domenica 22 novembre 2009

OLTRE LA CRONACA, PER CAPIRE

Ieri sera a Curtarolo una tragedia: mamma uccide il figlio di due anni. Nessun giudizio, ma il problema esiste ed è diffuso.


LE MADRI CHE UCCIDONO
di
Marco Cannavicci
(psichiatra – criminologo)

La condizione di “essere madre” comporta sempre un forte investimento affettivo, come non accade per alcuna altra condizione psicologica, per cui la madre è capace di un grande, grandissimo amore, che può arrivare fino a comprendere il sacrificio. Tuttavia la stessa condizione di “essere madre” potrebbe arrivare a generare anche un grande e violentissimo odio, per cui una madre può arrivare perfino ad uccidere il proprio figlio. “Essere madre” in ogni caso non protegge la donna dalla possibilità di far male al proprio bambino e questo viene confermato da numerose statistiche pubblicate sia negli Stati Uniti (secondo dati resi disponibili dall’FBI) che in Inghilterra. Secondo le statistiche criminologiche elaborate dall’FBI solo in due situazioni delittuose le donne commettono crimini in maniera prevalente rispetto all’uomo: nel taccheggio e nel figlicidio.
Mentre in Italia si discuteva del caso di Cogne e del piccolo Samuele, negli Stati Uniti l’opinione pubblica era presa dal caso di Andrea Yates, una donna di 37 anni che aveva affogato, uno dopo l’altro, i suoi cinque figli. La motivazione delirante che la Yates aveva offerto al processo era che “volevo salvare i miei figli dai raggi viola degli extraterrestri”. Le è stata diagnosticata una schizofrenia che molto probabilmente le permetterà di evitare la pena di morte, in quanto la donna è chiaramente inferma di mente.
Da molto tempo negli Stati Uniti il fenomeno delle madri che uccidono sta occupando le pagine della cronica ed è stato quindi molto studiato dagli investigatori. In occasione dei vari processi gli psicologi forensi hanno molto scavato nel passato di queste donne, cercando di comprendere la motivazione interiore di questi gesti estremi. Alcuni studi effettuati dagli esperti dell’FBI sono arrivati alla conclusione che le madri che arrivano ad uccidere i propri figli sono state a loro volta “violate nel corpo e nell’anima” sia da piccole che da adolescenti. Queste donne non ricordano né i fatti violenti che hanno subito né i violentatori. Pur avendo rimosso dalla memoria questi tragici eventi, tuttavia arrivano a ripeterne inconsapevolmente le gesta. Si è osservato inoltre che se quando erano piccole nessuno ascoltava il loro pianto, loro troveranno intollerabile ed insostenibile il pianto del figlio, in quanto rievoca una loro antica e profonda angoscia. Sotto stress ed in occasione di forti emozioni queste donne manifestano un forte bisogno di qualcuno vicino che le faccia uscire dall’isolamento e che prevenga i possibili violenti gesti impulsivi.
Indipendentemente dalla natura degli eventi passati, queste madri arrivano ad uccidere i loro figli in base a sei tipi diverse di cause scatenanti:
1. la schizofrenia paranoidea – è una patologia psichiatrica che si manifesta nelle donne in un’età compresa tra i 25 ed i 35 anni (fascia d’età in cui una donna è alle prese con dei bambini piccoli), con delirio, allucinazioni e disturbi del comportamento (facile aggressività e violenza);
2. la depressione post-partum – è una depressione che si manifesta nel 10-15% delle puerpere, nelle prime quattro settimane dopo il parto, con i sintomi tipici della grave depressione maggiore e con deliri ed allucinazioni dai contenuti aggressivi ed accusatori contro di sé e contro il bambino;
3. i disturbi dissociativi – fra questi rientrano ad esempio l’amnesia dissociativa, per cui queste mamme si ritrovano ad effettuare sul bambino atti violenti che esse hanno subito senza ricordarli; oppure si tratta di uno stato di profonda dissociazione dell’identità, come avviene classicamente in una personalità multipla;
4. la sindrome di Munchausen per procura – questa sindrome è considerata un disturbo “fittizio” in cui i sintomi sono creati dalla mente della persona per ottenere dagli altri attenzione e considerazione; la forma per procura riguarda il commettere, di nascosto, atti lesivi sul figlio per poterlo poi accudire e curare, acquisendo il ruolo prestigioso della salvatrice del bambino (molte malattie inspiegabili di bambini sono state comprese in ospedale ponendo delle telecamere nascoste, puntate sul letto del bambino, che hanno mostrato madri che avvelenavano, ferivano e maltrattavano i figli);
5. l’omicidio compassionevole – viene generalmente effettuato nei confronti di figli gravemente e cronicamente ammalati e di cui non si accetta né si sopporta la malattia; l’omicidio ha lo scopo di porre fine alla propria sofferenza ed a quella del figlio e spesso si accompagna al suicidio o alla immediata confessione del delitto;
6. il raptus omicida – avviene in genere per sfogo di rabbia, dopo accumulo cronico di frustrazione con liberazione improvvisa ed inaspettata di marcata aggressività; in questo caso si ha una perdita completa del controllo razionale sulle incontenibile ed esplosive pulsioni aggressive.
Dietro queste situazioni si trova spesso un conflitto lacerante tra il dentro ed il fuori della personalità della madre: una esteriorità perfetta, come immagine pubblica, ed una interiorità malata, nel proprio privato domestico ed affettivo.

Nessun commento:

Posta un commento