeria,
attraverso alcune foto e video.

Siete tutti invitati!

mercoledì 10 marzo 2010

DENTRO AL MITO NON ESISTE CONFRONTO

A Padova, si sta parlando molto (anche a vanvera) sulla vicenda di don P. S., prete diocesano molto seguito e stimato, non solamente per la questione che lo ha portato al centro della stampa locale (ovvero la sua presunta parternità) ma soprattutto, e per fortuna, per il metodo della sua predicazione, così baciata dal successo.

Il mio intervento di ieri, in un editoriale de Il Mattino di Padova, che voleva far riflettere sulla dipendenza da qualsiasi leader e sui principi della filosofia di S., mi ha fatto intuire la portata del fenomeno. Ho ricevuto abbastanza e-mail e sms per capire come i sostenitori e amici di don P. si stanno prodigando per difenderlo appassionatamente. Ma ho anche ricevuto messaggi in sintonia con la mia posizione.

Di seguito troverete:
1. Il mio articolo "Dentro al mito non esiste confronto" (che il quotidiano purtroppo ha sostituito con un titolo più commerciale e ad effetto)
2. 2 lettere e 1 sms
3. L'articolo dell'amico don Pietro Milan, apparso oggi, sempre su Il Mattino di Padova.

1. DENTRO AL MITO NON ESISTE CONFRONTO

"Il nostro mito ci è sempre nascosto,
sono coloro che vivono in un orizzonte diverso
a svelarcelo" (Raimond Panikkar)


La scuola di pensiero sulla quale si fonda la predicazione di don P. S. è certamente interessante e garantisce un successo indiscusso, perchè risponde ai bisogni concreti di molte persone coinvolte in diverse forme di malattia, unendo spiritualità e psicologia, musica e Sacra Scrittura. Magari altri preti avessero il coraggio di tentare strade nuove pur di risvegliare molti fedeli apatici e insoddisfatti! Ma non è questo il punto. Ogni strada è buona purchè non si imponga come La Strada. Ovvero dentro al "mito S." è possibile il confronto?
Conosco i suoi testi di riferimento, alcuni anni fa glieli chiesi e lui, con gelosia e affetto, me li diede assieme a questo semplice avvertimento: "Attento a non credere a tutto quello che dicono!"
In effetti non credo che farsi male alla mano destra o a quella sinistra, in seguito ad un incidente stradale, abbia un diverso significato. Ma nello stesso tempo sono profondamente convinto che molte malattie siano la conseguenza di traumi psicologici ed emotivi. Proprio come ci insegna la saggezza popolare: "Non arrabbiarti, altrimenti ti viene un tumore al fegato!" oppure "Dalla paura mi è venuto un infarto!" Se allarghiamo però gli orizzonti e pensiamo alle malattie o alle catastrofi naturali che tuttora causano la morte di molti esseri umani, dall'ultimo tsunami in Chile alla malaria in Camerun, dal terremoto ad Haiti alla diarrea in Somalia, non possiamo automaticamente ricondurre tutto il male alla sfera psicologica e razionale dell'individuo.
La pace, il perdono, e quindi la salute, non è sempre il frutto di un cammino volontaristico di perfezione individuale; molto spesso è un continuo percorso comunitario che si incrocia con la fragilità della natura e si arricchisce nella relazione con altre persone o esperienze. A volte è addirittura accettazione di un mistero inconoscibile, più grande di noi.
In secondo luogo, che la medicina moderna sia fortemente animata da interessi economici, e che le sue terapie siano studiate per finanziare le case farmaceutiche, è verissimo. Ma nella proposta di Spoladore, non c'è sempre qualcuno che ci guadagna?
Usare le scoperte scientifiche o le tecniche del marketing per insegnare agli altri a non lasciarsi ingannare da medici istituzionalizzati o dal marketing stesso è il lavoro di qualsiasi azienda competitiva. La candela comprata nella sede di Usiogope non costa forse quanto una scatola di aspirine?
Infine, quale soddisfazione si prova nel "trovare la verità" dopo un corso con don P., mentre il proprio partner o i propri amici diventano gli ignoranti da convertire, i persecutori da evitare? "Se non frequenti il corso base non puoi capire!" Non è pericoloso sperimentare il paradiso mentale estraniandosi dalla realtà? O trascinare le persone care dentro il recinto del proprio benessere autocentrato? La liberazione reale dai mali non coincide con una percezione soggettiva di libertà, legata alla sfera delle emozioni. Tagliare il cordone ombelicale originario per poi formarne un altro con una guida, una dottrina, un comportamento, sposta semplicemente ma non risolve il problema.
Credo infatti che la dipendenza da qualsiasi leader, onesto o falso che sia, è pur sempre una forma di schiavitù, una droga che certo non finanzia organizzazioni criminali o che porta alla morte, ma che lascia i rispettivi seguaci dei fanatici bambini, con l'eterna illusione di essere diventati adulti e felici.


2.LE REAZIONI

Caro (don) Federico,
Ho sempre avuto simpatia nei tuoi confronti.
Nonostante io ti abbia visto solo una volta di persona, in occasione della tua prima messa, mi è rimasto il ricordo di una persona buona.
Ed ho sempre rispettato le tue scelte: molto meglio un sacerdote che lascia la strada per intraprenderne un'altra, che scegliere la via del sotterfugio, della doppia vita etc.
Quindi simpatia, dicevo, ma anche stima ed ammirazione, per la giovane età della tua scelta vocazionale, ma anche e soprattutto per la capacità di saper prendere certe decisioni.
Ora però, caro Federico, leggo il tuo intervento sul Mattino e resto deluso.
Innanzitutto, non mi sembra che Don P. sia intervenuto scrivendo ai giornalisti quando tu hai deciso di lasciare il sacerdozio e quando tutti i giornali scrivevano di te.
E poi, mi chiedo, cosa ti spinge ad affermare ciò che affermi?
Ecco, non mi aspettavo che anche tu cadessi nel calderone del chiacchiericcio e nel pastone della carta stampata, parlando un po’ a vanvera. Anzi, mi sarei aspettato un intervento a sostegno di Don P., se non altro per solidarietà verso chi, come te, ha il coraggio di rompere con gli schemi tradizionali.
Ho frequentato anch’io i corsi di Don P. e vado molto volentieri a sentire i suoi concerti e, quindi, penso di poter aver titolo per trovare il tuo intervento totalmente fuori luogo.
Chissà, ci sarà qualche astio latente ancora da digerire. Altrimenti non mi spiego l’intervento da una persona come te.
La “vita è dura per gli artisti”, dice un mio collega. Ed è così, e sarà sempre così. Da ciò, invidie, gelosie ed altri sentimenti di avversione. Come così probabilmente sarà anche per te.
Don P. non solo è un artista (uno tra i più famosi ed ascoltati musicisti di musica religiosa), ma ha anche delle doti superiori ad altri. E’ quindi normalissimo ci sia chi vede in lui un punto di riferimento e che ha tagliato il cordone ombelicale senza accorgersi di averne creato un altro.
Ma non è per tutti così, credimi.
E quand’anche fosse, caro Federico, nella società moderna, dove sono venuti meno i veri riferimenti e dove basta un qualsiasi mago o santone perché la gente veda in loro una guida, avere come guida Don P. è sicuramente un bene.
Ti allego, a tal proposito, un mio intervento sul forum on line del Gazzettino.
Buona vita.

N.


Ciao Federico, mi è piaciuto il tuo articolo sul Mattino,
sono d'accordo con quello che dici.
In questi giorni pensavo che lo S. dei primi concerti piaceva anche a me,
poi quando ha cominciato a diventare un "mito" con seguaci anche un po'
fanatici non mi è più piaciuto.
Ancora una volta mi pare di capire che i miti prima o poi cadono
e quello che veramente resta sono la vita reale e le relazioni con le persone.
Ciao.
B.


Ciao fede...Ho cercato di non pensarci e andare oltre... Ti prego, dimmi che quelle cose che ci sono sul mattino non vengono tutte da te... Non prenderla come un'offesa ma pensavo che proprio tu che hai dovuto subire e subisci tuttora il giudizio della gente, avresti capito cosa vuol dire essere additati e calunniati...in un modo che nessun essere umano merita. Scusami.
B.


3. L'OPINIONE di don Pietro Milan (cooperatore festivo)

Dal caso di don S.
ai preti impreparati al dialogo


In un comunicato ufficiale sul caso S. la Curia di Padova parla di dolore e di sconcerto. Di dolore lo posso anche capire, ma di sconcerto no, questo non riesco proprio a comprenderlo. E poi, sconcerto per che cosa? Perché don P. avrebbe un figlio? A dar credito a voci bene informate, non sarebbe l’unico sacerdote della Diocesi a trovarsi in una simile situazione. Solo che secondo una prassi collaudata riconoscere un figlio per un sacerdote comporterebbe l’allontanamento dal proprio ministero. Meglio allora non riconoscere ufficialmente nessun figlio e magari essere trasferiti ad altro luogo e ad altro incarico, meglio ancora se fuori Diocesi.

Il problema così travalica il semplice caso S., anche se il grido di dolore che sale dalla Curia padovana si guarda bene dall’affrontare gli interrogativi più vasti che il caso, qualora fosse comprovato, comporta e come sempre riduce il tutto a una semplice questione individuale. Lo scandalo vero, infatti, non riguarda le eventuali defezioni alla legge del celibato, ma caso mai il modo prevalentemente negativo con cui si è educato e si continua ancora a educare al celibato. Lo scandalo consiste nella obbligatorietà e nella severità della legge del celibato e nell’ossessivo gridare allo scandalo ogniqualvolta un prete, quando finalmente affronta la vita, scopre di non esservi tagliato. Lo scandalo caso mai consiste nella devastazione umana di una educazione spiritualistica che comprime fino quasi a negarla ogni affettività e nella grande sofferenza con cui molti preti, non solo quelli che lasciano ma anche molti di quelli che continuano convintamente ad esercitare il loro ministero, si sono riappropriati e si riappropriano della loro umanità.

La Curia di Padova, si dice, ha aperto un’indagine sull’insegnamento di don P. Era ora. Ma sarebbe anche ora che si aprisse un’indagine su tanti altri insegnamenti. Sembra infatti che al momento, ma già da tempo è così, la preoccupazione predominante sia quella di «riempire i buchi», così che nessuna parrocchia rimanga senza prete. Che cosa poi e in che modo i preti insegnino, questo sembra molto meno importante.

