mercoledì 11 novembre 2009

VIVERE DA PRECARIO

Lavorare nella precarietà genera molte tensioni. Me ne sto accorgendo di persona, quando, dopo aver ricevuto ieri una magra bustapaga, mi son chiesto cosa ci faccio dentro una fabbrica a buttare olio dentro un pezzo di ferro. Crisi esistenziale, non solo economica. Ho una famiglia da mantenere. Delle attività culturali e sociali da sostenere. Dei progetti per il futuro. Dei sogni. Avrei potuto insegnare religione cattolica nelle scuole, ma la mia condizione di "prete sposato civilmente" mi impedisce di farlo, per non dare "scandalo". Comunque non l'avrei fatto.
Avrei potuto chiedere un posto ben retribuito e lavorare per i soldi tralasciando i miei valori etici. Avrei potuto accettare un lavoro da prete pentito, dentro alcune strutture ecclesiastiche di beneficienza.
Invece sono qui, in una fabbrica in crisi, a fare esperienza di mondo, di multiculturalità, di miseria umana a volte. Perchè? Poteva andarmi peggio oppure molto meglio. Almeno ho un contratto a tempo indeterminato, con la possibilità della cassa integrazione. Eppure c'è qualcosa che non va in questo sistema, lo sento, perchè respiro ingiustizie. Devo essere buono e fare il bravo? Accettare questa situazione come la mia nuova croce?
"Tutto è vanità" soltanto dove esiste la solidarietà!

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