A girare per le chiese della Diocesi capita a volte di imbattersi in celebrazioni e predicazioni che coinvolgono e fanno effettivamente riflettere, ma può anche capitare di imbattersi in proclami ossessivi, deliranti, oppure in sciatterie e parastregonerie che fanno venire la voglia di uscire di chiesa. La realtà è che la nostra tradizione veneta ha a lungo proposto come modello i preti del fare, del costruire, del restaurare (il così detto male della pietra), e ancora dell’amministrare, dell’organizzare, salvo poi non sapere come rendere effettivamente educative le strutture e le iniziative realizzate.

Ci troviamo così di fronte a molti preti che oltre a fornire i propri catechisti di un testo e di una guida, non sono poi in grado né di accompagnarli, né di consigliarli né di formarli, incapaci essi stessi di fare catechismo. Ci troviamo di fronte a una vasta fascia di preti che non avendo continuato a curare nel tempo la propria formazione teologica, biblica, etica e pastorale, sono ormai incapaci di proporre una catechesi adeguata per quei laici che cercano un sostegno alla propria ricerca di fede. Non parliamo poi del dialogo con le generazioni più giovani. E questo è, purtroppo, il punto di arrivo di una deriva durata oltre due decenni, in cui a partire dall’alto è predominata la paura di affrontare i problemi o forse anche la speranza che il dilazionarne la soluzione potesse automaticamente risolverli.

Come meravigliarsi, allora, se la gente va in cerca di guru, di apparizioni, di guarigioni, di emozioni, magari anche di identità chiuse e paurose? Che cosa viene offerto loro in alternativa di valido e di costruttivo?

martedì 9 marzo 2010

LICENZIATO, RIPRENDE A FARE IL VUCCUMPRA'


ESEMPI DI CORAGGIO CONTRO LA DEPRESSIONE DA CRISI

C'è chi non ha mai percepito gli effetti di questa crisi, chi invece tuttora ne risente e si abbatte, chi compie gesti estremi per la disperazione. Chi infine si rimbocca le maniche ed è disposto a scendere dalle scale di uno status raggiunto con fatica fino a ricevere umiliazioni assieme a qualche spicciolo. "Non vogliamo niente! Va' a lavorare..." É la storia di James, operaio nigeriano precario, licenziato qualche mese fa, con moglie e quattro figli a carico. Le reazioni spontanee: "Chi gli ha detto di fare quattro figli? Non sa che la vita in Italia costa? Scommetto che al suo Paese non esistono gli assegni familiari!"
Non c'è il tempo per cadere in depressione nè la disonestà per incassare soldi facili, e James recupera un vecchio borsone, riposto sotto il letto matrimoniale, da riempire di fazzoletti, accendini e calze made in China. La periferia di Padova non lo aspetta, non risponde ai citofoni, non apre i cancelli. Ma James sale in autobus di buon mattino, cammina per ore, lavora come autonomo e automa lungo i cigli delle strade, sperando di portare a casa qualcosa, fosse anche qualche scatoletta di tonno. "Non è facile!" mi ripete in inglese. Ma, nonostante tutto, sorride canticchiando il mitico Bob Marley "...perchè ogni piccolo problema, si risolverà!"
Quale coraggio e quale dose di autostima comporta una simile scelta! Ripartire da capo, annullare i fortunati risultati raggiunti, sentirsi ripetere frasi come queste: "Fannullone! Le spalle per lavorare ce le hai...". Nessuno lo conosce, conosce la sua storia, le ragioni che lo spingono a fare il libero commerciante senza partita iva, senza certezze, senza stipendio. "Non mi serve niente. Tieni un euro" gli risponde un'anima buona, infilando la mano tra le sbarre del cancello, con diffidenza. E James non si offende, anzi, capisce, accetta la monetina ringraziando da buon cristiano colonizzato: "Dio ti benedica!"
Il futuro prossimo non promette bene, quasi quasi vorrebbe tornare in Nigeria, da sconfitto, a sopravvivere da sottosviluppato in un Paese dove non esistono le bollette del riscaldamento o le tasse sui rifiuti. Dove non serve mandare i figli all'asilo perchè c'è sempre qualcuno disponibile ad accudirli. Vorrebbe tornare, ma qualcosa lo trattiene: finchè il conto in banca, frutto di molte notti in fabbrica, non si sarà prosciugato completamente, James non rinuncerà a perseguire il suo sogno italiano.
Il giorno in cui un padre africano si ucciderà in seguito ad un licenziamento o a un qualsiasi fallimento, allora potremmo dire che si sarà perfettamente integrato nella nostra società!

lunedì 8 marzo 2010

DON CESARE CONTARINI RISPONDE?

LE QUATTRO PAROLE CHE RICORRONO SPESSO

Leggendo oggi su Il Mattino di Padova l'articolo sul "caso Spoladore" di don Cesare Contarini, attuale rettore del Collegio Barbarigo di Padova, ho riscontrato alcune retoriche somiglianze con un altro suo articolo che scrisse su La Difesa del Popolo, settimanale diocesano che al tempo dirigeva, proprio sul mio conto. Casualità?

Se un prete sbaglia, allora è un uomo, non un santo. Ma se è un uomo perchè non si mette sullo stesso livello dei laici quando è ora di fare delle scelte all'interno della Chiesa-popolo di Dio?

Se un'articolo turba la sensibilità delle gerarchie, allora il giornalista è malizioso o le cifre sono fuori dalla realtà.

Se i fatti sono troppo evidenti, si tira in ballo la fede come mezzo per guardare "oltre".

Infine, per apparire uomini di carità cristiana, si abusa del termine "fraternità" per augurare agli altri quello che, chi predica, probabilmente non la pratica.


CONFRONTATE LE DUE LETTERE E TROVATE LE QUATTRO PAROLE!

1. ERRORE-FRAGILITA'
2. DUBBIO
3. FEDE
4. FRATERNITA'


"Esce” un prete su quattro? Fanta-statistiche fuori dalla realtà

di Cesare Contarini

I preti fanno notizia. E certe notizie fanno colpo. Magari durano un giorno, ma intanto il botto è fatto. Così è stato per la presentazione del romanzo (dai molti tratti autobiografici) di Federico Bollettin, prete diocesano uscito dal ministero da qualche tempo e ora sposato con una donna africana. Nessuno vuole mettere sotto processo i percorsi personali e la fatica di decidere cosa fare della propria vita, anche se magari sarebbe corretto riconoscere gli aiuti ricevuti... E in ogni caso ci si poteva attendere un minimo di eleganza nel fare nomi e cognomi, nel pronunciare giudizi sugli altri, nel valutare la vita quotidiana di persone con cui si è camminato insieme; e anche nel dare i numeri.
Quello che ha impressionato molti è la cifra “sparata”: «su 76 ordinati, 19 preti usciti; e quindi un prete su quattro se ne va». Percentuali che dicono, come minimo, gravi ignoranze statistico-matematiche; sperando non ci sia malizia... È come dire che in tre anni si sposano cento coppie e cinquanta si separano: e dunque, fallirebbe un matrimonio su due. Solo che il conto va fatto su tutti i matrimoni degli anni precedenti, come – nel nostro caso – su tutti gli oltre 750 preti della diocesi di Padova. In realtà, su 76 ordinati nell’ultimo decennio si contano 2 (dico due) “uscite”.
Poi è da chiedersi anche dov’è finita la più elementare serietà giornalistica: a Padova le notizie si verificano o no? Non sorge il dubbio o è fastidioso rischiare di risolverlo? E se si spiega come sono in realtà i numeri, perché non tenerne conto? Questo vale anche per la chiesa universale: 100 mila preti sposati è un dato proprio privo di fondamento.
Le cifre non dicono tutto, ovviamente. “Dentro” ai numeri ci sono le persone, c’è il vissuto normale, attivo e sereno di tanti preti che, con pregi e limiti, si spendono generosamente qui e altrove. Nessuna “struttura” è perfetta, a volte i consigli per migliorare è più facile darli che attuarli, ma va riconosciuto il cammino percorso in diocesi: da Borca ad Asiago, per chi ha accolto l’invito a mettersi in gioco, c’è stata ampia possibilità di confrontarsi e crescere, nell’ottica di unificare fede e vita, persona e servizio ministeriale.
Strada da fare? Molta, certamente: da qui al paradiso ogni giornata è fatta di impegno e confronto, vigilanza e possibilità di errore, dedizione e tentazioni di chiusura... Tutta la vita della chiesa – ogni persona – è segnata da questo oscillare, la storia e l’esperienza lo testimoniano. E allora è meglio invocare con umiltà il Signore e ringraziarlo per il bene ricevuto e fatto, vivere con cordialità la fraternità, gestire con sapienza il limite e superare il negativo. Nella luce della fede che sostiene la speranza e dà vigore alla carità.

(giovedì 6 novembre 2008)


I preti? Uomini come gli altri
fatti di carne e fragilità


di Cesare Contarini

L’episodio raccontato dal mattino di ieri, pur con qualche aspetto difficilmente credibile, aggiunge, dopo varie vicende delle ultime settimane, altre domande e dubbi sui preti: ma cosa sta capitando, come mai tutte queste debolezze e miserie? Nel disgusto per comportamenti censurabili, nell’amarezza per amici che non ritrovano più il senso delle proprie scelte, resta in me un pensiero certo, un’idea «solida»: noi preti siamo uomini, uomini come gli altri. Cioè fatti di carne, e dunque di fragilità innata e mai archiviata; a confronto con un mondo che misura tutto e tutti con i criteri del successo, del denaro, della soddisfazione e gratificazione personale, a volte anche schiacciando i più deboli; con impegni tanto grandi e situazioni così complesse che a volte ci si sente oppressi, tanto più se il peso è accentuato da una «solitudine» più subìta che interpretata come possibilità di servizio libero e liberante.

Uomini come gli altri: non per autogiustificare la categoria, né per invocare sanatorie! Ma per ricordare che è stato così sempre: Dio ha voluto salvare il mondo servendosi non di angeli (il vescovo Antonio lo ricorda spesso) ma di uomini e donne, accettando in partenza i rischi connessi con la fragilità umana. Il Figlio di Dio, addirittura, ha scelto di farsi uomo, assumendo su di sé tutto il peso della carne umana, «cardine di salvezza», e ha affidato i suoi tesori più preziosi - il vangelo, i segni della sua grazia, la sua comunità stessa - a uomini normali, dagli apostoli a ciascuno di noi. Solo con occhi di fede si può capire il mistero di una Chiesa che attraversa i secoli consapevole della debolezza dei suoi elementi ma forte della presenza del suo Signore, che è fedele nonostante le infedeltà degli uomini e capace di rigenerare le comunità dopo le prove più dure.

Un’obiezione arriva subito, inevitabile: chi sta all’altare e sul pulpito non dovrebbe fare certe cose. Pienamente d’accordo: il dovere della coerenza con un messaggio così alto come quello del vangelo impegna primariamente chi lo annuncia «professionalmente». Anche per evitare quel duro rimprovero di Gesù («Fate quello che dicono, non fate quello che fanno»): parole che, ogni volta che tornano a messa, sono per me - e non solo per me, certo - tra le più difficili da ripetere e commentare. Perché ogni giorno misuro i limiti miei, degli amici preti, dei cristiani... E quando le azioni non sono all’altezza delle parole, quando si sperimenta il peccato anche «dentro il tempio»? Di solito non è per ipocrisia o cattiva volontà, né per imbrogliare gli altri: semplicemente per debolezza o malattia.

E allora? Al di là dell’idea di superare il celibato obbligatorio dei preti (che non pare all’orizzonte) o della delusione che porta allo scoramento, a me sembrano consigliabili due strade: misericordia e fraternità. Utili sempre nella vita sociale ed ecclesiale, preziose e indispensabili nelle vicende difficili o ingarbugliate. In concreto, vuol dire aiutare chi sbaglia e accogliere senza pregiudizi, sentirsi fratello e non censore; e se è necessario isolare chi costituisce pericolo per altri, occorre comunque tendere la mano a chi è fragile o malato, con generosità di cuore... Vuol dire anche far crescere il «noi» dell’essere Chiesa, riporre battute e sorrisetti maliziosi e sentire sulla propria carne la sofferenza altrui... Vuol dire pure scoprire e raccontare il tanto bene che c’è: anche grazie ai preti - la maggioranza - che non finiscono sui giornali o in tv.
rettore dell'Istituto Barbarigo, Padova
(08 marzo 2010)

VOLTI DI DONNE

Maria G. Di Rienzo, scrittrice e attivista della non violenza,
ha raccontato, oggi, al direttivo del FIM-CISL di Padova,
VOLTI DI DONNE


LA TESI

Dagli studi scientifici degli ultimi decenni (Margherita Mead in particolare), si può affermare che non esiste nella specie umana una differenza di genere legata al comportamento o a ruoli specifici, genitoriali o lavorativi.

LA DOMANDA
La donna che accudisce i figli e tiene pulita la casa, e l'uomo che, lavorando, porta a casa lo stipendio, è un modello universale e transculturale? E poi cosa significa che un modello è più naturale di un altro?

LA TESI
La violenza sulle donne di religione islamica o cristiana copta alle quali si impone l'infibulazione ed altre pratiche simili, non ha nessun fondamento religioso o culturale, ma semplicemente risponde al diabolico bisogno di potere e di denaro.

LA DOMANDA
Quali violenze, in nome del potere e del denaro, vengono fatte alle nostre donne italiane? Che siano operaie o impiegate, insegnanti o badanti?

IL CORPO DELLE DONNE


(tratto da www.ilcorpodelledonne.net)

Questa è la copertina di D di Repubblica di questa settimana.

Il primo principio del marketing, a cui ogni impresa con obbiettivi di profitto si ispira, è che la pubblicità di un prodotto sarà di successo quanto meglio interpreta i desideri, espressi o meno, dei potenziali acquirenti.


DUNQUE:

A chi si rivolge questa pubblicità?

Chi comprerà questi mutandoni la prossima primavera?

Esiste qualcuna tra di voi che abbia più di 8 anni, che pensa di star bene con queste mutande?

Esiste qualcuna tra di voi che conosce qualcuna tra le amiche che starà bene con queste mutande?


A chi piace una ragazza così brutalmente magra?

Chi non è disturbato nel guardare una ragazza così sofferente?

Perché la ragazza non sorride?


“IL RE E’ NUDO!” lo vedo, anzi lo vediamo!

QUESTE PUBBLICITA’ NON CI PIACCIONO.

Bisogna farlo sapere agli stilisti e a chi si occupa delle loro campagne pubblicitarie.

Non è un commento banale, credetemi.

Manca un ponte, un collegamento tra chi crea queste campagne e i potenziali acquirenti.

domenica 7 marzo 2010

RELIGIONE DELL'INCARNAZIONE O DELLA SPIRITUALIZZAZIONE?

LA REPRESSIONE CHE CREA DEVIANZA

Come mai proprio il cattolicesimo, la "religione dell'incarnazione", l'unica fra tutte le religioni del mondo, ad aver incarnato Dio, ha così paura del corpo e della carne?

Umberto Galimberti

Ma perché il fenomeno degli abusi sessuali è così diffuso proprio nelle Chiese cattoliche dirette da uomini non sposati?

Beninteso, queste devianze non sono esclusivamente dovute al celibato. Ma esso è strutturalmente l'espressione più rilevante della relazione distorta che la gerarchia cattolica ha con la sessualità, la stessa che determina il suo rapporto con il problema della contraccezione e molti altri.

Hans Kung

sabato 6 marzo 2010

ELEZIONI FARSA

ATTO DI VIOLENZA POLITICA

Quanto ha fatto ieri Napolitano mi ricorda il comportamento di Vittorio Emanuele III quando Mussolini ordinò la marcia su Roma. Poteva fermarlo, scelse di chinare la testa. Ieri, Napolitano poteva, anzi, doveva non firmare quel decreto, ma ha scelto di chinare la testa. Speriamo non finisca come nel 1922. Per questo potremmo anche chiedere l'impeachment del presidente Napolitano perchè quello accaduto ieri travalica ruoli e funzioni della presidenza della Repubblica.

(on Massimo Donadi -Idv)

MISERICORDIA IO VOGLIO

IL GRUPPO BIBLICO "VANGELO E YOGA" HA LETTO E MEDITATO IL CAP 12 DI MATTEO

Un ritornello ci martella continuamente: C'è qualcuno più grande del Tempio! Fare il bene viene prima di qualsiasi legge! "Misericordia io voglio e non sacrificio"

La trasgressione del precetto del riposo sabbatico da parte di Gesù ebreo, ci interpella: che rapporto abbiamo con le leggi? Con la religione?

Per molti, l'educazione ricevuta ci imprigiona ancora dentro la comodità di un obbedienza sterile e rigida. Quanto è più liberante, ma estremamente difficile, servirsi delle leggi (necessarie) senza però essere schiacciati da esse! Il prezzo da pagare è solitudine, incomprensione, pazienza. Come si saranno sentite le persone guarite da Gesù in giorno di sabato? Salvate attraverso la trasgressione di una legge religiosa? Essere accettati dalle persone pie sarà stato davvero faticoso!

BISOGNI PRIMARI, BUON SENSO, AMORE, mettono continuamente in discussione le leggi fatte dagli uomini. In nome di Dio e del Denaro. Rubare per fame non è peccato.

Essere superiori alle leggi, saper prendere ciò che è buono e lasciar cadere ciò che è inutile o dannoso, è un continuo esercizio...
Ciò che è bene per me lo è automaticamente anche per gli altri?

Se il giudizio degli altri mi pesa ancora, se ho la sensazione di essere perseguitato, non sono realmente in pace con me stesso. Devo ancora convincermi che la trasgressione ad una legge che considero contingente, relativa, dannosa, era davvero necessaria per il bene mio e degli altri.

Gesù non abolisce tutte le leggi ebraiche. Continua a frequentare la sinagoga in giorno di sabato, ad esempio, ma è molto incazzato sull'assurdità di molti precetti. Non accetta che un poveraccio resti immobile davanti alla propria capra (unica fonte di sostentamento) che sta cadendo in un burrone, soltanto perchè di sabato un ebreo non deve muovere un dito!

Misericordia non è assistenzialismo, buonismo, anarchia, ingenuità.
A volte costa rimproverare, mettere dei paletti, dire dei no, ma se il fine è il bene della persona e non la legge per la legge, ben venga.

LA DOMANDA

Quante parole d'amore, di speranza, di positività, ci diciamo e seminiamo in un giorno?

LA PREGHIERA

Il gruppo ricorda con affetto, porta nel cuore, offre a Dio, l'amico Nerio. Riposi in pace.

venerdì 5 marzo 2010

IN RICORDO DI NERIO

IMPOTENTI DI FRONTE A UN AMICO CHE SI TOGLIE LA VITA

Appena tornato dalla Nigeria, alcune notizie mi hanno già riportato brutalmente dentro a questa realtà. Tra queste la morte di un amico, conosciuto di recente, in occasione di un incontro a Padova con don Franco Barbero e durante le prime serate del gruppo biblico "Vangelo e yoga".
Una persona intelligente, in continua ricerca, rispettosa e aperta al dialogo. Mi aveva invitato al suo gruppo di Vicenza "La Parola" per una riflessione su "Cristiani liberi e responsabili nella chiesa di Dio" prevista per il 14 marzo prossimo. La sua scelta lascia sconvolti tutti. Soffriva ma non lo faceva pesare. E chi lo conosceva si starà ancora colpevolizzando per non essergli stato più vicino. Aveva dentro di sè pesi insopportabili o resi insopportabili da altri: la società, la Chiesa, l'educazione...altri soggetti anonimi e vaghi.
Non voglio pubblicare tutto quello che mi ha scritto e che mi ha detto, soltanto due lettere, che denotano sì la sofferenza ma anche una grande generosità e sensibilità.

Dio Padre,
accogli Nerio nel tuo abbraccio materno,
fa' che sperimenti la pace del non giudizio,
e donaci la forza
per reagire
alle parole di morte
di questa società,
seminando speranza.

REAGIRE CON LA PROPRIA FRAGILITA'

Caro Federico,
ti ringrazio molto per quanto mi scrivi.
Hai ragione quando dici che i sensi di colpa mi sono stati trasmessi da questa Chiesa e da questa società però purtroppo questa è stata la mia realtà di vita e non un’altra. In questa Chiesa sono stato educato e cresciuto e in questa società mi sono trovato a vivere e convivere.
E a tutto questo io ho reagito con le mie forze,
con la mia fragilità,
con la mia sensibilità...



LA CONDIVISIONE

Ho voglia di raccontarti questa piccola storia:

Una settimana fa mi chiedevo che cosa portare a te e alla tua famiglia come regalo di Natale sapendo che quasi certamente sarei venuto ieri a trovarvi.

Fra le varie idee che mi erano venute alla mente ho scelto quello che mi sembrava più utile e anche più originale: un bel cesto natalizio!

Ma non di quelli che trovi nei vari supermercati già belli confezionati e super-incelofanati bensì un vero e proprio cesto, trovato in cantina fra le cose che conservo della mia famiglia, di quelli che si usavano e si usano ancora per andare a funghi o per raccogliere frutta, castagne etc…

Volevo infatti portarvi in dono, dei prodotti tipici della mia città o comunque della nostra terra. Ci ho messo quindi due scatole di “bigoli de Bassan”, una bottiglia de “tajadea”, della mostarda, del cioccolato, del riso, dei datteri, una sacchetto di farina gialla “vicentina” e qualcos’altro…..

Causa la neve che mi sono ritrovato sabato al mio risveglio e dopo averci sentiti al telefono, non sono più venuto…… rimandando l’incontro, come ben sai.

Sai che fine ha fatto il “tuo” cesto, che avevo preparato con tanta cura?

Nel primo pomeriggio mi chiama una ragazza rumena con cui sono in contatto da alcuni mesi e che ho un po’ aiutato. Vive qui a Bassano con una sorellina di 16 anni e con la sua bambina di appena 3 anni, una bambina molto bella avuta da suo marito che poco dopo la nascita l’ha abbandonata, non avendo assolutamente voglia di assumersi la responsabilità di una famiglia.

Questa ragazza (ha appena 25 anni) non ha un lavoro e da tanti mesi attende che la Questura la chiami per regolarizzare la sua presenza qui in Italia.

Mi ha chiesto se potevo darle qualcosa per acquistare da mangiare e per dei medicinali per la bambina che ha problemi intestinali dovuti alla scarsa e scorretta alimentazione.

Mi sono poi incontrato con lei verso le 15.30 (c’era un freddo boia!) e le ho dato buona parte di ciò che c’era nel tuo cesto, tranne ovviamente la bottiglia di “tajadea” essendo un liquore alcolico.

Venerdì prossimo è la festa cristiana del Natale e penso che vivere la con-divisione con chi è nel bisogno sia lo spirito giusto per “fare spazio” a Dio nella nostra vita e nel nostro cuore.

Non ti ho raccontato questa storia perché tu mi dica che sono bravo e buono, avevo semplicemente voglia di raccontarla a qualcuno e tu hai la sensibilità giusta per capirla e valutarla nel modo giusto.

LIBERACI DAL MALE

DAL MARE E DAI MARONI

"Un amico sacerdote ci ha raccontato che gli emigranti di fede cattolica che salgono sulle barche della speranza, in mezzo al mare pregano recitando il Padre Nostro, e quando arrivano al “liberaci dal male”, aggiungono dal “mare” e dai “Maroni”."

(dalla lettera della Rete Radiè Resch di marzo 2010)

mercoledì 3 marzo 2010

TORNATI DALLA NIGERIA

RIPENSO E CONFRONTO

Sono tornato dal caldo della Nigeria
e mi ritrovo al freddo di un Paese più organizzato e sicuro,
meno colorato e meno contento.
Qui posso uscire di casa tranquillamente,
ma non trovo nessuno per strada.
Qui posso fidarmi di tutti,
ma non ho bisogno di nessuno.
Qui i servizi sono più efficenti,
e non serve spiegarsi, contrattare...entrare in relazione.

Ho atteso per tre ore, sotto il sole, la partenza di un pulmino. Assurdo.
Là si parte soltanto quando si è pieni, strapieni.
Durante il viaggio però i passeggeri parlano e discutono. Confusione.
Là nessuno disturba nessuno.
Le braccia sudate toccano le spalle del vicino. Contatto.
Là si vive il corpo con naturalezza.

Sono tornato nell'ordine,
i rifiuti non si vedono lungo le strade, eppure ne produciamo molti di più.
Le nostre auto non emettono quel fumo nero, eppure l'aria è più inquinata.
La sanità e la scuola sono accessibili a tutti,
e questo non è davvero scontato.

Grazie a Dio, stiamo tutti bene.

sabato 27 febbraio 2010

DENARO: EPIFANIA DI UN DIO PAGANO



UNA RIFLESSIONE SUL RAPPORTO DIO-DENARO

Dio e il denaro, secondo il vangelo, non dovrebbero andare insieme, anzi dovrebbero contrapporsi fortemente. "Difficilmente un ricco entrera' nel regno di Dio!" In Nigeria, sono invece le due parole piu' pronunciate e quelle piu' strettamente collegate: se i tuoi affari vanno bene, significa che Dio e' con te, che Dio ti ha benedetto. Non importa come ti sei procurato quei soldi, l'importante e' averli e mostrarli. Se la chiesa che frequenti ha le strutture piu' imponenti ed efficenti, significa che ha ricevuto maggior potere da Dio. Esistono infatti molte chiese di ispirazione "cristiana", da quella cattolica a quella anglicana, da quella luterana a quella battista, fino a moltiplicarsi nelle varie chiese pentecostali. L'unica cosa positiva: il messaggio di Gesu' non e' monopolio della chiesa cattolica romana. Per il resto tanta confusione, interessi personali, storpiature del messaggio biblico, poverta' culturale. All'estremo bisogno di spiritualita', insito nella cultura tradizionale africana, vengono offerte soluzioni inquinate dal materialismo occidentale. La forma, l'apparenza, diventano piu' importanti della sostanza, degli atteggiamenti. In questo modo il denaro e' diventato l'epifania di Dio, la sua manifestazione per eccellenza.

Questa stonatura, presente in tutto il mondo, risalta maggiormente in un Paese dove frasi come "Dio e' buono" o "la volonta' di Dio e' la cosa migliore" sono impresse sui finestrini delle auto, sulle insegne pubblicitarie, sui biglietti da visita, ecc... Alla fine di ogni film nigeriano compare la scritta "To God be the glory" (A Dio la gloria), dentro il testo di ogni canzone il ritornello "Thank God" (Grazie a Dio).
Il troppo storpia, dal mio punto di vista. Basta mettere il nome di Dio e automaticamente quella cosa diventa giusta e giustificabile. Peccato antico, vizio moderno. Su questo concetto il marketing ci campa! Mi ricorda il mafioso seduto nei primi banchi di una chiesa, il politico razzista che difende il crocifisso, il religioso che intasca soldi a suon di benedizioni.

Ho come la sensazione che noi, "civilta' sviluppata", abbiamo esportato nei cosiddetti "Paesi Sottosviluppati" (distinzione diabolicamente inventata da noi!) i nostri peggiori difetti.

mercoledì 24 febbraio 2010

PULIZIA ETICA



E' TORNATO

Il presidente della Nigeria, Umaru Yar'Adua, assente dal Paese da circa tre mesi per motivi di salute, e' ritornato proprio ieri sera ad Abujia.
Secondo alcune fonti e secondo l'opinione della gente, e' ritornato per rimuovere i ministri troppo corrotti, per fare pulizia in uno Stato dove i soldi sono mal distribuiti. Molti lo amano, si sta impegnando a costruire strade, creare sicurezza ed aumentare il salario degli operai. Ma che cosa puo' fare un uomo onesto circondato da uomini assetati di denaro?

lunedì 22 febbraio 2010

ABUJIA (seconda parte)

1. I CENTRI COMMERCIALI in Nigeria si chiamano Plaza.
L'amico MD (Mohammed) che in questi giorni mi ha accompagnato a visitare Abujia, di giorno e di notte, ci tiene a mostrarmi con fierezza l'ultimo centro commerciale, con scala mobile. Deve ancora essere completato, ma alcuni negozi hanno gia' allestito le vetrine. Noto alcune insegne che attestano la presenza di prodotti made in Italy. "Bellisima" (con una esse) aprira' prossimamente. Noi italiani siamo conosciuti per le scarpe, gli occhiali da sole, e la qualita' dell'abbigliamento. Tutto qua? Non manca niente: sale gioco per bambini, sale cinematografiche, fast food, due limusine parcheggiate all'esterno.

2. CONDIZIONATORI E TV sono assolutamente presenti nelle stanze di qualsiasi hotel, sono il business mai in crisi. Oggi non vedevo l'ora di uscire al caldo umido, piuttosto che soffrire il freddo esagerato del condizionatore, acceso 24 ore su 24. Sono proprio cosi' strano? Esistono poi due canali: Africa Magic Plus, che proietta continuamente film nigeriani, e CNN che racconta di realta' extraterritoriali.

3. UN QUOTIDIANO di Abujia, "The Nation", riportava l'altro giorno un editoriale sulla figura di Nelson Mandela, quale leader politico non abbastanza imitato dalle nuove leader ship africane. Il senso del sacrificio che caratterizzo' la sua vita e la sua attivita' politica, sembra assente negli attuali presidenti.

4. I GHETTI all'entrata della citta', sono abitati anche da studenti dell'universita' che non possono permettersi sistemazioni migliori. Varie etnie convivono pacificamente. E' ancora forte il senso di appartenenza alla propria tribu', e cio' rende affascinante la bellezza delle diversita'.

sabato 20 febbraio 2010

ABUJIA


CAPITALE DELLA NIGERIA

Da circa 20 anni la capitale della Nigeria e' stata trasferita da Lagos ad Abujia, cosi' come e' accaduto per molti stati africani. La sede del presidente, i ministeri, gli uffici amministrativi necessitano di un luogo piu' sicuro e decoroso della citta' piu' popolosa, spesso collocata sulla costa, luogo di commercio e di criminalita'.

L'attuale presidente della Repubblica Federale della Nigeria e' Alhaji Umaru Musa Yar'Adua, di etnia hausa e di religione musulmana. Gli hausa sono persone molto tranquille, semplici, disponibili e accoglienti. I lineamenti del volto sono sottili, e la statura longilinea.

La moschea centrale (nella foto) si riempie al venerdi' per la grande preghiera. Anche il presidente vi partecipa, salvo imprevisti. Sono stato richiamato per aver scattato una foto, cosi' come in altre occasioni. Io che vorrei mostrare in Italia le bellezze dell'Africa... Non siete stanchi di vedere i volti sofferenti o i corpi scheletrici di bambini africani?

La permanenza ad Abujia sara' piu' lunga del previsto, a causa della burocrazia che lavora con l' african time e la corruzione. Per ottenere la cittadinanza italiana, a Fidelia servono molti documenti, molti soldi, molto tempo. Quanti anni sono necessari perche' uno straniero "in regola" sia riconosciuto italiano? Qualche anno sulla carta, piu' di una generazione nella mentalita' della gente.

mercoledì 17 febbraio 2010

AUCHI


TERRA NATALE DI FIDELIA

Dopo 10 anni, mia moglie ha rivisto sua madre. L'incontro mi ha commosso. Lo stesso sorriso, la stessa semplicita', le stesse radici.

Poche parole, tanti sguardi.

Ho percepito la sofferenza di una nonna lontana dai suoi nipotini, che non si fanno prendere in braccio perche' non l'hanno mai vista. La distanza fisica divide. Gli occhi dei bambini sono la loro realta'.

Il viaggio continua di hotel in hotel. Il proprietario del Uyi Grand Hotel in una foto appesa all'ingresso, porta appesa al collo una collana d'oro con il simbolo del dollaro (e non della croce, per fortuna).

Il guardiano mi racconta che alcuni giovani vengono in questo hotel per spendere tutti i loro risparmi, vivendo da signori almeno per qualche giorno. Il modello della felicita' che vende la televisione, presente ovunque, non favorisce un reale sviluppo culturale e sociale.

lunedì 15 febbraio 2010

LAGOS


DIETRO LE SBARRE DEL BEESAM HOTEL

Appena atterrati l`aria calda ci ha dati il benvenuti. Vedere tutti neri ha invertito la prospettiva: ora sono io minoranza, a volte discriminata, a volte supervalutata.
Trovare una sistemazione adeguata alle nostre esigenze non e` stato facile, non vogliamo ne` il lusso dei vip col gippone, ne` la sporcizia della miseria.
`Questo posto non e` sicuro. Devi rimanere dentro la stanza dell`hotel!`
Fare un viaggio con questo ritonello, significa semplicemente compiere uno spostamento fisico. Sono un oibo (bianco) e vogliono trattarmi come tale. Ma io non voglio.
Eppure lo devo accettare.
Voglio essere libero di camminare lungo le strade, assistere a scene di vita quotidiana, conoscere la realta`, non sentirmi rinchiuso dentro un`Africa d`elite. Per un bianco la vita in Nigeria e` molto cara. Come il caffe` di un bar in piazza san Marco a Venezia.
Il colore della mia pelle rimane l`eterna discriminante nonostante abbia sposato una donna Africana. Ho sposato i soldi prima di tutto - secondo loro. E non ci credono alla favola della crisi.
Dietro le sbarre dicono che sono al sicuro. Dentro una stanza buia, disturbata dal rumore del generatore e dal volume della televisione sempre accesa. Sicuro ma nervoso, curioso di vedere aldila` del muro. Ogni tanto, ma sempre piu` frequentemente, si aggiunge l`inquinamento degli aeri che atterrano e decollano nella citta` piu` popolata della Nigeria. Lagos: il paradiso e inferno del business.
Dietro le sbarre inizio a capire dove sono.

venerdì 12 febbraio 2010

SIAMO IN NIGERIA

DAL 12 FEBBRAIO AL 3 MARZO

Stamattina parto per la Nigeria,
con la mia famiglia,
alla scoperta delle radici di Nera.

Un viaggio nel Paese più popolato dell'Africa,
dove tradizione si scontra con occidentalizzazione.

Se riesco vi terrò informati,
da un internet point qualsiasi.


Vi ricordo:

1. LE RISONANZE DEL GRUPPO BIBLICO "VANGELO E YOGA" LE POTRETE TROVARE NEL BLOG DELL'AMICO IVANO MADDALENA

2. DOMENICA 28 MARZO ALLE ORE 16 CI SARA' LA PRESENTAZIONE DEL PROSSIMO VIAGGIO IN CAMERUN DI GRUPPO, PRESSO LA CAPPELLA SAN GIUSEPPE LAVORATORE, VIA IV STRADA 7, ZONA INDUSTRIALE DI PADOVA.

VIAGGIO IN CAMERUN 2010


...NELL'AFRICA NON RACCONTATA DAL MONDO OCCIDENTALE.
DAL 18 NOVEMBRE AL 5 DICEMBRE 2010



Promotori

-Federico Bollettin, scrittore e operaio, ha frequentato l'Istituto Interculturale di Montreal (Canada), membro del consiglio direttivo di Macondo, associazione per l'incontro e la comunicazione tra i popoli, accompagna gruppi di persone in Camerun dal 2003. Abita a Padova.

-Eliot Ngounou, camerunese, laureato in matematica, mediatore culturale nella Riviera del Brenta (VE), lavora al mercato agroalimentare ed è membro del consiglio direttivo di Migramente, associazione interculturale di Padova.

-I partecipanti ai precedenti viaggi in Camerun, con i loro racconti e i loro “consigli”.

Scopo del viaggio

Lo scopo del viaggio è, prima di tutto, quello di conoscere uno stato africano, non-raccontato dal mondo occidentale, con uno sguardo che cerca di vedere oltre la prospettiva assistenzialista.
Il Camerun gode attualmente di una situazione politica tranquilla, priva di guerre di religione o lotte civili.
Inoltre sarà l'occasione per continuare il rapporto di collaborazione con i giovani dell'associazione AJD (Associazione dei Giovani per lo Sviluppo) per la realizzazione del “progetto Ngambè Tikar” che prevede la costruzione del Centro Sociale di Ngambè-Tikar, luogo di ritrovo e di formazione per i giovani del villaggio.

Requisiti fondamentali

1)Spirito di adattamento

2)Sufficiente maturità relazionale

3)Svuotamento delle proprie verità per accogliere il “diverso” fuori e dentro di sé



Programma del viaggio

Giovedì 18 novembre:Partenza da Venezia alle 9.50 e arrivo all'areoporto di Douala alle 19.25, sistemazione presso la “Procure Generale des Missions” (+237.3422797).

Venerdì 19:Partenza per Ombessa, vicino a Yaoundè, dall'amico Etienne, parroco della comunità cattolica.

Sabato 20:Saluto del sindaco di Ombessa e visita ad una cooperativa agricola. Nel pomeriggio visita alla capitale Yaoundè. La cattedrale, il quartiere musulmano e il mercato dei souvenir. Serata disco al Safari Club.

Domenica 21:Giornata di relax e di incontro con la gente di Ombessa.

Lunedì 22:Partenza per il villaggio di Foumban, dove parteciperemo alla famosa festa tradizionale (vedi video). In questi giorni saremo ospitati e guidati da Marie, membro dell'associazione AJD.

Giovedì 25:Partenza per il villaggio di Ngambè-Tikar accolti e ospitati da Jacques, parroco della comunità cattolica e dai giovani dell'associazione AJD. Saluto del capo del villaggio, visita al progetto del Centro Sociale che stiamo finanziando. Vita di villaggio.

Lunedì 29:Partenza per Ngaoundere, città del nord caratterizzata dalla convivenza pacifica tra diverse religioni ed etnie. Saremo ospitati e guidati da Martin, pastore luterano.

Giovedì 2 dicembre:Alla sera ritorno a Douala con il treno, in cuccetta.

Venerdì 3:Pernottamento alla “Procure Generale des Missions”. Verifica del viaggio. Ultime spese.

Domenica 5:Alle 20 in areoporto. Partenza alle 23.55, arrivo a Venezia alle 8:45.

Note tecniche

-Il prezzo complessivo del viaggio è di 1600 euro (incluso: volo + spese areoportuali + visto + vitto e alloggio + spostamenti interni + sostegno progetto Ngambè-Tikar, escluso: assicurazione + vaccini) suddiviso in due rate.
-É obbligatorio il vaccino contro la febbre gialla da inserire dentro al passaporto, per informazioni sulle malattie tropicali e sui vaccini faremo un incontro a Padova con un medico del Centro Malattie Tropicali “Negrar” di Verona.
-É obbligatorio il visto (modulo da compilare + 2 foto tessera) da inserire dentro al passaporto valido oltre 6 mesi dalla data del viaggio.
-É obbligatorio partecipare a 2 incontri di preparazione a Padova. Il primo sarà domenica 28 marzo alle ore 16, presso la chiesa san Giuseppe Lavoratore, via IV Strada 7,zona industriale di Pd.

Per l'iscrizione o per ulteriori informazioni telefonare a Federico Bollettin, 3291746567, oppure invia una mail a bollettin.federico@libero.it.

I SERMONI SCONOSCIUTI DI ANTONIO DA PADOVA

DAL 15 AL 20 FEBBRAIO A PADOVA OSTENSIONE DEL SANTO

MIGLIAIA DI FEDELI, MILIONI DI EURO, IL BUSINESS DELLA RELIGIOSITA'



Antonio di Padova (nato a Lisbona verso il 1190-95) è conosciuto come il santo degli oggetti smarriti o come il fraticello imberbe che si trastulla col Bambinello.
Quasi sconosciuta è l'opera letteraria di questo santo, riversata in sermoni rimasti volutamente sconosciuti per la scandalosa violenza delle espressioni usate contro la gerarchia ecclesiastica. Il Sant'Uffizio, ancora nel 1948, proibiva la traduzione in lingua italiana dei "Sermones Dominicales", perchè i fedeli non erano pronti (dopo sette secoli!) a sostenerne l'impatto.


"I prelati del nostro tempo non sono discepoli di Cristo ma dell'anticristo" (Sermone della IX Domenica di Pentecoste)

Antonio smaschera l'ipocrisia di una chiesa corrotta che, abbandonando il vangelo, crede solo al proprio prestigio e difende i suoi privilegi, innalzando muraglie di decreti e leggi canoniche.

"Ahimè, quante cose mangia il prelato e i poveri gridano alla porta con il ventre vuoto e nudo" (Sermone XXII Dom. Pent.)

"I sacerdoti, anzi, per meglio dire, i mercanti, tendono la rete dellaloro avarizia per ammassare denaro. Celebrano la messa per denaro, e se non fossero sicuri di ricevere i soldi, certamente non celebrerebbero la messa; e così il sacramento della salvezza lo fanno diventare strumento di cupidigia" (Sermone V
Dom. Pent.)

Cosa farebbe Antonio se entrasse dentro alla basilica costruita in suo disonore?

mercoledì 10 febbraio 2010

PREPARATIVI PER IL VIAGGIO IN NIGERIA


(nella foto l'areoporto di Lagos "Murtala Mohammed")

"Io voglio abitare in una città africana,
in una strada africana,
in una casa africana,
altrimenti come posso conoscere questa città (Lagos-Nigeria ndr),
questo continente?
Ma per un bianco abitare nel quartiere africano
è tutt'altro che facile.
I primi a indignarsi e a protestare sono gli europei,
secondo i quali ragionare come me
significa avere qualche rotella fuori posto.
Quindi fanno di tutto per convincermi,
per mettermi in guardia".


(Ryszard Kapuscinski, Ebano)

RIPARTIRE DA SE STESSI

Traggo spunto da un pezzo di una bella lettera che ho ricevuto, per ricordarci due strade parallele e complementari per superare i momenti di difficoltà:
-RIPARTIRE DA SE STESSI
-TROVARE VERI COMPAGNI DI VIAGGIO


Ciao Federico,[...]
Mi sono separata da più di un anno da mio marito, una storia sofferta come tutti gli amori falliti... e in questa mia situazione sono dovuta ripartire alla ricerca di me stessa, delle radici della mia fede, del mio spazio all'interno della Chiesa dei no... Ho trovato compagni di viaggio sensibili, attenti, veri annunciatori del Vangelo della vita e dell'amore, che mi hanno accompagnata da "lebbrosa" a donna riaccolta nell'abbraccio dell'amore di Dio...[...]

martedì 9 febbraio 2010

SENTIRSI IMPOTENTI

...E ASPETTARE

Vi siete mai tremendamente scoperti impotenti, dentro una situazione che pensavate gestibile?
Mi è capitato ieri, mentre accompagnavo un ragazzo autistico in piscina. Non era la prima volta e neppure la seconda, da anni ormai ci conosciamo. Sua madre mi diceva che ultimamente era nervoso, si isolava più del solito. Mentre eravamo in macchina, inizia la sua crisi. Ha cominciato a tirarmi i capelli, lanciarmi pugni, dimenarsi come mai lo avevo visto prima. Cosa bisogna fare in queste situazioni?
Ho accostato rapidamente la macchina, e ho cercato di contenerlo, afferrandolo per le mani. "Sei arrabbiato con me? Non desideri più la mia compagnia?" Ero spaventato, i miei muscoli lottavano con un'altra forza incredibile. Non era un litigio tra coetanei, nè un assalto ad un ladro. Mi sembrava così assurdo usare la forza fisica per tenere qualcuno, non sono un tipo violento. Nella mia vita le ho sempre prese, pur essendo massiccio. Continuavo a tenerlo bloccato, nel frattempo ho telefonato alla madre, dicendole di arrivare al più presto possibile, dopo il P1 ad Abano, sulla sinistra. Ho anche pensato di chiamare il 118, ma non potevo trattarlo come un delinquente.
Cosa potevo fare? Non ero in grado di calmarlo. "Nel nome di Gesù, ritorna in te stesso!" non ha funzionato. Avevo bisogno di aiuto, della ricetta magica contro tali disturbi. La bontà non bastava. Dovevo accettare l'inaspettata sconfitta al posto di un'appagante servizio di volontariato e di amicizia.
Ora mi chiedo: lo porterò ancora in piscina?

PERMESSO DI SOGGIORNO AGLI OGM

OGM: PUNTO DI NON RITORNO?
di Marcello Pamio

Entro aprile 2010 gli ogm faranno il loro ingresso nell’agricoltura italiana.
Parola del Consiglio di Stato!
Il più alto organo della “giustizia amministrativa” italiana, ha sentenziato il 19 gennaio 2010 (con sentenza depositata in Segreteria), almeno sulla carta, un punto a favore (e palla al centro) dei colossi del biotech. (leggi tutto)

CONDANNA PRETI PEDOFILI: E LA PREVENZIONE?

IL BICCHIERE MEZZO PIENO
di Ernesto Miragoli

Non solo da ieri i giornali titolano a tre colonne la ferma condanna papale sui preti dei quali è stato acclalarato in sede giudiziale il reato di pedofilia evidenziando i senza "se" e senza "ma" di papa Ratzinger.
Non perdo righe per dichiarare il mio assoluto consenso al comportamento papale:guai se così non fosse! Guai se tali perversi soggetti fossero "coperti" e blanditi in nome di una carità cristiana che tale non è. Gesù avrebbe preso la frusta, come nell'episodio delle bancarelle del tempio di Gerusalemme.
Ma il bicchiere è mezzo pieno.
La pedofilia è un atteggiamento che evidenzia, in chi lo pratica, una mancata maturità sessuale che degenera in perversione. Ma anche l'ostinata ricerca del sesso etero ed omo praticato da uomini di chiesa nel silenzio omertoso delle canoniche e dei conventi è segno di mancanza di maturità sessuale e di perversione.
E qui nessuno condanna, nessuno processa, nessuno considera il problema.
Nelle mie richieste di colloquio con esponenti dell'episcopato per accendere la loro attenzione in merito all'anodinità della legge celibataria, fra gli argomenti che adduco sottolineo proprio la mancanza di maturità sessuale da parte di uomini e donne di chiesa che sono portati alla scelta della vita consacrata con la convinzione che il sesso sia sporco, peccato, cosa da non farsi, argomento di cui non parlare, realtà dalla quale stare lontani se si vuole intraprendere questa strada.
Si generano così uomini e donne "monchi e monche"; uomini e donne che vivranno pulsioni e sentimenti come tutti i loro simili, ma che inibiranno i sentimenti stessi o lo sfogheranno in silenziosi angoli solitari od omertosi giochi di coppia di cui si pentiranno prima, durante e dopo, ma di cui sentono di non poterne fare a meno e di cui si rimprovereranno dapprima colpevolizzandosi profondamente e poi cercando disperatamente un'assoluzione sacramentale da un prete che non conoscono e che non lo conosce, macerandosi nell'interrogativo che fu già di S.Paolo:"Video meliora proboque, deteriora autem sequor".
Il bicchiere è mezzo pieno perchè non basta la condanna senza "se e senza "ma": ci vuole la medicina.
Una medicina che riveda la teologia e la spiritualità cattolica in cui l'uomo e la donna sono creature di Dio, immagine dell' "Amor che move il sole e l'altre stelle", complementari anche (ma non solo) nella diversità fisica e compagni nelle strade di una vita che scelgono di vivere come coppia o da singoli. Papa Ratzinger avrebbe i titoli per dedicarsi a questa importante riforma ecclesiale: è teologo serio e rigoroso, è studioso di vasta cultura, è uomo sensibile e forte fede.
Gli manca il coraggio?

LIBERTA' DI CURA: ELUANA UN ANNO DOPO

di Ignazio Marino



Si tratta di un problema di libertà individuale che non può non essere garantito dalla Costituzione quello cioè di affermare che non possono essere imposte obbligatoriamente ai cittadini pratiche sanitarie”.
Aldo Moro, dibattito sull'articolo 32 della Costituzione, Commissione per la Costituzione della Repubblica Italiana, 28 gennaio 1947



Il 9 febbraio 2009 Eluana Englaro, dopo 17 anni passati senza coscienza in un letto, divenne finalmente libera. Direi liberata, dall'impegno civile di un padre esemplare e dal sussulto democratico di una parte del Paese che non tollerava l'illecita invadenza dello Stato nell’imporre ad una persona terapie non volute per prolungarne l’agonia.

Il dibattito sul testamento biologico fu allora travolto e nell'Aula del Senato si arrivò all'approvazione di una legge contro la libertà di scelta, calpestando il principio dell'autodeterminazione dell'individuo.

Oggi vi scrivo per ribadire, ad un anno dall'appello sul sito www.appellotestamentobiologico.it che vi ha visti firmatari, insieme a personalità del mondo giuridico, della cultura, dello spettacolo, dello sport (da Gustavo Zagrebelsky a Marcello Lippi, da Eugenio Scalfari a Luciana Littizzetto): non permettiamo che venga dato il via libera a una legge contro la libertà di scegliere.

La legge approvata dalla destra al Senato lo scorso marzo è adesso all'esame della Camera dei Deputati che la renderà presto definitiva. Si tratta di una norma contro la libertà individuale nella scelta delle terapie. Di fatto impone a tutti noi l'obbligo di terapie mediche quali la nutrizione e l'idratazione artificiali, anche se siamo contrari ad esse, anche se servono solo a prolungare una irreversibile agonia.

La strada da percorrere è un confronto aperto e libero da condizionamenti ideologici, per una legge che tutti condividano. Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha mostrato aperture in tal senso, ma il Governo sembra voler utilizzare la propria forza per imporre un voto ideologico sul testamento biologico, contro le evidenze scientifiche e la libertà individuale.

Il mio impegno su questi temi continua più forte di prima.

Per questo chiedo a voi, donne e uomini liberi e laici, di esercitare i vostri diritti di cittadini, promuovendo un'azione di pressione sulla Camera dei Deputati.

E' il momento di fare sentire la nostra voce: scriviamo al Presidente Fini, utilizzando un modello di lettera che vi allego oppure scrivendo un testo diverso. Se saremo in tanti riusciremo a fare "massa critica" e non resteremo inascoltati.

Per scrivere a Gianfranco Fini manda un'email a: fini_g@camera.it


Ignazio Marino



Presidente Fini,

sono un sostenitore dell'appello per il testamento biologico (www.appellotestamentobiologico.it) promosso dal senatore Ignazio Marino e da numerose personalità del mondo giuridico, scientifico e culturale italiano.

La legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, approvata dal Senato sarà presto all'esame dell'Aula della Camera dei Deputati.

Le scrivo per invitarLa a non ignorare la mia voce.

Chiedo una legge per il diritto alla salute ma contro l’obbligo alle terapie.

Chiedo una legge laica, tracciata nel solco dell'art. 32 della nostra Costituzione.

Mi auguro che il Suo contributo sia determinante nell'aprire una nuova fase di riflessione e condivisione su un testo che attualmente è contro le evidenze scientifiche e la libertà individuale.

Un confronto che consenta di uscire da un’impostazione ideologica, rendendo la legge utile per le persone in modo che ciascuno possa scegliere liberamente a quali terapie sottoporsi e a quali rinunciare.

Grazie


Firma

lunedì 8 febbraio 2010

COME DIVENTARE CATTIVI

Era stato trasformato in "peccatore",
cacciato in una gabbia,
lo si era rinserrato tra idee semplicemente orrende e lì se ne stava malato, miserabile, maldisposto verso se stesso:
colmo d'odio verso gli impulsi vitali,
pieno di sospetto contro tutto quanto era ancora forte e felice.
Insomma, un "cristiano".


Friedrich Nietzsche

(da Il crepuscolo degli idoli)

LE IMPRONTE DIGITALI DI ALDA MERINI

Le mie impronte digitali
prese in manicomio
hanno perseguitato le mie mani
come un rantolo che salisse la vena della vita,
quelle impronte digitali dannate
sono state registrate nel cielo
e vibrano insieme
ahimè
alle stelle dell'Orsa maggiore.


Alda Merini

MATTI SI NASCE O SI DIVENTA?

Basaglia in tv, l’utopia dei matti

di UMBERTO GALIMBERTI (da Repubblica del 08.02.10)

Come faccio a sapere che malattia ha una persona legata in un letto di contenzione da 15 anni? Come faccio a sapere di che cosa soffre un individuo a cui sono stati tolti, oltre ai suoi abiti, tutti gli oggetti personali, in cui poter rintracciare una pallida memoria di sé?

E che dire di quanti, in occasione di una crisi, venivano immersi in un bagno d’acqua gelata, o sottoposti a elettroshock? Erano queste alcune domande che Franco Basaglia si era posto quando, escluso dalla carriera universitaria per le sue idee non proprio in linea con la psichiatria vigente, giunse a Gorizia a dirigere il manicomio di quella città.

Marco Turco, regista della fiction televisiva, la cui prima puntata è andata in onda su RaiUno ieri sera, descrive con precisione, efficacia e commozione le pratiche di punizione, di controllo e persino di tortura che si praticavano nei manicomi in nome della scienza psichiatrica, ma soprattutto coglie e mette bene in evidenza che la chiusura dei manicomi era, negli intenti dello psichiatra veneziano, solo un primo passo verso una rivisitazione dei rapporti sociali a partire dalla "clinica", la quale, per tranquillizzare la società, non aveva trovato di meglio che incaricare la psichiatria a fornire le giustificazioni scientifiche che rendessero ovvia e da tutti condivisa la reclusione dei folli entro mura ben cintate.

Entro queste mura Basaglia, prima della follia, incontrò la miseria, l’indigenza, il degrado, l’emarginazione, l’abbandono, la spersonalizzazione, a cui la follia non di rado si imparenta. Infatti la follia dei ricchi non si esprime con la "segregazione", ma tutt’al più con l’"interdizione", qualora intacchi gli interessi patrimoniali. E allora non è che per controllare e contenere questa miseria non s’è trovato modo migliore che renderla muta come "miseria" e farla parlare solo come "malattia"?

Questo tema è messo bene in evidenza dallo sceneggiato televisivo che ha colto perfettamente l’intenzione di Basaglia secondo il quale: se la clinica ha messo il suo sapere al servizio di una società che non vuole occuparsi dei suoi disagi, non è il caso di tentare a l’operazione opposta, ossia l’accettazione da parte della società di quella figura, da sempre inquietante, che è la follia, dal momento che, scrive Basaglia: "La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, per tradurre la ‘follia’ in ‘malattia’ allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere che è poi quella di far diventare razionale l’irrazionale. Quando qualcuno è folle ed entra in manicomio smette di essere ‘folle’ per trasformarsi in ‘malato’. Diventa razionale in quanto malato".

L’ansia di accreditarsi come scienza sul modello della medicina ha fatto sì che la psichiatria trascurasse, senza curarsene, la "soggettività" dei folli, i quali furono tutti "oggettivati" di fronte a quell’unica soggettività salvaguardata che è quella del medico. Ma è davvero credibile che, negando istituzionalmente la soggettività del folle, sia possibile guarirlo, cioè restaurarlo nella sua soggettività? Di qui l’invito agli operatori sanitari di togliersi i camici, simboli del potere medico che non può operare, dice lo sceneggiato, se prima non si smonta il lager. "Ma i pazienti sono muti" obiettano gli infermieri. E allora, risponde Basaglia: "Avresti voglia di parlare quando nessuno ti ascolta?". E ancora: "Le anime di questi pazienti non sono ‘vuote’, come voi dite, ma semplicemente ‘svuotate’, in questo carcere di cui voi siete ‘buoni’ carcerieri, ma sempre carcerieri". E poi perché non restituire ai ricoverati gli abiti e i loro effetti personali. "Se a voi, medici e infermieri, togliessero tutte le cose più care che avete in casa, che cosa resta di voi?"

Accettando la condizione di parità tra medico e paziente Basaglia scopre che, restituendo al folle la sua soggettività, questi diventa un uomo con cui si può entrare in relazione. Scopre che il folle ha bisogno non solo delle cure per la malattia, ma anche di un rapporto umano con chi lo cura, di risposte reali per il suo essere, di denaro, di una famiglia e di tutto ciò di cui anche il medico che lo cura ha bisogno. Insomma, dice Basaglia: "Il malato non è solamente un malato, ma un uomo con tutte le sue necessità".

L’utopia di Basaglia di fare della clinica un laboratorio per rendere "umane" e non "oggettivanti" le relazioni tra gli uomini, attraverso la creazione di servizi di salute mentale diffusi sul territorio, residenze comunitarie, gruppi di convivenza, con la partecipazione di maestri, educatori, accompagnatori, attori motivati, oggi sembra in procinto di naufragare e fallire. Anche se l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che nel 2003 ha definito la legge Basaglia che ha chiuso i manicomi come "uno dei pochi eventi innovativi nel campo della psichiatria su scala mondiale", ci informa che un giovane su cinque in Occidente soffre di disturbi mentali, che nel 2020 i disturbi neuropsichiatrici cresceranno in una misura superiore al 50 per cento, divenendo una delle cinque principali cause di malattia, di disabilità e di morte. Che facciamo? Mettiamo tutti in manicomio o facciamo recuperare loro quel rapporto col mondo che il manicomio preclude definitivamente e i servizi di salute mentale, così come sono oggi, non garantiscono, per incuria, trascuratezza, indifferenza, per la paura che la società ha della diversità che ospita nelle figure degli immigrati, dei tossici, dei senzatetto, degli emarginati?

Questo Basaglia lo temeva e perciò, un anno prima di morire scrisse: "Magari i manicomi torneranno a essere chiusi e più chiusi di prima, io non lo so, ma a ogni modo noi abbiamo dimostrato che si può assistere la persona folle in un altro modo, e la testimonianza è fondamentale. Noi, nella nostra debolezza, in questa minoranza che siamo, non possiamo ‘vincere’, perché è il potere che vince sempre. Noi possiamo al massimo ‘convincere’. Nel momento in cui convinciamo, vinciamo, cioè determiniamo una situazione da cui sarà più difficile tornare indietro". E il contributo dello sceneggiato televisivo, bellissimo nel suo ritmo, nelle sue cadenze e nella sua documentazione, va nella direzione di convincerci a non tornare indietro.

RAGIONE E FOLLIA

"La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia (...)".


"Magari i manicomi torneranno a essere chiusi e più chiusi di prima, io non lo so, ma a ogni modo noi abbiamo dimostrato che si può assistere la persona folle in un altro modo, e la testimonianza è fondamentale (...)"


FRANCO BASAGLIA

(psichiatra veneziano raccontato nel film "C'era una volta la città dei matti", di Marco Turco, in onda stasera su Rai1)

sabato 6 febbraio 2010

IL PERMESSO DI SOGGIORNO A PUNTI

...NON E' UNO SCHERZO DI CARNEVALE!

di STEFANO GALIENI

L’idea del «permesso di soggiorno a punti», introdotta con la legge 94 [pacchetto sicurezza] comincerà non casualmente ad essere applicata in periodo carnevalesco, purtroppo non si tratta di uno scherzo ma dell’ennesimo strumento – per altro di difficile attuazione – messo in piedi, da una parte per incrementare le condizioni di precarietà e di clandestinità, dall’altra, ed è molto più grave, trasformare i diritti in doveri, in obblighi.

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L'EDUCAZIONE ALLE DIFFERENZE

di LAURA TUSSI

Donne e uomini provenienti da terre lontane portano la ricchezza di differenze che si esprimono nell'originalità e nella particolarità dei movimenti, dei gesti, dei suoni e degli accenti della lingua, degli ornamenti e degli abiti, dove le diversità si interconnettono e si moltiplicano, facilitando occasioni di scambio e confronto.
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venerdì 5 febbraio 2010

CREDERE IN DIO

LA QUESTIONE PRINCIPALE PER UN GRUPPO DI PROMESSI SPOSI

Giovedì sera ho incontrato un gruppo di fidanzati, 25 coppie, che stanno seguendo il "corso per fidanzati" in vista del matrimonio in chiesa.
Sono stato invitato da un prete che ultimamente mi cerca spesso e che vuole valorizzare la mia esperienza e le mie conoscenze.
Certo che, come avrei dovuto pormi nei confronti di questi giovani? Uno come me, sposato civilmente e sospeso a divinis dal sacerdozio?

Ho presentato loro la seguente scaletta, chiedendo di segnare la tematica che avrebbero voluto affrontare.

 Gesù e il vangelo: qual è la novità del suo messaggio? (10)
 Gesù e le donne: come affronta il maschilismo del suo tempo? (7)
 Gesù e la sessualità: amare con il corpo è peccato? (5)
 Gesù e lo straniero: paura di perdere la propria identità? (3)
 Gesù e la religione: è davvero il fondatore di una religione? (2)
 Gesù e i soldi: è vero che la felicità dipende dai soldi?b (3)
 Gesù e la fede: Dio esiste? Perchè il terremoto ad Haiti? (15)

Con stupore, ho notato che la questione che più li riguarda e li interroga è l'ultima: "Gesù e la fede: Dio esiste? Perchè il terremoto ad Haiti?"

Insomma, queste coppie si stanno preparando a celebrare il sacramento del matrimonio in chiesa e (per fortuna) manifestano alcuni dubbi sull'esistenza di Dio e sul suo piano misterioso di salvezza. Come vorrei che le guide religiose venissero a conoscenza di una realtà così sommersa perchè ignorata! Il problema non sono i sacramenti, il dogma della Trinità o dell'Assunzione, ecc... il problema, o meglio la sfida, è dimostrare l'esistenza di Dio in un mondo di ingiustizie.
Credere in Dio non è la naturale conseguenza dell'appartenenza alla chiesa cattolica o ad un altra confessione cristiana. Cosa servono allora i sacramenti? A sertirci parte omologata della società nella quale viviamo o a maturare la nostra fede in Dio?

giovedì 4 febbraio 2010

DALL'ECUADOR: LA QUOTIDIANITA' DELLA MISSIONE


LA LETTERA DI GENNAIO-FEBBRAIO DI FABIO LAZZARO

Cosa avrà fatto di speciale Gesù nei suoi primi 30 anni di cui non si sa quasi nulla?
Che sentimenti saranno passati per la sua anima di uomo vedendo le ingiustizie che lo circondavano? Come avrà cercato di tradurre la fede e la speranza nel Dio della vita e il desiderio di contribuire a che il mondo sia, come dice Genesi, “cosa buona”, con il suo lavoro ordinario di falegname, di paesano, di anonimo vicino di casa, di persona completamente “normale”?
Come avrà passato il tempo libero? Come avrà partecipato alle celebrazioni liturgiche? Cosa avrà veramente detto o con sofferenza taciuto della religione del suo tempo?
Queste e tante altre simili domande viaggiano per il mio cuore e per la mente in questa tappa della vita in cui mi sento chiamato da Dio a vivere di nuovo la ordinarietà della fede, della missione, dopo molti anni di protagonismo come prete (e non per mia colpa).
La chiamata è forte, interessante, ma a volte anche costosa, quella di rivivere come Gesù l’anonimato, la normalità della vita e delle relazioni. Come Charles de Foucauld, Carlo Carretto o come quasi tutti i padri e le madri di famiglia sono invitato a essere normale, a farmi piccolo come un bambino per entrare nel Regno dei cieli, a sentirmi lievito nella massa.
Posso assicurare che è un salto grande quello di passare dall’essere visto, conosciuto e salutato da molte persone nelle strade di Carcelèn Bajo o Esmeraldas dove ho servito come prete, all’essere un “vicino qualsiasi”, di cui non si sa quasi nulla, magari visto con sospetto per il fatto che vivo solo nel mio mini appartamento e che alla mia età non ho ancora figli e sposa.
Non posso negare la grazia ricevuta nel ministero di prete da tante attenzioni, approvazioni, affetti, ma non posso neanche negare la bellezza di essere come Gesù uno qualsiasi, agli occhi dei paesani.
Come tradurre lo straordinario della fede nell’ordinario della vita...? Sto cercando di impararlo, purificandomi da tante costruzioni mentali che ho ricevuto in una vita clericale e che continuano a condizionare il mio modus vivendi.
Per esempio mi sento ancora un po’ “in peccato”, non a posto, se perdo la messa la domenica... nonostante in quasi tutte le messe a cui assisto come anonimo spettatore sento quasi che ricevo più noia, vuoto, teatro, che vita, condivisione, entusiasmo, presenza dello Spirito.
Ma quale alternativa in una società clericale, bigotta e tradizionalista come quella ecuatoriana e ancor più qui a Latacunga dove vivo?
Come mi manca una chiesa viva, sincera, aperta, tollerante, biblica, critica della struttura, che sa mettere al centro la persona così come è, e non come dovrebbe essere!
Non posso negare neanche la bellezza della relazione di coppia che sto vivendo nonostante la distanza dalla mia amata con la sofferenza di non poter stare più tempo assieme. Non posso negare i brividi che produce la libertà interiore che cerco di vivere, la libertà affettiva, la libertà di poter essere una “voce fuori dal coro”, la libertà di essere Fabio prima di tanti titoli.
Come non parlare della difficoltà a mettere via qualche soldo per delle vacanze in Italia, come tanti comuni mortali, come non parlare della poca voglia di lavarmi a mano i vestiti (come tantissimi qui), peggio ancora di stirarmi le camicie.
Come non accennare alla sofferenza per la difficoltà che incontro nel creare un gruppo biblico in quartiere, visto che per i vicini sono un laico senza permesso del parroco, sono un “signor nessuno” con strane idee.
E che bello che a volte in qualche riunione terminando con la preghiera mi viene spontaneo benedire con la mano come fanno i preti (e come facevo spesso fino all’anno scorso da ministro)... o come forse dovrebbero fare tutte le persone appassionate come Dio Padre di ogni uomo e donna che lotta per un futuro migliore.
Sicuramente il momento di passaggio che sto vivendo non è facile ma sono veramente felice della scelta presa, che permette di riconoscere chi veramente ti apprezzava (e ti apprezza) come Fabio e non per il ruolo che esercitavo o per il fatto si vedermi con occhi speciali perchè “consacrato”, o perchè (come molti pensano e dicono) più vicino a Dio.
Che bello riconoscere una chiesa meno conosciuta, meno visibile, fatta di tante persone che cercano di migliorare i loro difetti per essere come Gesù un dono per gli altri, trovando forza in qualche breve momento di preghiera... all’inizio o alla fine di tante ore di lavoro che non ti danno il tempo per “fare cose eccezionali”...
Ne basterebbero due: non perdere la fede e la speranza ed essere coerenti in profondità con sè stessi e con la propria coscienza!! Cerco di farlo... come spero tutti voi, nella quotidianità.
Buon 2010!
Fabio.

mercoledì 3 febbraio 2010

BELLEZZA NERA

BELLEZZA NERA

Amo il tuo sguardo di fiera
E la tua bocca dal gusto di mango
Rama Kam
Il tuo corpo è pepe nero
Che attizza il desiderio
Rama Kam
Al tuo passaggio
La pantera è gelosa
Del caldo ritmo del tuo fianco
Rama Kam
Quando danzi nel chiaror delle notti
Il tam-tam
Rama Kam
Ansima sotto l’uragano Dyunung del griot
E quando ami
Quando ami Rama Kam
E’ il tornado che s’abbatte
E tuona
E colmo mi lascia del respiro di te
Rama Kam.


Ndjock Ngana

(Poeta camerunense che vive a Roma,
autore della raccolta di poesie Nhindo nero)

LE LABBRA RIFATTE FANNO DAVVERO SCHIFO!

PAROLA DI AFRICANA!



(Nella foto: ballerina di Limbè, Camerun)

"Le labbra rifatte fanno davvero schifo! Le vostre donne sono davvero ridicole!"
Parola di una donna africana che critica il comportamento di molte donne italiane, facce note della tv ma non solo. "A 30 anni volevo delle labbra belle carnose - dichiara Alba Parietti, ieri sera ospite a Porta a Porta -, ora preferirei averle più sottili, raffinate, più adatte a una donna della mia età, ma non posso farci niente». In questo caso non può più tornare indietro, dovrà accettare di vivere un'eterna adolescenza!
Il fatto è che nemmeno quei tratti somatici che agli uomini occidentali ultimamente piacciono molto possono essere un'esclusiva della razza africana. Di questo passo un bianco non avrà niente da invidiare a un nero. Nemmeno il colore e la morbidezza della pelle. Aumentano i centri di abbronzatura, il mercato delle creme e dei cosmetici non è mai in crisi.
Ma forse sarà sempre impossibile far sembrare vero quello che è finto, fresco quello che è rifatto, giovane quello che è vecchio. Piacere agli uomini che cercano un fisico perfetto e seducente, rende le donne liberamente schiave, nell'era dell'emancipazione e del femminismo. Piacere a se stessi è molto più difficile, non basta un bisturi e qualche migliaia di euro. Basta accettare la grandezza delle proprie, e uniche, labbra e apprezzare quelle più belle e naturali. Ma noi non siamo solamente labbra! C'è anche una parola che esce dalle labbre, con un contenuto e un tono di voce.

RACCONTI DAL SENEGAL

DONATELLA IANELLI RACCONTA IL SUO VIAGGIO IN SENEGAL

"È stata una bella esperienza soprattutto per la occasione di incontrare i “griot” saggi che hanno sempre affiancato re e signori del momento e che trasmettevano oralmente, attraverso il canto e la musica, la storia e gli accadimenti".

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PROPAGANDA

"Con sufficiente ripetitività e conoscenza psicologica delle persone coinvolte non sarebbe difficile dimostrare loro che un quadrato in realtà è un cerchio".

Joseph Goebbels
(ministro della propaganda di Adolf Hitler)

VI INTERESSA DAVVERO ESSERE SANTI?

Ecco la reazione dell'Avvenire al libro di Riccardo Chiaberge "Lo scisma. Cattolici senza papa" (Longaresi).
Cesare Cavallieri, giornalista di Avvenire, vorrebbe che gli autori di libri sul rapporto stato-chiesa, fede-religione, spiritualità-gerarchia, ecc... parlassero di santità, vita eterna, sacramenti...sesso degli angeli... Ma sono davvero queste le questioni che creano tensione e dibattito nel cuore della gente?
Cosa significa santità? Perfezione? Obbedienza cieca alla dottrina cattolica?

Ci interessa davvero essere santi oppure ci interessa vivere dignitosamente in un mondo giusto?

Ecco la reazione indispettita di un rappresentante della gerarchia:

"I temi controversi, poi, sono sempre monotonamente i soliti: il celibato sacerdotale, il sacerdozio alle donne, la contraccezione, le cellule staminali... Non ci si sposta da lì. Santità, preghiera, sacramenti, vita eterna, non sono presi in considerazione. Colpisce, nei dissidenti intervistati, la mancanza di allegria, l'assenza di prospettive, tanto che perfino Chiaberge se ne è accorto. Proprio nel capitolo dedicato a Martha Heizer, la pasionaria viennese di Wir sind Kirche («La Chiesa siamo noi»), un raduno delle «comunità di base», il cui numero «decresce dappertutto», è così descritto: «Nella sala, intorno ai tavoli dove siedono i delegati, molte teste canute, barbe brizzolate da ex-sessantottini, pochi giovani e qualche bambino brado che scorrazza tra le sedie. Il colpo d'occhio fa pensare a un'adunata di reduci intenta a celebrare il proprio passato, più che a preparare il futuro». Se questi sono gli scismatici, non c'è da preoccuparsi, anche perché la Chiesa ha sempre le braccia spalancate".

Caro Sig. Cavallieri,
le comunità di base non si fanno sentire perchè non hanno mezzi, non hanno Radio Maria, non hanno CL o Berlusconi. I leader sono anziani, lo so. L'entusiasmo post Vaticano II si sta affievolendo. Ma esperienze di cristianesimo dal basso, di gruppi e movimenti che propongono strade nuove, ce ne sono molte. Forse manca la visibilità che nasce dal potere. Ma essendo critici nei confronti del potere e dei dogmi, accettiamo il silenzio e la quotidianità, la gratuità di ogni singolo gesto.
Sì, secondo la logica del mondo, siamo in crisi, noi cristiani adulti.

lunedì 1 febbraio 2010

NO DAL MOLIN: CONTINUA LA LOTTA NON VIOLENTA

Ieri gli uomini e le donne di Vicenza hanno invaso il Dal Molin incatenandosi alle gru per opporsi ancora alla distruzione del proprio territorio. Questo è il comunicato stampa del Presidio Permanente No Dal Molin www.nodalmolin.it

Sono ormai quattro anni che ci opponiamo alla costruzione della nuova base statunitense al Dal Molin: assemblee e manifestazioni, sit-in e azioni hanno scandito la nostra quotidianità, mentre nelle stanze di Roma si decideva, sopra alle teste dei vicentini, l’avvio di un cantiere devastante. E’ la nostra storia di donne e uomini che amano la propria terra e le sue risorse; la stessa storia degli abitanti di quel fazzoletto di terra che, migliaia di anni fa, costruirono proprio lì il proprio villaggio, di cui in questi giorni emergono i preziosissimi reperti.

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